Vanini, Giulio Cesare Lucio
Filosofo e medico (Taurisano, Lecce, 1585 - Tolosa, 1619). Entrato nei carmelitani, avviò i suoi studi giuridici a Napoli per poi completare la sua formazione filosofica e teologica a Padova. Dopo un soggiorno a Venezia, intraprese una lunga peregrinazione attraverso l’Europa, passando per la Francia, la Germania e l’Inghilterra, dove si convertì all’anglicanesimo (1612), fede che avrebbe successivamente abiurato. Dopo aver soggiornato a Bruxelles, a Parigi e a Lione, dove nel 1615 pubblicò l’Amphitheatrum aeternae providentiae, si trasferì a Tolosa, dove, sospettato di eresia, fu arrestato dall’Inquisizione e nel 1619 condannato al rogo. Nel 1616 aveva visto la luce il De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis. Utilizzando ampiamente Pomponazzi, Machiavelli, Cardano e Scaligero, sviluppa una critica radicale dei fenomeni religiosi in una concezione aristotelica dell’Universo in cui non c’è spazio per il mondo soprannaturale (miracoli, profezie, demoni, ecc.) della tradizione cristiana e dove le religioni sono ricondotte a origini politiche come creazioni delle classi dominanti. Con V. il naturalismo rinascimentale giunge di fatto alle sue estreme conseguenze, negando l’immortalità dell’anima e l’esistenza di un Dio personale e provvidente, riconducendo il complesso dei fenomeni religiosi a eventi naturali che trovano la loro spiegazione razionale o nelle facoltà organiche del corpo umano (per es., la fantasia, con le sue possibilità di azione ‘transitiva’, capace di modificare la realtà esterna) o nell’astuzia dei fondatori di religioni, che sfruttando la credulità popolare, se ne servono come strumento di controllo e potere. Il De incantationibus di Pomponazzi, da V. presentato come «il principe dei filosofi dei nostri giorni», è centrale nell’elaborazione della critica naturalistica dei fenomeni religiosi proposta da V., il quale respinge però un aspetto centrale della concezione pomponazziana, cioè il ruolo delle influenze celesti nella generazione di miracoli e profezie. Anche esse divengono nel pensiero vaniniano un prodotto dell’immaginazione umana non necessario alla naturale comprensione dei fenomeni. Fondamentale è anche la lezione di Machiavelli, «principe degli atei», nella riduzione della religione a mero strumento di controllo delle masse, concezione che V. consegna come eredità alla cultura libertina del Seicento.