MARESIO, Giulio
– Nacque a Belluno nel 1522 da una famiglia con solida posizione economica e bene inserita nella vita culturale cittadina.
Ebbe almeno tre fratelli: Francesco, il più anziano, sacerdote; Florio, medico addottoratosi a Padova (1549), intimo di Giovanni Pietro Dalle Fosse (Pierio Valeriano), che gli dedicò il quinto libro dei suoi Hieroglyphica (Basilea 1556); Sigismondo, del quale non si hanno notizie.
Nel 1530 il M. fu mandato a Bologna e si dedicò per quasi un decennio agli studi ginnasiali. Ebbe come docente il teologo francescano Domenico Fortunato, più tardi inquisitore a Belluno e suo accusatore. Allora Fortunato riuscì a guadagnarsi la fiducia del M. che introdusse alla lettura di testi luterani e riformati. È il M. stesso a confessarlo in una lunga lettera scritta al nunzio in Polonia Berardo Bongiovanni il 9 ag. 1560, nella quale ripercorre, per discolparsi dalle accuse di eresia, la sua vicenda biografica e religiosa (Comel, pp. 157-163).
Le letture di testi ereticali, in particolare opere di Martin Lutero e Filippo Melantone, per quanto si può dedurre dal memoriale citato, s’intensificarono durante gli anni universitari a Padova (1540-50). Confidando nel clima accademico in apparenza tollerante, nel 1546 il M. spedì al fratello Francesco una copia della Postilla di Antonio Corvino. Vi allegò una lettera d’invito alla lettura, «iuveniliter et imprudenter scriptam» che giunse nelle mani di Fortunato, in quei giorni nominato inquisitore (ibid., p. 157). Poco chiare sono le ragioni per cui questi la tenne nascosta ben cinque anni, evitando di denunciare il M. e anzi non lasciando trasparire mai alcuna ostilità.
Il M. discusse le tesi (il 26 e 27 ag. 1549 con Francesco Capodilista, il 17 marzo 1550 con Giovanni Lippomano), ottenendo la laurea in sacra teologia. Tornò quindi a Belluno, come guardiano del convento francescano di S. Pietro, dove aveva preso i voti, succedendo a Fortunato, e proprio per questo – a quanto scrive – fu accusato di eresia sulla base delle carte precedentemente sottrattegli. Obbligato dal vescovo Giulio Contarini a presentarsi agli inquisitori a Venezia, fu per loro ordine relegato a Treviso. Temendo l’aggravarsi della sua posizione, il M. decise di andare a Roma per esporre il proprio caso al priore generale dei minori conventuali Giacomo da Montefalco.
La notizia della morte del priore lo raggiunse a Urbino; arrivato a Roma, fu ricevuto dal cardinale Bernardino Maffei, viceprotettore dell’Ordine e vicino alla Compagnia di Gesù, che gli intimò di tornare a Venezia, via Bologna, dove per due mesi fu imprigionato e interrogato dal vicario generale dei minori conventuali Giulio Magnani. A Venezia fu processato e l’inquisitore, il confratello Nicolò da Venezia, accolse la sua abiura il 31 dic. 1551. Gli furono imputati «dubbi intorno al purgatorio, alla giustificazione, al libero arbitrio», in pratica di seguire la dottrina luterana, oltre all’accertato possesso di libri proibiti (ibid., p. 140). Condannato a cinque anni di esilio nel convento di S. Pietro a Cracovia, sotto pena di incorrere nella condizione di relapso, per quattro condusse «honeste catholiceque vitam» (ibid., p. 159).
Nel marzo 1556, con il ritorno a Cracovia dalla Svizzera dell’eretico Francesco Lismanini, consigliere spirituale della regina di Polonia Bona Sforza, il M. si avvicinò alle dottrine calviniste e assistette al dibattito sull’antitrinitarismo, nel quale, per quanto si sa, non fu coinvolto. Si sfratò – come egli stesso scrive – più per uno stato d’animo misto di curiosità intellettuale e debolezza, che per vera convinzione. Accortosene, in ottobre Lismanini lo mandò, a sue spese, a Zurigo per consentirgli di approfondire lo studio del greco e del latino, ma in realtà per meglio mettere alla prova la sua conversione. Fu affidato a Lelio Soccino, e conobbe gli altri grandi esuli e teorici italiani delle dottrine riformate quali Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli, Giorgio Biandrata e Giovanni Frisio, del quale fu amico, come risulta da una dedica fattagli da questo in una copia delle Precationes aliquot celebriores e Sacris Bibliis desumptae.
Il M. era a Zurigo ormai da diciotto mesi, ancora incerto nelle sue convinzioni, allorché ricevette la notizia della morte del padre (1558). Si decise a tornare in Polonia e alla fede cattolica, per poter poi tornare a Belluno. L’occasione di giustificare il proprio operato si presentò con l’arrivo a Cracovia del nunzio Bongiovanni, fautore di una politica di maggiore tolleranza verso gli eretici pentiti che chiedevano di rientrare nella Chiesa cattolica romana, e per questo gli presentò il memoriale sopra ricordato. Fu assolto, il 17 ag. 1560, senza pubblica ritrattazione (Caccamo), ed è questa l’ultima notizia per i successivi sei anni. Molto probabilmente il M. rimase nel convento di Cracovia, senza avere il permesso di tornare in Italia poiché non era ancora chiara la sua posizione alla Curia di Roma.
Nel 1566 riuscì a rientrare a Belluno, dove fu arrestato e, per la seconda volta, accusato di eresia. Fu inquisito da Bonaventura Maresio, minore conventuale suo parente, che era stato teologo al concilio di Trento.
Gli furono sequestrati i libri, consegnati dai fratelli Francesco e Sigismondo. Nel verbale d’accusa del 5 novembre sono registrati, oltre alle opere di Lutero e Melantone, scritti di teologia riformata tra i quali la Christianae religionis institutio… di Giovanni Calvino e il De orbis terrae concordia… di Guillaume Postel che il M. è probabile abbia incontrato, o quanto meno ascoltato, a Venezia al tempo del suo primo processo. Un nucleo di titoli resta legato agli studi greci e latini, pur essendo mediato da studiosi riformati come Francesco Stancaro (Hebreae gramaticae compendium…), Heinrich L. Glarean (In Q. Horatium… Heinrici Glareani… annotationes), Jodocus Willich (Commentaria in Georgicam Virgilii…, e Scholia... in P. VirgiliiMaronis Bucolica). Altri testimoniano interessi non disattenti ai diversi stimoli dell’umanesimo: L’arte della guerra di Niccolò Machiavelli, l’Opus Nonaginta dierum di Guglielmo di Ockham, l’Epitome adagiorum di Erasmo da Rotterdam, le Opere in terza rima di Francesco Berni.
Il processo, dopo la fase iniziale a Belluno, fu delegato a Roma per essere il M. relapso, né la Serenissima poté ottenere che il giudizio avesse luogo a Venezia. Una volta a Roma, il M. fu portato nel carcere di Tor di Nona e qui ebbe come compagno di detenzione il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi. Furono entrambi processati dai cardinali Bernardino Scotti, Scipione Rebiba, Francisco Pacecho, Gianfrancesco Gambara il 21 sett. 1567. Il M. fu condannato per aver ammesso, seguendo Calvino, come soli sacramenti «il batesimo, heucarestia et la penitentia» (Comel, p. 169), aver sostenuto che nell’eucarestia la presenza di Cristo fosse solo spirituale, contestato il primato papale, negato il libero arbitrio, il purgatorio, il valore di indulgenze e giubilei. Consegnati alla giustizia secolare, al M., «pulcherrimi aspectus et senex» (C. Firmano, cit. in Pastor, VIII, p. 605), e a Carnesecchi fu tagliata la testa il 1° ott. 1567 e poi i corpi furono bruciati.
Morì «assai disposto» – secondo l’ambasciatore veneziano Paolo Tiepolo (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Ambasciatori, Roma, f. 2, c. 303r) –, confessato e comunicato, come riportano concordemente le fonti, condannato da una protesta «più dottrinale che scismatica» (Comba, II, p. 674), nutrita, come di frequente accadde, da radicati studi umanistici.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Arciconfraternita di S. Giovanni Decollato, reg. 6, cc. 106v-107r; Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Ambasciatori, Roma, f. 2, cc. 303-305; Belluno, Arch. vescovile, sez. A, rep. IV, b. 6/3/6, cc. 1r-4v, 7v-8v, 16r-18r (inventario dei libri del M.), 18v- 23v (lettera del M. a B. Bongiovanni); Ibid., Bibl. civica, Mss., 411.V.C: L. Doglioni, Memorie manoscritte…, cc. 161-168; E. Martellozzo Forin, Acta graduum academicorum ab anno 1538 ad annum 1550, Padova 1971, pp. 366, 384; Id., Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini. Index nominum, ibid. 1982, p. 105; I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567). Edizione critica, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, 1, Città del Vaticano, 2000, ad ind.; F. Mutinelli, Storia arcana ed aneddottica d’Italia…, I, Venezia 1855, pp. 73, 75; C. Cantù, Gli eretici d’Italia…, III, Torino 1866, pp. 161, 168-173; S. Bongi, Le prime gazzette in Italia, in Nuova Antologia, giugno 1869, p. 327; K. Benrath, Geschichte der Reformation in Venedig, Halle 1887, pp. 43, 119; E. Comba, I nostri protestanti, II, Firenze 1897, pp. 672-674; G.B. Ferracina, Due eretici e l’Inquisizione a Belluno, in Antologia veneta. Riv. bimestrale di lettere, di scienze e di arti, III (1902), 1, pp. 49-52; D. Orano, Liberi pensatori bruciati in Roma…, Roma 1904, pp. 23 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1929, p. 605; A. Stella, Dall’anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto, Padova 1967, p. 141; D. Caccamo, Bongiovanni, Berardo, in Diz. biogr. degli Italiani, XII, Roma 1970, p. 64; L. Firpo, Esecuzioni capitali in Roma (1567-1671), Firenze-Chicago 1974, p. 321; A. Rotondò, Carnesecchi, Pietro, in Diz. biogr. degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 474 s.; C. Comel, Un inventario di libri dell’eretico bellunese G. M., minore conventuale, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, 1989-90, nn. 22-23, pp. 133-173.