GERARDO, Giulio
Nacque a Venezia nel 1544 da Giovanni di Biagio, avvocato, e da Marina di Martini, in una famiglia di ceto cittadino. Terzogenito di quattro figli maschi, indirizzati tutti alla carriera in Cancelleria ducale, fece il suo ingresso come notaio straordinario il 22 sett. 1561.
Nel 1565 seguì come coadiutore il capitano generale da Mar, Marco Michiel. Dopo una disputa con Bonifacio Antelmi, con il quale entrerà in concorrenza più volte, nel 1569 il G. fu inviato presso il re di Spagna come segretario dell'ambasciatore Leonardo Donà (il futuro doge), sebbene non fosse ancora notaio ordinario, come prevedeva invece la normativa. Nel corso della difficile missione diplomatica, che aveva come principale obiettivo una lega da stringere rapidamente tra i principi cristiani contro l'Impero ottomano (scoppiata ormai la guerra di Cipro), il Donà elogiò più volte l'operato del suo segretario, chiedendo che ne fossero riconosciuti i meriti attraverso una promozione. Nel concorso per notaio ordinario del giugno 1571, il G. rimase però escluso (passò invece l'Antelmi). Da Madrid Leonardo Donà si rammaricò allora con il Senato del fatto che "il povero giovane, con tutta la buona servitù che fa qui alla Serenità vostra et a me, non ha potuto ricevere questa consolatione", nonostante che "la molteplicità de le mie lettere, le repplicate, li registri et il metter in tanta cifra dimostrano molto bene se in questa occasione si fanno delle fatiche" (Corrispondenza da Madrid di Leonardo Donà (1570-1573), a cura di M. Brunetti - E. Vitale, I, Venezia-Roma 1963, p. 353). La promozione arrivò comunque il 27 ag. 1572; richiamato in patria il Donà, al G. fu chiesto di rimanere in Spagna come segretario del nuovo ambasciatore, Lorenzo Priuli. Egli acconsentì, sebbene tale incarico costituisse un forte aggravio per le finanze familiari.
Con il passaggio a notaio ordinario, il suo salario annuo era aumentato da 36 a 50 ducati, cui si aggiungevano 96 ducati di stipendio come segretario d'ambasciata (in totale dunque poco più di 12 ducati al mese), una somma ben magra rispetto alle necessità di rappresentanza. La successiva promozione è del settembre 1575, quando divenne segretario del Senato (il suo salario base salì allora a 64 ducati annui). L'ambasciatore Priuli, al rientro dalla Spagna nel 1576, sottolineò con particolare calore l'"affetione" del G. e dei suoi fratelli verso la patria, evidenziando come "mai alcun di loro habbia ricusato di servir li rapresentanti suoi, anzi per l'ordinario si sono trovati la maggior parte di loro fuori di casa, al servitio della Serenità Vostra, nel qual si sono affaticati sempre volentieri, che certo, sia detto con pace di ogn'uno, è raro essempio in questi nostri tempi" (Arch. di Stato di Venezia, Collegio. Relazioni, b. 27, c. 20, 28 giugno 1576). A sollievo dei numerosi debiti gli furono concessi alcuni emolumenti integrativi (tra cui la rendita di un ufficio per 150 ducati annui), ma nel frattempo il dissesto economico familiare aveva provocato dissidi tra i fratelli, portando alla scissione della fraterna.
Per dividere beni e debiti, nel 1578 ognuno dei fratelli elesse un giudice arbitrale: il G. nominò Leonardo Donà, Marcantonio ricorse al suocero Luc'Antonio Giunti (lo stampatore), mentre Francesco e Giacomo scelsero entrambi Alvise Priuli di Giovanni. La difficoltà di trovare un accordo indusse poi i fratelli a nominare un solo giudice, l'avvocato Girolamo Pozzo, che con grande fatica arrivò alla sentenza arbitrale nel novembre 1579. Le proprietà immobiliari, in gran parte ereditate dal padre e dagli zii paterni, erano gravate da pesanti ipoteche. Il G. uscì dalla fraterna restando quasi del tutto privo di beni propri e con qualche debito. Si decise infatti che le case di residenza a S. Antonino in Venezia, valutate attorno ai 4000 ducati, restassero a Francesco, il quale si addossò una cifra equivalente di debito degli oltre 8500 ducati complessivi (l'aggravio restante fu ripartito tra i fratelli). Quanto ai molti soldi "vadagnati in mare" da Francesco, assorbiti dalle spese di casa, restava alla coscienza d'ognuno il rimborso al fratello in tempi migliori (Arch. di Stato di Venezia, Notarile, Atti, b. 3334, 11 nov. 1579). Al secondogenito, Marcantonio, spettò buona parte delle proprietà fondiarie di terraferma. Una parte dei 5000 ducati portati in dote nel 1566 da Faustina Giunti, era andata a beneficio della fraterna, così al momento della divisione molti beni rimasero a Marcantonio come garanzia della dote della moglie. Dal matrimonio con Faustina erano nati Giovanni, Francesco (entrambi destinati alla carriera cancelleresca) e Marina (che sposò il patrizio Marco Pasqualigo; da loro discenderà il ramo dei Pasqualigo Basadonna di S. Canciano). Dopo aver ottenuto la cittadinanza originaria nel 1576, Marcantonio divenne "bollador" ducale e morì tra il 1596 e il 1597.
Il 22 ott. 1580 il G. ebbe l'incarico di recarsi a Napoli per riprendere le normali relazioni diplomatiche, dopo che da oltre un anno il Senato aveva ritirato il suo residente, offeso dal viceré. I problemi cui dovette far fronte furono molteplici: gli armamenti delle galee e gli spostamenti della flotta spagnola; le segnalazioni relative all'armata turca; le difficoltà di approvvigionamento annonario di Napoli; i rapporti con il viceré (con Juan de Zúñiga fino al 1582, quindi con P. Téllez Girón duca d'Osuna); gli aiuti in soldati e grani promessi da Filippo II per le isole veneziane del Levante; i dissidi per il pagamento di questi rifornimenti annonari, preziosi in particolare per Corfù, che obbligavano il residente a lunghe contrattazioni; gli incessanti conflitti per la navigazione in Adriatico. Ma più grave tra tutti era il problema dell'attività corsara: invano Venezia chiedeva il blocco dei vascelli di corsa, quelli che facevano base a Malta e ancor più quelli che partivano dal Regno di Napoli e dalla Sicilia, provocando danni al commercio veneziano. Le loro azioni di pirateria contro i Turchi rischiavano di incrinare la fragile pace separata con l'Impero ottomano, stipulata da Venezia nel 1573 e tanto avversata dalla Spagna. Tra i problemi affrontati dal G. vi furono anche gli accordi per la restituzione del prestito di oltre 46.000 carlini concesso all'imperatrice Maria d'Asburgo dal banco della famiglia Pisani (ma a nome della Repubblica), e riscosso tramite gli agenti del banchiere milanese Bernardo Olgiati in Napoli; l'intervento di Filippo II e del viceré per mediare tra Venezia e il papa nel conflitto giurisdizionale per il patriarcato d'Aquileia.
Richiamato in patria nell'aprile 1585, il G. lasciò Napoli nei giorni in cui scoppiava la grave rivolta del maggio 1585, mentre a sostituirlo arrivava il fratello Giacomo.
Ripartì da Venezia alla volta di Milano nel giugno 1587, portando con sé la moglie Andriana Trevisan di Angelo e due figli ancora in tenera età. La difesa della giurisdizione veneziana nei territori di confine, a seguito dei continui conflitti tra gli abitanti dei territori veneti di Bergamo e Crema e quelli dello Stato di Milano, e gli accordi in materia di estradizione di banditi furono i principali problemi affrontati.
L'argomento predominante dei dispacci, dopo l'assassinio di Enrico III, era tuttavia la situazione francese: le guerre di religione, gli aiuti militari spagnoli in favore della parte cattolica, i successi di Enrico di Navarra, che tante preoccupazioni suscitavano nella corte spagnola di Milano. Nel giugno 1590, il G. chiese di rientrare in patria, ma nel frattempo la moglie si ammalò e morì nel giro di poche settimane. In cattive condizioni di salute, il G. continuò a svolgere il suo incarico fino ad ottobre, quando arrivò a sostituirlo il segretario Pietro Pellegrini.
Verso la fine del marzo 1594 rimase vacante uno dei quattro ambitissimi posti di segretario del Consiglio dei dieci: si aprì allora un'asperrima contesa che ebbe il G. tra i protagonisti. Il Consiglio dei dieci, cui spettava la nomina, era diviso: una parte intendeva impedire la promozione del G. poiché già il fratello Francesco era segretario di quel potente Consiglio, l'altra parte ne sosteneva invece la candidatura; dopo numerosi ballottaggi fu eletto Bonifacio Antelmi. Per evitare il ripetersi di simili situazioni, a fine aprile fu discussa in Senato una legge che vietava a chi fosse parente diretto di un segretario del Consiglio dei dieci di candidarsi alla medesima carica. La proposta, sentita dai Gerardo come un affronto, provocò l'intervento del fratello Francesco, il quale compilò un elenco del gran numero di segretari del Senato e del Consiglio dei dieci, presenti e del passato, imparentati tra loro: in conclusione, era evidente come "questo serenissimo dominio ha voluto sempre abbracciar più che ha potuto al suo servitio quelli di un'istessa famiglia, et procurato di haver più pegno in mano che li è stato possibile per esser fedelmente servito […]. Et li sopradetti tre fratelli Girardi segretari, che non hanno parentado né congiontion con alcuno né segretario né ordinario né pur estraordinario di Cancelleria, doveranno pur sperare di non essere a peggior conditione di tutti li altri servitori di questo Serenissimo Dominio" (Arch. di Stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Comuni, reg. 44, cc. 20v-22v, filza 201, 26 apr. 1594). Il Consiglio dei dieci impedì la lettura del documento, che ebbe però qualche effetto poiché, messa ai voti, la proposta di legge non ottenne i consensi sufficienti.
Dal primo matrimonio del G. erano nati almeno quattro figli: Francesco e Girolamo, indirizzati alla carriera cancelleresca, Zanetta e Paolina, che sposarono rispettivamente Pierantonio Da Mosto di Nicolò e Giovanni Francesco Grimani di Giulio. Nel settembre 1594 il G. si risposò con Elena Nicolò, figlia di un cittadino veneziano. Al suo terzo matrimonio, Elena portò in dote 15.000 ducati, utili a risollevare le disastrate finanze del G.; da questa unione nacque almeno una figlia, Marina, monaca a S. Maffio di Murano.
Nel 1596 il fratello Giacomo, destinato segretario a Costantinopoli, fu in tutta fretta richiamato dalla sua residenza fiorentina, mentre il G. fu inviato presso il granduca Ferdinando I. Sempre pronto "a postponer non solo ogni particolare interesse, ma la vita stessa al servitio di quel serenissimo Dominio", nell'aprile di quell'anno il G. partiva contro voglia, accompagnato dal figlio Francesco. Nei colloqui con il granduca, molto spazio ebbero gli avvenimenti francesi, i difficili rapporti tra Francia e Spagna e il fallito tentativo veneziano di mediazione tra le due Corone; forti le lamentele del granduca verso la Repubblica, per la facilità con cui informazioni segrete da lui stesso fornite, una volta giunte in Senato o in Collegio, venivano propalate. Continuo era lo scambio di notizie su quanto accadeva in Levante e sui movimenti dell'armata turca. Il G. forniva poi ragguagli sulla forza militare del Granducato e sulla costruzione della nuova fortezza a Livorno, sui problemi annonari e sulle inondazioni dell'Arno. Il soggiorno presso il granduca non fu comunque lungo, e nel luglio 1598 il G. poté rientrare a Venezia.
Nel febbraio 1605 avvenne un grande evento per i Gerardo: il Maggior Consiglio elesse il fratello Francesco alla carica di cancelliere grande. Ma la gioia non durò a lungo perché, a meno di tre mesi di distanza, Francesco morì. Il G. decise allora di concorrere alla nuova elezione del 30 maggio, ma ancora una volta fu lui a soccombere nello scontro con Bonifacio Antelmi. Esito negativo ebbe pure il tentativo del novembre 1610, quando venne eletto Leonardo Ottobon.
Il G. morì il 20 giugno 1611 nella sua casa, presso la parrocchia di S. Lio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, bb. 157, c. 67; 147, c. 270; 364/85; 367/20; Cancellier grande, b. 13, 30 maggio 1605: Memorie… Bonifacio Antelmi; Consiglio dei dieci, Comuni, regg. 29, cc. 75v-76; 32, cc. 59v, 176; 33, cc. 35v, 37; 34, cc. 29, 144, 167, 187; 35, cc. 30v-31, 63v; 36, c. 43rv; 37, c. 151v; 44, cc. 11v, 14, 16, 20v-22v; 61, c. 135v; filza 201, 26 apr. 1594; Dieci savi alle decime in Rialto, bb. 131/1097 (redecima 1566); 161/1149 (redecima 1582); Miscellanea codici, I, Storia veneta, bb. 2: T. Toderini, Genealogie delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza originaria (1569-1801), vol. 2; 12: G. Tassini, Cittadini veneziani, vol. 9; Notarile, Atti, Notaio Francesco Caopenna, bb. 2560, cc. 100v, 127v, 140, 142 (anni 1595-96); 2564, cc. 45v-48v, 103v-106v, 118v-121 (anni 1605-06); Notaio Giacomo Carlotti, bb. 3333, c. 11 (10 genn. 1578); 3334, 31 maggio, 11 nov. 1579; Notarile, Testamenti, Notaio Giulio Ziliol, b. 1243/272; Notaio Pietro Perazzo (ma il notaio è Marcantonio Cavanis), b. 1221/156; Provveditori e sopraprovveditori alla sanità, Necrologi, reg. 843, 20 giugno 1611; Senato, Deliberazioni, Secreti, regg. 82, cc. 131v-132v; 86, c. 221; 91, c. 25; Dispacci degli ambasciatori e residenti, Firenze, filze 11-13 (2 apr. 1596 - 4 luglio 1598); Milano, filze 12, 13-15 (17 giugno 1587 - 31 ott. 1590); Napoli, filze 5-7 (19 nov. 1580 - 16 maggio 1585); Senato, Deliberazioni, Mar, reg. 37, c. 9v; Senato, Deliberazioni, Terra, reg. 53, c. 208; Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Mss. it., cl. VII, 26 [8357], cc. 30v-31; 183 [8161], cc. 104-105; 341 [8623], cc. 209-212v; 1667 [8459], c. 7v; F. Mutinelli, Storia arcana ed aneddotica d'Italia raccontata dai veneti ambasciatori, II, Venezia 1856, pp. 60 s., 128-140; M. Casini, Realtà e simboli del Cancellier grande veneziano in età moderna (secc. XVI-XVII), in Studi veneziani, XXII (1991), p. 216; A. Zannini, Burocrazia e burocrati a Venezia in età moderna: i cittadini originari (sec. XVI-XVIII), Venezia 1993, pp. 155, 157-159.