MARTINENGO, Giulio Cesare
– Figlio di Gabriele e di Eufemia, nacque a Verona in data collocabile tra il 1564 e il 1568.
In un’anagrafe del 1583 (la stessa che attesta la presenza del padre nella casa degli accoliti di Verona) al M. è attribuita l’età di 15 anni, il che indicherebbe il 1568 circa come anno di nascita (Paganuzzi, 1973, p. 563); il luogo dovrebbe essere con molta probabilità Verona. Quando, nel 1586, il conte Mario Bevilacqua fece dono al M. di quanto era necessario per la costituzione del patrimonio ecclesiastico, nella sottoscrizione giurata la madre Eufemia affermava che il figlio era nato nel 1564 e battezzato nella chiesa di S. Elena a Verona (ibid., pp. 561 s.). In quel periodo il padre del M. si trovava a Udine, ma nulla vieta, ovviamente, che avesse preferito far nascere il figlio (forse l’unico) nella sua città d’origine.
Quasi certamente allievo della scuola accolitale del duomo di Verona, il M. fu ordinato sacerdote il 17 dic. 1586 e divenne uno dei dodici cappellani del duomo, titolare della cappellania detta di ser Apollonio, alla quale rinunciò solennemente il 7 nov. 1593 (ibid., p. 562). Il 17 maggio 1596 ricevette la cappellania cosiddetta di Donna Libera all’altare di S. Vincenzo nella chiesa di S. Stefano, della quale rimase titolare fino alla morte (ibid.). Nella cappella della cattedrale, per lo meno dal 1592 fino al 1600, il M. cantò in qualità di tenore, come attestano le provvigioni di sua spettanza nei registri contabili della cattedrale (ibid.), ma ebbe forse anche la possibilità di licenze straordinarie.
In un documento della cattedrale di Padova relativo ai cantori salariati si trova registrato, per il solo 1596, un «R.P. fra Giulio Cesare veronese», giunto il 9 agosto (Casimiri, p. 89 doc. 553); verosimilmente si tratta del Martinengo.
Il 19 sett. 1600 fu nominato maestro di cappella della cattedrale di Udine; il 13 ottobre chiese e ottenne dal capitolo veronese una licenza di sei mesi (Paganuzzi, 1973, p. 562), e il 1° novembre assunse il nuovo incarico con stipendio retroattivo a partire dal 1° luglio, al quale venne presto affiancato il supplemento concesso dai deputati del Comune a tutti i maestri di cappella. Immediatamente gli venne conferita dal capitolo udinese la mansionaria già concessa al suo predecessore Vittorio Raimondi, alla quale si aggiunse, il 16 febbr. 1601, la cappella di S. Nicolò nella collegiata (Vale, p. 131). I deputati e il capitolo dovettero essere assai soddisfatti del suo operato; il 28 marzo 1605 il M. ricevette dal Comune un compenso straordinario di 10 ducati per la sua laboriosità e perché per la dignità e il decoro sia del duomo sia della cittadinanza «varios edidit concentus harmonicos extraordinarios cum magna multorum admiratione» (ibid., p. 132), opere delle quali non sembra sopravvivere traccia alcuna. Inoltre il 21 marzo 1608 il supplemento di stipendio fu portato da 24 a 40 ducati (ibid., p. 133).
Il 15 maggio 1609 morì Giovanni Croce, maestro di cappella nella basilica di S. Marco in Venezia; al concorso il M. partecipò come unico concorrente e vinse sostenendo l’usuale prova il giorno dell’Ascensione (Arnold, 1961, p. 205); fu quindi assunto il 22 agosto con la paga di 200 ducati (Caffi).
Stranamente non avevano concorso al posto nemmeno i due organisti marciani Paolo Giusto, che forse non aveva sufficienti competenze di compositore, e Giovanni Gabrieli.
A Venezia il M. non seppe mostrarsi all’altezza, almeno come responsabile di una prestigiosa istituzione che però, per quel che concerneva i cantori, versava in fase di profonda crisi; la disciplina veniva sempre più a mancare, e il nuovo maestro di cappella non aveva evidentemente le risorse per risolvere la questione.
Il M. aveva a disposizione anche un vicemaestro di cappella, Bartolomeo Morosini, forse allievo di Croce, del quale però non sappiamo nulla; forse più interessato a seguire la carriera ecclesiastica che non quella musicale, venne sostituito dal veronese Marc’Antonio Negri, un musicista di ben altra tempra e capacità, già accolitale e cantore nella cattedrale di Verona (e per questo probabilmente già noto al M.), ma soltanto a partire dal dicembre del 1612.
Per di più, il M. dovette contrarre numerosi debiti, come paiono indicare gli anticipi di stipendio che i procuratori gli versarono più volte a partire dal 1610; in almeno un caso con un cantore, quindi anche con un subordinato, Matteo Furini, i cui crediti furono saldati ben dopo la morte del M. dagli stessi procuratori (Arnold, 1961, pp. 205-208). L’unica notizia di un qualche rilievo in cui non si parli di anticipi e debiti risale al 16 ag. 1610, ed è legata alla sua città d’origine; in occasione dell’entrata solenne in Verona del podestà e del capitano, venne eseguita «musica […] assai varia e bella», e poiché il M. si trovava in città, i notabili gli fecero mettere in musica «un dialogo composto in versi da Girolamo Carlotto Accad.co il quale riuscì mirabilmente per ciascun capo di parole, di musica, di eccellenza di voci e di stromenti, ma sopra ogni altra cosa per la varietà» (Turrini).
Un accenno al M. è contenuto anche in un famoso memoriale di Heinrich Schütz del 1651, nel quale il grande compositore sostiene di essere stato incoraggiato a continuare lo studio della musica durante gli anni veneziani (1609-13) non solo dal suo maestro Giovanni Gabrieli, ma anche dal «Capellmeister» e da altri illustri musicisti (Moser, pp. 50 s.).
Alla situazione di indigenza del M. si aggiunse il declino sempre più rapido della salute, tanto che un dono di 20 ducati elargiti per la «grave indisposittione del Rev. Maestro di Cappella […] perché possa sovvenirsi, et attender a ricuperar la sanità» (Caffi, p. 161) giunse troppo tardi.
Il M. morì a Venezia il 10 luglio 1613.
Egli è additato dai posteri come il più mediocre dei maestri di cappella marciani; gli successe Claudio Monteverdi, cui spettò il compito di ridar lustro a un’antica quanto celebrata istituzione musicale.
Poche si contano le opere del M. giunte fino a noi, e tali da darci un’immagine assolutamente sfocata del compositore. Due brevi composizioni per il triduo sacro a quattro voci, omoritmiche e declamatorie, per nulla in grado di rivelare qualcosa di significativo, sono inserite in una raccolta di Lamentazioni di Giovanni Croce pubblicate postume. Di un qualche interesse è il mottetto Regnum mundi per soprano e basso continuo, apparso postumo nella Ghirlanda sacra, un’importante antologia di mottetti a voce sola pubblicata nel 1625 (e più volte ristampata) per cura di Leonardo Simonetti, un castrato assunto in S. Marco nel gennaio del 1613, quindi durante il periodo del Martinengo. Non è certo un’opera che possa darci qualche reale indicazione sull’autore, sebbene mostri comunque una buona assimilazione dello stile concertato e un certo superamento della pseudomonodia di Viadana (L. Grossi), anche se è evidente un pensiero compositivo ancora vincolato alla polifonia e alla bicoralità, come per altro avviene in musicisti ben più illustri intorno agli anni Dieci del Seicento. È inoltre forse l’unica monodia direttamente collegabile con il repertorio marciano anteriore al periodo di Monteverdi (maestro di cappella) e A. Grandi (vicemaestro), non a caso due fra gli autori maggiormente presenti nella Ghirlanda sacra. Il Fétis segnala anche tre libri di madrigali a quattro, cinque e sei voci, l’ultimo dei quali pubblicato nel 1605; verosimilmente, come già notava Eitner, lo studioso ha confuso il M. con suo padre Gabriele, del quale comunque non conosciamo libri di madrigali a sei voci.
Opere: Popule meus e Tantum ergo, a 4 voci, in G. Croce, Nove lamentationi per la settimana santa, Venezia 1610; Regnum mundi, mottetto a voce sola e basso continuo in Ghirlanda sacra. Scielta da diversi eccellentissimi compositori de varii motetti a voce sola, Venezia 1625 (rist. 1630 e 1636; ed. anast., in Northern Italy II, introduz. di A. Schnoebelen, New York-London 1987).
Fonti e Bibl.: F. Caffi, Storia della musica sacra nella già Cappella ducale di S. Marco in Venezia dal 1318 al 1797 [1854], nuova ed. a cura di E. Surian, Firenze 1987, p. 161; G. Gaspari, Catal. della Biblioteca del liceo musicale di Bologna, II, Bologna 1893, pp. 214, 366; G. Vale, La Cappella musicale del duomo di Udine, in Note d’arch. per la storia musicale, VII (1930), pp. 130-133, 185 s. doc. XI; H.J. Moser, Heinrich Schütz, Kassel 1936, pp. 51-53 (contiene ed. moderna del mottetto Regnum mundi); G. Turrini, L’Accademia filarmonica di Verona dalla fondazione (maggio 1543) al 1600 e il suo patrimonio musicale antico, in Atti dell’Acc. di agricoltura scienze e lettere di Verona, s. 5, XVIII (1940), p. 192; R. Casimiri, Musica e musicisti nella cattedrale di Padova nei sec. XIV, XV, XVI: contributo per una storia, pt. 4ª, in Note d’archivio per la storia musicale, XIX (1942), p. 89; D. Arnold, The Monteverdian succession at St Mark’s, in Music & letters, XLII (1961), pp. 205-208; E. Paganuzzi, Documenti veronesi su musicisti del XVI e XVII secolo, in Scritti in onore di mons. Giuseppe Turrini, Verona 1973, pp. 561-563; Id., Medioevo e Rinascimento, in La musica a Verona, a cura di P.P. Brugnoli, Verona 1976, pp. 153, 166, 168; D. Arnold, The solo motet in Venice (1625-1775), in Proceedings of the Royal Musical Association, CVI (1979-80), p. 56; Id., A Venetian anthology of sacred monody, in Florilegium musicologicum. Helmut Federhofer zum 75. Geburtstag, a cura di Ch.H. Mahling, Tutzing 1988, pp. 26, 29; O. Mischiati, Bibl. delle opere pubblicate a stampa dai musicisti veronesi nei secoli XVI-XVIII, Roma 1993, pp. 304, 355; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, V, pp. 478 s.; R. Eitner, Quellen-Lexikon der Musiker, VI, p. 352; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 684; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, pp. 916 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XI (2004), coll. 1187 s.