RICCARDI, Giulio Cesare
RICCARDI, Giulio Cesare. – Nato a Fondi tra il 1550 e il 1552 da Francesco di Alessandro dei marchesi di Ripa, ebbe quattro fratelli: Alessandro, vescovo di Sessa; Bonifacio; Fabio, membro del Regio Consiglio di Napoli; Lelio, giudice della Corte della Vicaria. Nessuna notizia su alcune sue sorelle di cui si occupò dopo la morte della madre, anch’essa sconosciuta.
«Educato e promosso dall’illustrissima casa Caetana», come egli stesso ebbe a dire e come dimostra l’intima amicizia con Giovan Francesco Peranda, segretario e factotum del nobile casato, ricoprì il suo primo incarico di segretario alle dipendenze del cardinale inquisitore Scipione Rebiba. Alla morte di questi (1577) la preoccupazione di Riccardi, privo di «padrone», fu solo mitigata da Peranda («la sua esclusione del Santo Officio non le diminuisce né onor né merito», Le lettere..., 1614, c. 47rv) per esser poi placata dal potente cardinale Nicola Caetani, che lo mise al servizio di Annibale Di Capua, destinato nunzio a Venezia. Intanto Peranda rassicurava Riccardi sui vantaggi che l’incarico di segretario gli avrebbe garantito («se ne venga risoluta di andarsene a Venezia […] lo spatio di due anni finisce presto et chi sa quello che può nascere da questo tempo», ibid.). Di salute cagionevole, forse Riccardi raggiunse Di Capua solo nell’autunno inoltrato del 1577 (nel mese di ottobre scriveva da Fondi, malato) e, nonostante gli ottimi rapporti con il suo nuovo signore, desiderava tornare a Roma. Rifiutò, tuttavia, di subentrare a Benedetto Manzoli, promosso vescovo di Reggio, nell’ufficio di segretario del cardinale Luigi d’Este, perché considerava inadeguato il trattamento economico offertogli: a Roma non si poteva vivere «senza doppia spesa» (Roma, Archivio Caetani, 50761, lettera di Riccardi a Peranda, Venezia, 19 aprile 1578).
Conclusasi la nunziatura veneta di Di Capua – eletto arcivescovo di Napoli durante la rappresentanza veneziana –, Riccardi lo seguì nella capitale partenopea. Messo sotto inchiesta per ordine di Gregorio XIII nel 1580 (ma si ignora il crimen di cui era accusato), poté giustificarsi ed essere riabilitato grazie all’interessamento di Di Capua e dei cardinali Nicola Caetani e Giacomo Savelli. Canonico di Napoli dal 28 aprile 1583, rassegnò il beneficio due anni dopo. Nel 1586, con la nomina di Di Capua a legato pontificio in Polonia, Riccardi entrò al servizio del cardinale Enrico Caetani.
Seguì il porporato nella sua legazione di Bologna (1586-87) come segretario particolare, ma «esaurito di nervi ed in malferma salute» (Caetani, 1927, p. 183) iniziò presto a detestare il soggiorno bolognese che anche Enrico non amava, e che si concluse con la nomina di questi a camerlengo di S. Chiesa, grazie all’acquisto di quell’ufficio. Con lo stesso incarico di segretario Riccardi affiancò Enrico nella legazione in Francia degli anni 1589-90, durante l’ultima fase delle guerre di religione. In quella circostanza, l’aperta faziosità del legato e dello stesso Riccardi per la Spagna (entrambi ricevevano denaro dalla corte madrilena) scatenarono le ire di Sisto V, che minacciò di richiamare Caetani; quanto a Riccardi, il pontefice passò a definirlo da «miglior secretario del mondo» (ibid., p. 283) a «traditore et mancipio de’ Spagnuoli et autore d’ogni disordine» (Tempesti, 1754, p. 313).
Diversa fu la considerazione che dei Caetani e di Riccardi ebbe Clemente VIII, tanto che il giorno dopo l’elezione pontificia di Ippolito Aldobrandini (30 gennaio 1592), Peranda poteva informare il patriarca di Alessandria Camillo Caetani – di lì a pochi mesi destinato nunzio apostolico in Spagna – che «Riccardi ascenderà ad maiora et sarà patrone del pontificato» (Die Hauptinstruktionen, 1984, p. CCXLII). L’arcidiocesi di Bari fu conferita a Riccardi poco dopo, il 30 ottobre 1592, ma egli ne prese possesso solo ai primi di gennaio 1593, per poi affrettarsi a tornare a Roma nel settembre del 1594 – con l’intento di ottenere qualche incarico pontificio – dopo aver chiesto al papa di anticipare la sua visita ad limina; non prima, tuttavia, di aver celebrato il sinodo diocesano (aprile 1594) e aver impresso nell’arcidiocesi una forte impronta riformatrice ispirata al modello borromaico, come si scorge anche in una lettera che il vescovo di Bitonto gli scriveva poco dopo la sua partenza per Roma («tanto prima il clero era licentioso, quanto hora […] è ritirato et vive in timore et onor», Archivio segreto Vaticano, Vescovi e Regolari, Positiones, 1595, B, cc. n.n., 13 agosto 1594).
Agli interventi tesi a reprimere abusi ed eccessi fecero eco sia severe misure contro il clero ignorante e i chierici negligenti – grazie alla vigilanza costante di quattro visitatori in tutta l’arcidiocesi – sia provvedimenti tesi alla disciplina positiva del clero e relativi alla recita degli uffici divini in coro (a lui si deve anche la riorganizzazione della cappella musicale del duomo e la donazione al capitolo di codici musicali e liturgici), all’accesso ai sacramenti, alla formazione dei novizi e dei canonici. In questa azione, nell’impossibilità di sostenere i costi per la fondazione di un seminario e per l’erezione delle prebende capitolari del teologo e del penitenziere, essenziale fu la cooperazione dei gesuiti. Con lo stesso spirito Riccardi ridusse i canonicati metropolitani da 42 a 24, per garantire ai canonici migliori condizioni di vita e, nei monasteri femminili cittadini, il numero delle claustrali. L’attenzione verso i fedeli interessò l’istituzione del catechismo nelle parrocchie, la recita di un sermone quotidiano dopo il vespro (ma anche il divieto delle sacre rappresentazioni in forma teatrale), la vigilanza sull’adempimento del precetto pasquale, l’assistenza ai malati e ai moribondi, non solo spirituale (fece costruire un ospedale poi gestito dal Monte di pietà cittadino).
Il 1° aprile 1595 fu nominato nunzio in Savoia (ma senza la facoltà di legato de latere ottenuta da tutti i suoi predecessori), nonostante la sua preferenza per Venezia, da dove avrebbe potuto più facilmente essere in contatto con la sua diocesi grazie ai continui traffici marittimi della Serenissima nell’Adriatico. Ma Torino era comunque in Italia, si viveva «con puoco», non si dovevano affrontare le spese dei più costosi viaggi europei. Nel maggio del 1598, per esser «mal ridotto di sanità» e per la mancanza delle necessarie rendite, avrebbe rifiutato la nunziatura presso l’imperatore. Giunto a Torino l’11 maggio 1595, riformati gli uffici della Nunziatura (con lui inizia la serie dei Registra Sententiarum dell’archivio), su richiesta della Curia stese un rapporto sulla situazione religiosa ed ecclesiastica del Ducato che evidenziò il ritardo delle diocesi sabaude nella ricezione dei decreti tridentini.
Il basso clero piemontese era ignorante e viveva in maniera più che rilassata, complici i vescovi e la miopia con cui avevano ammesso i candidati agli ordini sacri. E anche se i presuli iniziavano ora a vigilare nelle diocesi di Saluzzo e Vercelli la situazione rimaneva critica, vuoi per la debolezza del vescovo Antonio Pichot, che pur essendo «di vita esemplarissima» non aveva, di fatto, alcuna autorità, vuoi per l’abbandono della «cura ecclesiastica» da parte di Marcantonio Vizia, «imputato di carnalità», in quei giorni a Roma e in attesa di giudizio. Ma le cause del ritardo nel rinnovamento tridentino avevano ragioni anche politiche e riguardavano la situazione dei feudi ecclesiastici della S. Sede (soprattutto quelli dell’Asteggiana), zone immuni alla giurisdizione ducale, covi di banditi e contrabbandieri, fastidiose enclaves di cui i vescovi si sarebbero liberati volentieri. Riccardi propose quindi l’istituzione di una commissione cardinalizia che avrebbe dovuto sciogliere i nodi di quelle isole giurisdizionali della S. Sede, ma solo nel secolo successivo sarebbe nata un’apposita congregazione particolare.
La situazione dei territori al di là dei monti, nelle diocesi di Maurienne, Tarentaise, Ginevra, Belley e nei territori della Bresse (diocesi di Lione) e del decanato di Savoia (diocesi di Grenoble, con capitale Chambéry), venne esaminata per conto di Riccardi da Thomas Pobel, vescovo di Saint-Paul-Trois-Châteaux. Nelle diocesi di Maurienne e Ginevra si erano compiuti progressi grazie anche alla riconquista cattolica dello Chablais a opera di s. Francesco di Sales, corrispondente ed estimatore di Riccardi. Il santo diceva del nunzio: «più zelante prudente e pietoso protettore e medico non potevano desiderare queste povere et afflitte chiese di Savoya» (Oeuvres, 1900-1902, XI, p. 183). La situazione era invece critica a Tarentaise e a Belley e disastrosa nella Bresse e nel decanato, i cui vescovi francesi erano assenti e simoniaci, mentre i sacerdoti corrotti e scandalosi. Ma se la Bresse di lì a poco (1601) sarebbe passata sotto l’orbita politica francese, il decanato non avrebbe avuto quella riscossa che Riccardi auspicava. Né il breve per l’erezione di Chambéry in vescovato che egli aveva nel cassetto poté essere pubblicato per mancanza di redditi con i quali dotare l’erigenda diocesi.
Tra la metà dell’agosto del 1598 e il marzo del 1599 si trasferì a Saluzzo. Più che la minaccia della peste che si stava propagando tra Torino e Vercelli, a spingere il nunzio nel Marchesato furono le richieste dei missionari cappuccini. La sua presenza in loco avrebbe contribuito a contrastare la propaganda valdese, privata – dopo gli accordi di Vervins del 2 maggio 1598 – del sostegno proveniente dal Delfinato, mentre la pace avrebbe permesso allo zelo missionario di vedere finalmente «purgate tutte le Valli di Piemonte», preludio a quella riforma del clero sabaudo che Riccardi assicurava entusiasta al pontefice. A Saluzzo il nunzio avrebbe dovuto introdurre i decreti tridentini, contrastando le pretese libertà gallicane della diocesi e riformare il clero, corrotto e impreparato sin dai tempi della visita dell’arcivescovo torinese Claudio di Seyssel (1517-18), affinché il futuro presule trovasse «il clero ritirato da molti abusi et scandali nelli quali era abituato per l’indulgenza de’ vescovi passati, li quali seguitando la libertà gallicana curavano poco dell’essempio della vita» (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Savoia, 35, c. 468v).
La riconquista del cattolicesimo nel Marchesato non poteva prescindere, secondo Riccardi, dalla predicazione e dalla collaborazione con le autorità secolari. Per parte sua, Carlo Emanuele I, memore dei precedenti insuccessi militari contro i valdesi, accettò i consigli del nunzio indossando l’abito del difensor fidei. Il favore di Clemente VIII era ineludibile per i suoi progetti espansionistici su Saluzzo (e non solo) e poteva costituire un solido contraltare all’asfittica protezione di Filippo II, dalla cui corte giungevano direttive costantemente tendenti a frenare le sue iniziative militari. Così, mentre il duca limitava con varie ordinanze i diritti già riconosciuti ai riformati piemontesi (accordo di Cavour, 1561), Riccardi promuoveva, nelle valli di Perosa e San Martino e in quelle di Angrogna e Luserna, le missioni di cappuccini e gesuiti – questi ultimi da lui stesso richiesti al papa –, i primi capaci di toccare i cuori con «l’esempio della vita», i secondi in grado di usare le «acuminate armi della retorica» contro i ministri riformati. L’aiuto dato dal nunzio alle missioni emerge con grande chiarezza dai registri della Collettoria della Nunziatura, che tengono traccia dell’attività di Riccardi – trait d’union tra la Segreteria di Stato, il S. Uffizio, la tesoreria della Camera e i missionari – il quale concedeva ai predicatori facoltà speciali (per esempio, l’assoluzione per i relapsi), finanziava i missionari, emetteva ordini di pagamento per i sussidi ai convertiti.
Sempre più malfermo di salute, lasciata Torino ai primi di ottobre del 1601 per tornare in diocesi, si spense il 13 febbraio 1602 a Napoli, dove fu sepolto nella cappella familiare della chiesa di S. Spirito.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Caetani, 50761, lettera di Riccardi a Peranda, Venezia, 19 aprile 1578; Archivio segreto Vaticano, Vescovi e Regolari, Positiones, 1595, A-B; Segreteria di Stato, Savoia, 35, c. 468v; Le lettere del signor Gio. Francesco Peranda, Venetia 1614, c. 47rv e passim; Oeuvres de saint François de Sales…, XI-XII, Annecy 1900-1902, ad ind.; Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII. für die Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen. 1592-1605, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984, pp. CCXLI-CCXLII.
M. Ferrero, Rationarium chronographicum missionis euangelicae…, Augustae Taurinorum 1659, pp. 117 s.; C. Tempesti, Storia della vita e geste di Sisto Quinto…, Roma 1754, p. 313; M. Garruba, Serie critica de’ sacri pastori baresi, Bari 1844, pp. 338-347; C. Manfroni, Nuovi documenti intorno alla legazione del cardinal Aldobrandini in Francia (1600-1601), in Archivio della Società Romana di Storia Patria, XIII (1890), pp. 101-150; P. Santamaria, Historia Collegii Patrum Canonicorum Metrop. Ecclesiae Neapolitanae, Neapoli 1900, p. 448; G. Caetani, Domus Caietana, II, San Casciano Val di Pesa 1927, ad ind.; M. Grosso - M.F. Mellano, La controriforma nella arcidiocesi di Torino, III, Città del Vaticano 1957, pp. 133-146; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1958, p. 312; A. Erba, La Chiesa sabauda. Ortodossia tridentina, gallicanesimo savoiardo e assolutismo ducale (1580-1630), Roma 1979, ad ind.; J.W. Wos, Annibale di Capua. Nunzio apostolico e arcivescovo di Napoli. Materiali per una biografia, Roma 1984, ad ind.; A. Gardi, Il cardinale Enrico Caetani e la legazione di Bologna (1586-1587), Roma 1985, p. 22; Storia di Bari, III, 2, a cura di A. Massafra - F. Tateo, Roma-Bari 1992, pp. 104, 161; V. Mellinghoff-Bourgerie, François de Sales (1567-1622). Un homme de lettres spirituelles. Culture, tradition, épistolarité, Genève 1999, p. 441; C. Povero, Missioni in terra di frontiera: la Controriforma nelle valli del Pinerolese, secoli XVI-XVIII, Roma 2006, pp. 79-84; S. Boni, Gaeta nello splendore della sua nobiltà e i suoi governatori, Roma 2008, pp. 146-150; V. Lavenia, L’Inquisizione del duca. I domenicani e il Sant’Uffizio in Piemonte nella prima età moderna, in I Domenicani e l’Inquisizione romana, a cura di C. Longo, Roma 2008, pp. 415-476; P.P. Piergentili, «Christi nomine invocato». La Cancelleria della Nunziatura di Savoia e il suo Archivio, Città del Vaticano 2014, ad ind. (con documenti e bibliografia).