CORTESE, Giulio
Nacque a Modena (ma Chioccarelli propende per una origine napoletana) attorno al 1530, da nobile famiglia. Sacerdote (secondo il Regio, invece, "cavaliere napoletano"), viene ricordato per la vastissima cultura enciclopedica, per la profonda competenza nell'esegesi biblica e nelle questioni teologiche, per la notevole conoscenza della cultura europea del tempo, acquisita in numerosi viaggi.
Figura di spicco nell'ambito delle accademie napoletane di fine Cinquecento, fece parte, in gioventù, dell'Accademia dei Sereni, fondata nel 1546, dallo storico G.F. Muscettola. In essa frequentò personaggi di varia estrazione culturale come l'Epicuro, il Rota, il Costanzo e venne a contatto con le tematiche religiose del valdese M. Galeota. Dal 1588 è a capo dell'Accademia degli Svegliati che, ricollegandosi all'ambiente nobiliare filospagnolo gravitante attorno a don Matteo di Capua principe di Conca, raccoglieva alcuni degli intellettuali più attivi della Napoli di fine Cinquecento. Fra essi: C. Pellegrino. G.C. Capaccio, A. Pignatelli, P. Regio (di cui fu grande amico), ed anche il Marino, ancora in giovanissima età. Nel 1593 e costretto, per ordine di Filippo II, a chiudere l'Accademia perché coinvolto nei processi inquisitori contro il gruppo degli "Svegliati" sospettati di cospirare contro l'ordinamento statale. Proprio il C. viene citato, unitamente a C. Stigliola e G. P. Vernalione, dal Campanella (in una dichiarazione, del settembre 1599, rilasciata da medesimo Campanella al processo intentatogli per congiura contro lo Stato) a proposito di un'informazione che gli era stata fornita dal C. e che riguardava l'imminenza di un rivolgimento politico. In realtà non è accertato il coinvolgimento diretto del C. in disegni di sovversione politica. Certamente fu sempre ligio all'ortodossia religiosa. La stessa filosofia telesiana, che aveva costituito l'orientamento teorico centrale della sua opera, viene poi rinnegata nell'operetta De Peo et mundo (1591). Anzi, a testimonianza della fedeltà verso il regime spagnolo, essa viene dedicata al viceré E. Guzman. Tutti gli ultimi anni della sua vita, trascorsi in uno stato di grave infermità, furono dedicati alla teorizzazione del cattolicesimo di ispirazione controriformistica. Morì nel 1598.
L'ambiente in cui si formò il C. è quello della cultura napoletana di fine Cinquecento nella quale le tematiche legate alla riforma religiosa si intrecciano con la riflessione sulla filosofia telesiana e sul naturalismo magico di G. B. Della Porta. Oltre alla composizione di numerose poesie, raccolte nelle Rime (1588), comprendenti 127 sonetti, 16 madrigali, 8 canzoni e una sestina, per lo più di argomento amoroso e di ispirazione petrarchesca (ma non mancano poesie encomiastiche, politiche, filosofiche, religiose), il C. si occupò di poetica. In particolare nelle Regole per fuggire i vizii dell'elocuzione (1592), nei trattati Dell'imitazione e dell'invenzione (1592), Delle figure (1591), nonché in una Poetica non pervenutaci (ma a cui il C., unitamente a un Discorso fatto intorno alle forze del senso e dell'intelletto, più volte allude). In opposizione alla tradizione manieristica, il C. considera la poesia come strumento conoscitivo della realtà e teorizza la fondazione scientifica dell'espressione poetica. I difetti che "sconciano l'elocuzione" - "l'oscurità, la durezza, l'anfibologia, la viltà, la superfluità, la stranezza" (Regole per fuggire..., p. 1) - contribuiscono a rendere incomprensibili ai lettori i concetti. La vacuità letteraria, l'"artificio" fine a se stesso, finiscono per causare l'isolamento degli scrittori "che non altro scrivono che per comunicare i loro pensieri per le penne e per gli inchiostri" (ibid.). In polemica con il "puro grammatico" il C. mira a restituire importanza alla parola in quanto apportatrice di conoscenza effettiva: funzione, questa, che la pratica dell'artificio manieristico andava dissolvendo. Le parole si rivelano più importanti persino della natura medesima, in quanto costituiscono lo schermo interpretativo della realtà. In questo senso va interpretato l'avvertimento "che gl'idioti non confondano il subietto con il concetto" (Avvertimenti..., p. 2):l'uno è il dato empirico, l'altro è "quello che lo spirito mediterà di ordire in parole" (ibid.). Tutti i fatti sono mediati dalle parole, anzi - afferma il C., rifacendosi ad un filosofo saraceno, in una lettera a S. Oratio Martos - "le voci humane articolate sono i veri fatti e i pennelli onde le cose si pingono agli occhi dell'intelletto dell'ascoltatore".
La tematica religiosa, emergente dai Concetti catolici (1586) e dal De Deo et mundo (1595) è strettamente connessa con quella politica e ideologica così come appare dai trattati Dell'ingratitudine (1591), Regole per formare epitafii (1591) e dalla Oratione alle potenze italiane per lo soccorso della Lega Germana contra il Turco (1594). Le idee politiche del C. sono fondamentalmente caratterizzate da una sostanziale fedeltà ai gruppi nobiliari legati alla rendita fondiaria, che sfocia in un'appassionata laudatio temboris acti nella Lettera ad Alfonso d'Elia nella quale si esalta la scomparsa virtù della società feudale (Quondam, La parola..., p. 100, sostiene, tuttavia, che "il senso ideologico del tentativo cortesiano... resta consegnato a una funzionalità antifeudale"). Sulla stessa linea ideologica si colloca anche la denuncia della corruzione e immoralità dei ceti commerciali emergenti, esplicita nelle Regole per formare epitafii (in particolare, pp. 11-12).
In questo contesto politico-ideologico si innesta la tematica religiosa del principio dell'unità della fede cattolica, monoliticamente contrapposta alle eresie luterane, ugonotte, calviniste e ai "loro seguaci crudelissimi" (Concetti..., p. 90); a questo atteggiamento si può ricondurre la scelta del C. come interlocutore del Campanella nel Dialogo politico contro luterani, calvinisti, e altri eretici, scritto da quest'ultimo nel 1595. Questo "crudele trionfalismo controriformistico" (Bolzoni, Note..., p. 480) è accompagnato da una precisa distinzione (teorizzata nelle ultime opere e specie nell'Oratione ...) fra una religione normativa riservata alle classi popolari e controllata dalla Chiesa come organismo produttore del consenso politico, e una religione speculativa, appannaggio dei dotti. Quest'ultima è caratterizzata da una visione teologica contraddittoria nella quale coesistono elementi cattolici ortodossi ed elementi laici quali il neoplatonismo, il cabalismo e la "magia naturalis dellaportiana, il materialismo sensistico di Telesio. In quest'ottica vanno interpretati i tentativi di conciliazione tra le Sacre Scritture e i principî della "filosofia naturale" messi in atto nei Concetti.
Il tentativo di conciliare l'integralismo cattolico e la fondazione scientifica del discorso tramite il ricorso alla filosofia telesiana, viene meno nell'opera De Deo et mundo scritta tre anni prima della morte. Dominata da uno scetticismo profondo sulle possibilità della conoscenza sensibile e intellettuale, l'opera è rivolta contro la pretesa totalizzante della filosofia naturale telesiana. I suoi principi sono confutati in modo radicale: dall'esposizione dei dati empirici in contraddizione con quelli utilizzati da Telesio (De Deo..., pp. 31-32), alle aporie nelle tematiche ontologiche e religiose di più ampio respiro (specie pp. 33 s., 47). In particolare viene colta l'incapacità del telesianesimo di cogliere le costanti della conoscenza umana che sovrastano l'estrema varietà, mobilità e volubilità dei modi empirici (sensitivi e intellettivi) di interpretare la realtà, percepibile, invece, nella sua radice ultima, solo nell'ambito della fede.
Opere. Due poemi inediti del C., Il Guiscardo e Il Ferabacco (interrotto alla XVIII ottava del secondo canto) sono conservati nel ms. XIV A 22della Biblioteca nazionale di Napoli. Altre poesie inedite si trovano nel cod. Pal. 648 della Biblioteca Palatina di Parma secondo quanto scrive P. O. Kristeller nel suo Iter Italicum, II, p. 37.
Le opere più importanti del C. sono raccolte in un volume organico, Rime e prose, Napoli 1592, composto da una raccolta di opuscoli: Rime (pp. 1-80) e Rime, parte seconda (la numerazione ricomincia, pp. 1-27); Lettera dell'uso delle vocali, 1592, pp. 28-32; Regole per fuggire i vitii dell'elocutione, 1592 (la numerazione ricomincia, pp. 1-48); Avvertimenti nel poetare ai signori Academici Svogliati di Napoli, 1590(la numerazione ricomincia, pp. 122); Dell'imitatione e dell'inventione, 1592 (la numerazione ricomincia, pp. 1-5); Regole per formare epitafii, 1591, pp. 6-21; Delle figure, 1591(la numerazione ricomincia, pp. 1-16); Dell'ingratitudine, 1591 (la numerazione ricomincia, pp. 1-20). Le altre opere sono: Concetti catolici ridotti in forma d'orationi, Napoli 1586; Oratione di Don Giulio Cortese theologo alle potenze italiane per lo soccorso della Lega Germana contra il Turco, ibid. 1594; De Deo et mundo, ibid. 1595.
Fonti e Bibl.: La fonte più attendibile sulla vita del C. è la Vita di G. C., premessa da P. Regio ai citati Concetti. Si veda anche B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus Regni Neapolitani; conservato nel ms. XIV A 28 della Biblioteca nazionale di Napoli; G. G. De Rossi, Tavola degli autori, in Rime e versi in lode della ill.ma et ecc.ma Signora Donna Giovanna Castriota Carrafa, Duchessa di Nocera et Marchesa di civita S. Angelo, scritti in lingua toscana, latina et spagnola da diversi uomini illustri, Napoli 1585, alle ultime pagine. Vedi anche N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, pp. 25-27. Sulla vasta erudiz. del C. vedi anche G.B. Manso, Vita di T. Tasso, Venezia 1621, pp. 321-322. B. Tafuri, in Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli. Napoli 1753, III, p. III, ci informa che nel testo di Rime e versi, sono contenute rime, canzoni, poesie volgari e latine del Cortese. Per i suoi rapporti con l'Accad. dei Sereni e con il Galeota, vedi, rispettivamente, A. Borzelli, I capitoli ed un poemetto di C. Pellegrino il vecchio, Napoli 1900, p. XVI, e L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892, p. 147. Sempre L. Amabile ci informa sulla dichiarazione di Campanella che cita il C. al suo processo per congiura contro lo Stato, in Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi, la sua pazzia, Napoli 1882, III, p. 28. P. Regio, infine, riporta le lettere del C. a S. Oratio Martos e ad Alfonso d'Elia (citate nel testo), rispettivamente in Delle vite dei santi descritte da mons. P. Regio, vescovo di Vico Equense, Napoli 1587, libro II, e Discorsi intorno le virtù morali, ibid. 1576 (cit. da L. Bolzoni, 1973, pp. 485, 489). Per la letter. critica sul C. vedi B. Weinberg, A History of Literary Criticism in the Italian Renaissance, Chicago 1961, pp. 235 s.; L. Bolzoni, Le prose letter. di G. C.: una fonte della giovanile "poetica" campanelliana, in Giornale stor. della lett. ital., CXLVIII (1971), pp. 316-326; A. Quondam, Dal Manierismo al Barocco, per una fenomenologia della scrittura poetica a Napoli tra '500 e '600, in Storia di Napoli, V, 1, Napoli 1972, pp. 427-434 (ora ristampato in A. Quondam, La Parola nel labirinto, Bari 1975, pp. 100-107); L. Bolzoni, Note su G. C., per uno studio delle accad. napoletane di fine '500, in Rass. della lett. ital., s. 7, LVII (1973), pp. 475-499; G. Ferroni-A. Quondam, La "locuzione artificiosa", Roma 1973, pp. 178-181, 414-15.