VIOZZI, Giulio Emilio Giuseppe
– Nacque a Trieste il 5 luglio 1912 con cognome Weutz, italianizzato poi nel 1931. Il padre Antonio, commerciante, era triestino originario di Lubiana; la madre Erminia Degiampietro era di Cavalese. Dopo Giulio nacquero Mira e Walter, poi prefetto.
Viozzi fu avviato agli studi musicali dalla madre, frequentò in seguito il liceo Petrarca della sua città, studiando al contempo pianoforte sotto la guida di Antonio Illersberg e diplomandosi al conservatorio Tartini nel 1931. Si perfezionò in seguito con il pianista Angelo Kessissoglù e nel 1936 risultò vincitore della Rassegna nazionale giovani concertisti a Roma.
A questi anni risalgono le prime composizioni, come la Serenata per violino e violoncello e la Sonata per violino e pianoforte, nonché i primi articoli di critica musicale. Si diplomò in composizione nel 1937 sempre sotto la guida di Illersberg e due anni dopo ottenne l’incarico di docente di armonia nell’istituto musicale dove aveva studiato.
Tra il 1940 e il 1943 fu richiamato alle armi e prestò servizio in operazioni di guerra in Italia settentrionale e nei Balcani: al fronte scrisse parole e musica di un Inno della fanteria. Il 29 settembre 1943 a Cervignano del Friuli sposò la friulana Beatrice Molaro, ma poco dopo il matrimonio fu imprigionato dalle truppe tedesche per non aver aderito alla Repubblica di Salò; fu liberato grazie all’intervento di Franco Antonicelli, sovrintendente del teatro Verdi di Trieste, che lo richiese in servizio presso il teatro.
Dopo la Liberazione riprese la docenza nel liceo musicale triestino, dove gli fu conferita anche la cattedra di storia della musica e di esercitazioni corali, insegnamento che stimolò la composizione di vari brani per coro. Dopo la statizzazione del conservatorio (1958) fu nominato docente di composizione, cattedra che tenne fino al 1976. Fra i suoi molti allievi ebbe Antonio Bibalo, che fece carriera in Norvegia, Carlo de Incontrera, Giorgio Kirschner, Daniele Zanettovich, Fabio Nieder.
Le prime composizioni di Viozzi a ottenere una certa risonanza furono le Tre pitture di Van Gogh per pianoforte e Trenodia per due pianoforti, entrambe eseguite al festival di Venezia del 1951 e pubblicate da Ricordi rispettivamente nel 1953 e 1955. Seguì una serie di brani sinfonici dedicati a luoghi del territorio giuliano: Il castello di Duino (1951), Punta Salvatore (1952), Ouverture carsica (1953) riscossero un certo successo, destando l’interesse di Victor de Sabata; su suo interessamento, nel 1955 il brano sinfonico Ditirambo fu eseguito alla Scala di Milano, direttore Lorin Maazel. Nel dopoguerra s’intensificò anche l’attività di critico musicale, svolta tanto in italiano quanto in tedesco (talora sotto lo pseudonimo Bequadro), sia su riviste musicali (La Rassegna musicale, Il Diapason, Ricordiana, Musica d’oggi) sia alla radio, ai microfoni di Radio Trieste e in seguito della RAI.
Parallela alla produzione di brani sinfonici fu quella di musiche vocali da camera, per voci soliste e pianoforte o per coro. Esse rivelano l’interesse di Viozzi sia per i versi di poeti di spicco (Umberto Saba, Giovanni Pascoli, Giosue Carducci, Rainer Maria Rilke, Gabriele D’Annunzio) sia per la poesia dialettale triestina e friulana. Destinatari di buona parte della produzione corale in dialetto furono il coro Tartini diretto da Giorgio Kirschner e il coro Illersberg diretto da Lucio Gagliardi.
A partire dal 1953 Viozzi iniziò a dedicarsi al teatro in musica, genere nel quale negli anni seguenti fu particolarmente prolifico, ottenendo i maggiori riconoscimenti critici. La prima opera fu Allamistakeo, ispirata alla novella di Edgar Allan Poe Some words with a mummy; suo il libretto, come in tutti i successivi lavori operistici. Improntato a una comicità grottesca, il soggetto risultò quanto mai adatto alla realizzazione di un teatro musicale «brillante, il più possibile antiretorico», che si rifacesse alla tradizione della commedia italiana (Radole, 1985, p. 18). Vi si ritrova tutto lo «strafottente goliardismo» che per Fedele d’Amico (2000, p. 661) rappresentava la corda felice nell’immaginazione di Viozzi, tutta la «gioiosa, ottimistica energia» che Massimo Mila (1984) individuò come cifra stilistica dell’intera sua produzione, riflesso di un’indole solare e operosa. L’opera, rappresentata nel 1954 al teatro delle Novità di Bergamo, direttore Ettore Gracis, riscosse immediato successo, confermato da decine di riprese in Italia e all’estero, in numero singolarmente alto per un melodramma di quegli anni.
L’ispirazione teatrale si mantenne fervida anche negli anni successivi. L’opera radiofonica La parete bianca, che in forma oratoriale narra una tragedia alpinistica (il soggetto è legato all’amore del compositore per la montagna e l’escursionismo, spesso praticato insieme con il musicologo Mila), si aggiudicò il premio Italia 1954. Seguirono l’atto unico Un intervento notturno (Trieste, teatro Verdi, 1957) e la fantasia coreografica Prove di scena, soggetto e coreografia di Luciana Novaro (Milano, Scala, 1958).
La passione di Viozzi per il teatro non interruppe l’intensa attività di composizione di musica strumentale da camera e sinfonica che accompagnò l’intera sua parabola creativa. Nel 1956 scrisse il Trio per violino, violoncello e pianoforte, dedicato al Trio di Trieste: con i tre musicisti egli strinse un duraturo rapporto d’amicizia, sostenendo e incoraggiando in veste di critico l’acclamata formazione cameristica. A partire dal 1957 la produzione di Viozzi testimoniò un sempre crescente interesse per il genere musicale del concerto, concretato nei decenni a venire in una nutrita serie di composizioni per svariate combinazioni di strumenti solisti. Il Concerto per violino e orchestra fu scritto per il triestino Franco Gulli, che lo debuttò il 6 settembre 1957 con l’orchestra RAI di Roma, direttore Ferruccio Scaglia. Seguirono, fra gli altri, il Concerto per quintetto con pianoforte e orchestra, due Concerti per pianoforte, il Concerto per quintetto d’archi e orchestra e il Concerto per violino, pianoforte e orchestra, tutti pubblicati a Milano tra fine anni Cinquanta e primi Settanta.
A Trieste il musicista svolse un’incisiva azione di animatore culturale in campo musicale. Nel 1958 assunse la direzione della sezione musicale del Circolo della cultura e delle arti, dove promosse cicli di conferenze cui invitò eminenti musicologi e compositori italiani e stranieri. Egli stesso tenne numerose conferenze a tema musicale, sia a Trieste sia nel teatro La Fenice di Venezia. Il forte legame con la città natale e con la cultura giuliana e friulana è un elemento che si riflette in buona parte delle sue opere: altri esempi, oltre ai già citati brani sinfonici ispirati ai luoghi giuliani, ne danno l’ouverture Leggenda (1958), basata sul racconto mitologico del camoscio bianco Zlatorog, protagonista nell’omonima «leggenda alpina» di Rudolf Baumbach, oppure il suo lavoro teatrale più importante, l’opera Il sasso pagano, tratta dalla novella Der verlassene Gott di Otto von Leitgeb, creata al teatro Verdi di Trieste il 10 marzo 1962.
Protagonista dell’opera è Don Matteo, un parroco di campagna che invano si batte per sradicare le credenze pagane degli abitanti di un piccolo paese nei pressi di Aquileia, i quali sogliono affidarsi alla protezione apotropaica di un’antica pietra rituale. L’ambientazione popolana è tratteggiata mediante il ricorso a villotte in dialetto friulano, su testi della moglie Beatrice, e a spunti folklorici innestati su un linguaggio sinfonico tradizionale.
Qualche tempo dopo la realizzazione dell’opera, a seguito del deterioramento del rapporto coniugale, i Viozzi decisero di separarsi: il matrimonio fu dichiarato nullo il 13 ottobre 1965.
Negli anni successivi il catalogo operistico si arricchì di tre lavori: il monologo grottesco La giacca dannata (pubblicato a Milano nel 1967), da un racconto di Dino Buzzati; Elisabetta (Milano, 1971), commissionata da Luigi Toffolo, direttore artistico del Verdi di Trieste, tratta dalla novella Boule de suif di Guy de Maupassant; e la breve operina L’inverno, da un racconto di Nilde Spazzali, scritta nel 1977 e andata in scena postuma, a Trieste, nel 2012.
Nel 1971 Viozzi fu tra i fondatori dell’Associazione degli Amici della lirica che oggi porta il suo nome, e ne fu il presidente. Nel 1980 sposò Gemma Kenich, con la quale visse fino alla morte. In quell’anno completò la sua partitura sacra più significativa: la Missa sanctae Euphemiae, commissionata dall’allievo e amico don Giuseppe Radole, che la diresse la prima volta il 3 novembre 1980 nella cattedrale di S. Giusto a Trieste.
Morì il 29 novembre 1984 nell’ospedale di Verona. Il 30 agosto, di ritorno da un’escursione in montagna nei pressi della sua casa in Val di Fiemme, era stato colto da ictus cerebrale. La salma fu traslata nel cimitero di Trieste il 3 dicembre.
Il fondo del compositore, che raccoglie la sua vasta produzione musicale, fu donato dalla moglie al Civico Museo teatrale Carlo Schmidl di Trieste.
Il lascito culturale di Viozzi non si limita alle sole composizioni, ma si completa con la vasta azione didattica e di divulgazione e animazione culturale. Pur rifiutando sempre l’adesione al linguaggio atonale e dodecafonico, Viozzi costruì uno stile personale facendo proprie le innovazioni linguistiche delle avanguardie del primo Novecento e raccogliendo influssi da Igor′ Stravinskij, Claude Debussy, Béla Bartók, Richard Strauss. A detta di Mila (1984), fu «uno dei pochi che provassero come si può essere artisti moderni pur conservando le basi tradizionali del linguaggio musicale».
Scelta di scritti musicali: Svevo e la musica, in La martinella di Milano, XXXIII (1979), pp. 26-30; I sette peccati di Antonio Veretti, in I sette Peccati / I Pagliacci, Venezia 1967, pp. 351-377; Il compositore d’opera: lo studio della composizione d’opera nei conservatori di musica, in Atti del 2° Convegno nazionale sul melodramma sul tema: «Il conservatorio in funzione del teatro d’opera», Alessandria 1979, pp. 21-23.
Ulteriori composizioni (salvo diversa indicazione, edite a Milano): Ballata per orchestra (1957), Musica per Italo Svevo per orchestra (1962), Epicedio per Renzo Battilana per orchestra (1965), Fantasia per chitarra (1965), Sonata per contrabbasso e pianoforte (1967), Arioso e Burlesca per sax contralto e pianoforte (1968; Udine, 1998), Racconto per chitarra (Ancona, 1978), Discorso nel vento per orchestra (1968), Fantasia su spunto di Rodolfo Lipizer per violino e pianoforte (1984, postuma: Udine, 1994), Pahorfonia per flauto solo (1982, postuma: Udine, 1986), Canti friulani per coro misto, femminile e virile (postumi: Udine, 1992).
Fonti e Bibl.: C. de Incontrera, G. V., in Pagine istriane, I (1960), pp. 130 s.; V. Levi, La vita musicale a Trieste. Cronache di un cinquantennio 1918-1968, Milano 1968, pp. 71, 77, 157, 171, 174, 180 s.; B. Bidussi, Il teatro di G. V., in Umana, XIX (1970), pp. 16-18; Enciclopedia della musica Ricordi-Rizzoli, VI, Milano 1972, pp. 349 s.; M. Mila, Sulla tastiera la felicità di vivere, in La Stampa, 4 dicembre 1984; G. Radole, G. V. Una vocazione musicale, Trieste 1985; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, II, Busto Arsizio 1985, pp. 1292, 1393, 1395 s.; F. Florit, Il Trio di Trieste: sessant’anni di musica insieme, Torino 1992, pp. 16 s., 19, 31 s., 51, 55, 93; R. Pozzi, V., G., in The new Grove dictionary of opera, IV, London 1992, p. 1017; G. V. Antologia di scritti musicali, a cura di G. Radole, Udine 1999; F. d’Amico, Tutte le cronache musicali. «L’Espresso», 1967-1989, a cura di L. Bellingardi, Roma 2000, pp. 404-407, 659-662; A. Pironti - R. Cognazzo, V., G., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVI, London 2001, p. 771; Lungo il Novecento. La musica a Trieste e le interconnessioni tra le arti, a cura di M. Girardi, Venezia 2003, pp. 273-297, 341-353.