MANCINELLI, Giulio
Nacque a Macerata il 14 ott. 1537, da agiata famiglia, primogenito di Leonardo, dottore in diritto canonico e civile, e di Antonia Costa, cultrice di letteratura e filosofia.
Il M. studiò in casa dapprima grammatica e latino, e dai 12 ai 15 anni letteratura, filosofia e matematica. Fruì anche di lezioni di musica e imparò a suonare diversi strumenti. A 16 anni intraprese la lettura del De vita spirituali di s. Vincenzo Ferreri, da cui attinse profonde suggestioni. All'età di 17 anni studiò logica, poi diritto per 5 anni. In quel periodo iniziò anche la lettura delle Sacre Scritture sotto la guida della madre, donna "esercitata nelle cose di Platone" (Historia, c. 23r).
A 19 anni si recò, di nascosto, a Loreto, al noviziato gesuitico, dove conobbe il rettore della casa, Oliviero Manareo, che rafforzò la sua decisione di prendere l'abito. Entrò nella Compagnia di Gesù il 14 maggio 1558, a Loreto, dove rimase per sei mesi. Proseguì il noviziato a Roma e si applicò "negli uffici humili, e bassi con l'istesso, e maggior disprezzo di sé medesimo" (Cellesi, 1668, p. 50) e negli studi.
I suoi familiari e amici cercarono di dissuaderlo dal prendere l'abito religioso; tuttavia, come narra il confratello Cellesi (ibid., p. 40), neanche il vecchio padre, che un giorno si presentò in abiti laceri al cospetto del figlio novizio, riuscì a distoglierlo dal suo proposito.
Nel Collegio romano approfondì gli studi, soprattutto della matematica, disciplina verso la quale si sentiva particolarmente portato al punto da inventare "nuovi instrumenti [(] pensando fin da quel tempo di servirsene per tirare non solo i mondani curiosi, ma ancora alli infideli" (Historia, c. 40r). Nel 1563 fu ordinato sacerdote e ricoprì l'incarico di confessore al Collegio germanico. Il generale, Francesco Borgia, lo investì dell'incarico di primo maestro dei novizi nella casa di probazione di S. Andrea al Quirinale nel 1568.
Fatta la professione dei quattro voti a Roma, il 25 ag. 1570, fu insegnante di grammatica e retorica a Siena, ministro, procuratore e rettore di diversi collegi (Amelia, Perugia e Firenze dal 1570 al 1575), anche se per brevi periodi. Portato al misticismo e al visionarismo dichiarò di avere avuto, a Firenze già prima del 7 ott. 1571, visioni e rivelazioni relative alla vittoria di Lepanto.
Alternando momenti di crisi mistiche a lunghi periodi di vita attiva, abbandonò, dopo la sua esperienza fiorentina, i diversi incarichi conferitigli e si dedicò all'apostolato missionario. In un primo momento operò in Italia, nelle "Indie di quaggiù", quindi in Turchia, nell'Africa settentrionale e in diverse zone dell'Europa.
Nelle "Indie di casa nostra" diffuse il Vangelo tra i marginali della società - fanciulli, malati, carcerati, prostitute -, che visitava più volte al giorno. A Roma era solito predicare nelle principali piazze della città e, quando recitava i suoi sermoni sulle rive del Tevere, saliva su di un "poggio alto" per essere ascoltato anche dall'altra parte del fiume. Durante le sue peregrinazioni in Italia, spesso incontrò falsi predicatori e millantatori, da lui smascherati, che, spacciandosi per gesuiti, chiedevano compensi in denaro. Raggiunse una fama tale che, durante alcune di queste missioni, gli veniva chiesto di risuscitare i morti, di guarire i malati terminali e di risollevare le persone disagiate.
Egli inaugurò un metodo di condurre le missioni che consisteva in primo luogo nella conversione dei fanciulli, quindi dei personaggi noti per essere di "perduta coscienza" che venivano mostrati a un tempo come esempio edificante e come esca per gli altri. Tale metodo, definito "caccia spirituale" (Cellesi, 1668), in un certo senso anticipava quello delle missioni "alla Segneri" del periodo successivo, nelle quali la componente teatrale si combinava con quella penitenziale.
Nel corso dell'anno del giubileo del 1575 fu penitenziere a S. Pietro e, per il suo zelo apostolico, fu inviato da Gregorio XIII a predicare in alcune zone dell'Adriatico sudorientale. Dalla fine del 1575 e per tutto il 1576 soggiornò in Dalmazia, a Ragusa, e nel Montenegro a Cattaro. Nel 1583 fu inviato a Costantinopoli da Gregorio XIII e dal preposito generale della Compagnia, Claudio Acquaviva, in risposta alle istanze rivolte al papa dalla Comunità di Galata per la fondazione di una missione nella città per il tramite degli ambasciatori del re di Francia e della Repubblica di Venezia. Il 25 giugno intraprese il viaggio, di 45 giorni, attraverso l'Albania, la Bulgaria e la Grecia.
Un memoriale in latino relativo alla sua opera a Costantinopoli - da lui dettato tra il 1586 e il 1587 e parzialmente pubblicato in Pirri, pp. 83-103 - documenta lo stato della Chiesa bizantina in quegli anni e costituisce testimonianza dell'attivissima azione compiuta dal M. finalizzata all'unione della Chiesa di Costantinopoli con Roma durante il patriarcato di Geremia II Tranos (1530-95). Dal memoriale risulta lo stretto rapporto del M. con i patriarchi, i prelati, i monaci ortodossi residenti a Costantinopoli: su queste sue relazioni con la cristianità bizantina ortodossa s'intrattiene anche nella corrispondenza inviata in quegli anni all'Acquaviva e in altri scritti.
Dalla Historia( (c. 90r) si possono ricostruire sia la sua attività di missionario nelle campagne e nelle zone montuose intorno alla capitale dell'impero ottomano sia la sua conoscenza del popolo turco, che egli descrive come poverissimo, ma virtuoso. Nonostante dovesse ricorrere a un interprete, le genti accorrevano numerose per udire i suoi sermoni. Operò diverse conversioni tra i greco-ortodossi e i maomettani. Il M. restò nell'impero ottomano fino al 1585.
Da Costantinopoli tornò in Europa affrontando una lunga e difficoltosa navigazione sul Danubio; attraversò la Valacchia e la Moldavia, toccando anche Luov, in Ucraina, e successivamente Cracovia, in Polonia. Sfiorò la Russia, quindi fece ritorno in Italia dopo una sosta di alcuni mesi a Vienna.
Nel 1592 fu inviato ad Algeri, su istanza del governo di Napoli alla Compagnia di Gesù, allo scopo di riscattare gli schiavi cristiani: su questa esperienza scrisse la memoria Del viaggio fatto ad Algeri nella Morea (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Vitae, 46, cc. 68-83) e Osservationi intorno allo riscattare delli schiavi christiani dalla servitù delli infedeli (ibid., Vitae, 51, cc. 43r-45r). Narra di essere stato rapito da un'estasi durante il viaggio: gli apparvero i santi e gli angeli per rassicurarlo circa il buon esito della missione.
Le missioni in Asia, Africa ed Europa gli procurarono la fama di grande evangelizzatore degli "infedeli" presso i contemporanei; tuttavia, la cronologia che riporta nell'autobiografia, rivela che i passaggi nei diversi territori in partibus infidelium furono abbastanza brevi.
Nel 1602 iniziò la sua autobiografia Historia della vocatione et della peregrinatione, con un Compendio di vita spirituale ridotto in orationi et meditationi, seguita da una seconda parte Dove si tratta delle sue rivelationi, completata a Napoli in diversi quaderni, che comprendono gli anni tra il 1604 e il 1617, i Diurnali delle cose notabili per edificatione del prossimo. Egli ha lasciato, inoltre, numerosi manoscritti contenenti trattati sulle orazioni, sulle giaculatorie, sul modo di recitare il rosario, sui ritiri spirituali.
Morì a Napoli il 14 ag. 1618 e la sua fama di missionario e di mistico era tale che subito fu intrapresa la causa di beatificazione, per iniziativa di Decio Carafa, arcivescovo di Napoli.
Urbano VIII, tuttavia, con decreti emanati dalle due congregazioni dell'Indice e dei Riti (13 marzo 1625, 5 giugno 1631, 5 luglio 1634) vietò ogni forma di venerazione dei servi di Dio non riconosciuti come tali se non dopo un preciso percorso con regole - o canoni - prestabilite (il cosiddetto processo) dopo almeno 50 anni dalla loro morte, proibendo di diffondere la memoria delle loro gesta e miracoli prima dell'inizio del processo. Pertanto l'iniziativa di elevarlo agli onori degli altari fu sospesa e non fu più ripresa.
Opere: La produzione del M. è manoscritta, fatta eccezione per le notizie autobiografiche nella Historia della vocatione( a cui ha fatto ampiamente ricorso Cellesi nella Vita del servo di Dio, pubblicata nel 1668. Gli scritti del M. sono conservati principalmente in Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Vitae, 19: Historia della vocatione, et della peregrinatione, cc. 23r-207r (copie in 41, pp. 1-465; 42, pp. 1-274 e Roma, Biblioteca nazionale, Gesuitico, 7); Vitae, 41: Compendio di orationi, meditationi, pp. 466-562; ibid.: Dichiaratione dell'imagine del sacerdote, cc. 6r-21r; ibid., 43: Exercitii et meditationi et orationi spirituali, pp. 1-124; ibid.: Le medesime meditationi in lingua volgare, pp. 127-220; ibid.: Delle visioni, rivelationi et profetie, pp. 224-231; ibid.: Considerationi da fare nelle nostre opere, pp. 232-255 (anche in Napoli, Biblioteca nazionale, V-H-48); ibid.: Meditationes super sacrificio Missae, pp. 256-359; ibid.; Praxis Divinae illuminationis et Dei praesentiae, pp. 360-363; ibid., 44: Diurnale delle cose notabili( dal anno 1604 fino al 1608( (autografo); ibid., 46: Opuscola e De missione nostra Constantinopolitana, cc. 1r-59r (apografo); ibid., 48: Diurnale, 1609-11; ibid., 49: Diurnale, 1610-12 (anche in Napoli, Biblioteca nazionale, XII-F-36); ibid., 50: Diurnale, 1613-16. Altri manoscritti del M. in Roma, Biblioteca nazionale, Gesuitico, 1265: Della Historia del P. N. dove si tratta principalmente delle sue rivelationi (II parte); Napoli, Biblioteca nazionale, XI-A-70: Diurnale, 1617; V-H-385: Orationi iaculatorie de diversi affetti(; Alfabeto de diverse cose(; Alfabeto de varie orationi iaculatorie(: Modo facile et breve per dire con devotione, pp. n.n.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Historia Societatis, 7, c. 68v; 43, c. 23r; Ital., 3, c. 136r; Vitae, 51, cc. 65-72 (lettere di G.F. Ricci e O. Lorenzino sulla morte del M.); c. 74 (lettera di A. Piscara Castaldi sul M.); cc. 76-79 (Memoria a stampa, redatta da T. Carafa e A. Miroballo, per il processo informativo di santità); Vitae, 146, cc. 102-104 (due lettere del M. a C. Acquaviva datate rispettivamente Napoli, 13 febbr. 1615 e 13 marzo 1615); G. Seceli [I. Cellesi], Lettera scritta a Goa al p. Francesco Filippucci della Compagnia di Giesù. Nella quale si racconta il ritruovamento maraviglioso di un cilitio, che fu del servo di Dio p. G. M., Macerata 1660; I. Cellesi, Vita del servo di Dio p. G. M. della Compagnia di Giesù( dedicata alla Santità di N. S. papa Clemente IX, Roma 1668; P. Ribadeneira - F. Alegambe, Bibliotheca scriptorum Societatis Iesu, Romae 1676, pp. 532-534; G.A. Patrignani, Menologio( d'alcuni religiosi, III, Venezia 1730, pp. 120-124; G.C. Cordara, Historia Societatis Iesu, VI, 1, Romae 1750, pp. 141-143; T. Scherer, M. Missionar in der Turkei, in Lebensbilder aus der Gesellschaft Iesu, Schaffhausen 1854, pp. 349-365; E. de Guilhermy, Ménologe de la Compagnie de Jésus, II, Paris 1894, pp. 170-173; P. Pirri, Lo stato della chiesa ortodossa di Costantinopoli e le sue tendenze verso Roma in una memoria del p. G. M., S. I., in Miscellanea Pietro Fumasoni Biondi, I, Roma 1947, pp. 81-103; P.I. Iparraguirre, Historia de los ejercicios de s. Ignacio, II, Bilbao-Roma 1955, pp. 304 s., 476; Id., Répertoire de spiritualité ignatienne, Roma 1961, nn. 553, 822-835; Id., Comentarios de los ejercicios ignacianos, Roma 1967, n. 306; M. Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia. L'epoca di Giacomo Lainez, Roma 1974, pp. 286-289; Id., Storia della Compagnia di Gesù in Italia. L'opera di Francesco Borgia, Roma 1994, pp. 277, 307, 334, 390; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, V, coll. 460-462; IX, coll. 632; Dictionnaire de spiritualité, X, 1, coll. 192-194; Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, III, p. 2492.