PAOLO, Giulio (Iulius Paulus)
Giureconsulto romano, di patria ignota (romano o italiano secondo il Kuebler), scolaro probabilmente di Cervidio Scevola, assessore di Papiniano nella prefettura del pretorio, successivamente insieme con Papiniano membro del consiglio imperiale, collega di Ulpiano nella prefettura del pretorio sotto Alessandro Severo. Fu, forse, il più fecondo dei giuristi romani e benché, come Ulpiano, raccoglitore di materiali tratti da autori precedenti, è pensatore indipendente, talvolta eccessivamente teorizzante, equilibrato nei suoi apprezzamenti. Si conoscono di lui 86 opere in 319 libri, oltre le note a opere altrui. Gl'inizî della sua attività letteraria sono da collocare sotto Commodo. Non lasciò inesplorato nessun campo del diritto.
Le sue opere fondamentali sono il commento ad edictum in 78 libri e il commento ad Sabinum in 16 libri, integrati da una serie numerosissima di monografie su argomenti singoli, su leggi speciali, su senatoconsulti. Scrisse quaestiones in 26 libri, responsa in 23 libri. Frutto dell'attività prestata da Paolo nel consilium imperiale sono due opere, nelle quali egli raccoglie le discussioni e le decisioni dei processi portati innanzi al tribunale imperiale: tali opere sono costituite da 2 libri di decreta e da 6 libri di imperiales sententiae in cognitionibus prolatae. Numerosi scritti sono attinenti al diritto pubblico. All'insegnamento e alla pratica erano dedicati i 2 libri di institutiones, i 6 libri di regulae, un liber singularis regularum, i 3 libri manualium e i 5 libri sententiarum. Quest'ultima opera ebbe larga fortuna specialmente nella prassi postclassica occidentale e un ampio estratto di essa ci è pervenuto attraverso la lex romana Wisigothorum. Essa non è che un'esposizione di massime fatta in modo conciso, senza discussione di opinioni contrarie, ordinata secondo i Digesta. Molto, peraltro, oggi si dubita se essa non sia una tarda compilazione con passi ricavati dalle opere di Paolo; in ogni modo gli elementi spurî, oltre che nei passi delle sententiae inseriti nelle Pandette giustinianee, sono notevoli anche in quelli inseriti nella lex visigotica.
P. godette di grande fama presso i contemporanei e i posteri: fu uno dei cinque giuristi, indicati nella cosiddetta legge delle citazioni di Teodosio II e Valentiniano III, alle cui opinioni i giudici dovevano attenersi nel decidere le controversie. Nell'occidente postclassico alcune sue dottrine, contrarie alla dominante corrente classica, riuscirono a prevalere. La sua trattazione del possesso è rimasta più d'ogni altra celebre e nelle Pamdette tiene in questa materia il primo posto.
Bibl.: P. Krüger, Geschichte der Quellen u. Litt. des. röm. Rechts, 2ª ed., Monaco-Lipsia 1912, pp. 228-239; P. de Francisci, Storia del dir. rom., II, i, Roma 1929, pp. 370-373; P. Bonfante, Storia del dir. rom., 4ª ed., Roma 1934; A. Berger, Iulius Paulus, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 690-752. Sul problema delle sententiae v. specialmente F. Schulz, Einführung in das Studium der Digesten, Tubinga 1916, p. 38 segg.; G. v. Beseler, Beiträge zur Kritik der röm. Rechtsq., ivi 1910-1920, I, p. 99; II, p. 69; III, p. 6; IV, p. 336; G. Rotondi, Scritti giuridici, I, Milano 1922, p. 482; E. Volterra, in Atti Congr. intern. dir. rom., I, Pavia 1934.