CROCE, Giulio Cesare
Poco sappiamo della vita di questo fecondo poeta popolare. Nacque da un fabbro a S. Giovanni in Persiceto (Bologna) nel 1550. Intorno al 1570 emigrò a Bologna, dove visse delle elargizioni che i suoi versi gli procuravano e dei proventi delle stampe dei versi stessi; e a Bologna morì nel 1609.
Nei versi di lui, raramente scurrili, mai osceni, non c'è adulazione; una sana festività popolare li rallegra, più o meno limpida e arguta. Gli opuscoli del C., in italiano e in bolognese (sebbene non manchino anteriori composizioni in quel dialetto, il C. è considerato il padre della letteratura dialettale bolognese), sono assai numerosi. Venduti alla giornata e presto esauriti, molti di essi sono introvabili, e lo erano già ai tempi dello stesso C., il quale in un indice da lui compilato (Bologna 1608) ne numera 261, ma dichiara di averne tralasciati molti; 478 ne enumera, tra editi e inediti, un altro indice a cura degli stampatori eredi Cocchi, del 1640 (da usare con molta cautela).
Tuttavia la fama del C. è raccomandata soltanto al suo celebre Bertoldo. Non nuova l'invenzione, anzi nelle linee generali derivante da una Disputa di Salomone con Marcolfo, già diffusa nel sec. XII. Di una redazione latina di essa, già a stampa nel 1470, s'erano fatte traduzioni in varie lingue; di quella italiana abbiamo parecchie edizioni dei primi del '500. Il C. sostituisce a Salomone Alboino re dei Longobardi, e a Marcolfo Bertoldo, nome e forse tipo a lui preesistente; Marcolfo però dà il nome a Marcolfa, moglie del Bertoldo crociano. La grande fortuna che il libretto ebbe subito spinse il suo autore a dargli un seguito, Bertoldino. Questi, figlio di Bertoldo, è campione della più smaccata melensaggine, mentre il padre aveva così bene impersonato la grossolana ma penetrante astuzia contadinesca, che ha il sopravvento sulla potenza, sulla ricchezza e persino sulla sapienza dei ceti più elevati. Anche Bertoldino ebbe un figlio, Cacasenno, per opera del bizzarro monaco bolognese Adriano Banchieri (1567-1634), che volle così continuare le fortunate operette del C., senza però la spontanea arguzia di lui. In ogni modo la famiglia così formata divenne presto tanto celebre da passare in proverbio; sì che le ristampe delle tre operette, sino ai nostri giorni, non si contano. Nel secolo XVIII se ne ebbe anche un mediocre rifacimento in un poema in venti canti, dovuti a venti letterati (Bologna 1736).
Bibl.: O. Guerrini, La vita e le opere di G. C. C., Bologna 1879; G. Cortese-Pagani, Il Bertoldo di G. C. C. ed i suoi fonti, in Studi medievali, III (1908-1911), pp. 533-602; G. Nascimbeni, Note e ricerche intorno a G. C. C., Bologna 1914: E. Flori, Influssi e fortune d'uomini e d'idee, Milano 1926. Il Bertoldo si può leggere nelle due buone edizioni di Spoleto 1929 e di Roma 1929.