CROCE (Della Croce), Giulio Cesare
Nacque il "dì di carnevale" del 1550 a San Giovanni in Persiceto, comune della campagna bolognese.
Questa, come le altre scarse notizie attorno alla sua vita, sono ricavabili dalla Descrittione della vita del Croce; con una esortatione fatta ad esso da varij animali ne' lor linguaggi, à dover lasciare da parte la poesia, Bologna 1608, che il C. cominciò a scrivere nel 1586 e pubblicò, rimaneggiata, venti anni più tardi, e dalla quale sono tratte le citazioni fra parentesi. Il padre Carlo, di mestiere fabbro, nonostante fosse poverissimo, gli fece iniziare gli studi, che continuò, sotto la spinta di uno zio al quale fu affidato, a. Castelfranco., dopo la morte del padre nel 1557. Abbandonati ben presto gli studi, dati gli scarsi risultati raggiunti, cominciò a lavorare nella bottega da fabbro dello 1105 trasferendosi con lui a Medicina (1563 c.) in un casale di proprietà della famiglia Fantuzzi, ricchi proprietari terrieri di Bologna. In questo periodo il C. scoprì la sua vocazione di "poeta campestre" ("Or quindi dier principio a saltar fuori / i grilli, i parpaglioni, le chimere / de la mia zucca, e i stravaganti umori"), dilettando con le sue canzoni i signori della "Fantuzza". Decise quindi (1568) di trasferirsi a Bologna dove per qualche anno esercitò il mestiere di fabbro nella bottega di un artigiano (che "avea genio quasi al mio simile") e, insieme, quello di poeta di piazza, fino a che, sempre secondo il racconto autobiografico, la scoperta, tra le sue varie e disordinate letture, di Ovidio lo spinse a dedicarsi interamente alla poesia ("Così in me un gran desio tosto s'accese / di seguitar di quelli le pedate, / che si son posti a così belle imprese").
Girando per le strade di Bologna (ma andò anche a Modena, Ferrara, Mantova, Venezia e, forse, Firenze), cantava le sue composizioni, accompagnandosi con il violino (da cui il soprannome di Giulio Cesare Della Lira, che gli rimase fino alla morte) e vendeva i testi del suo repertorio stampati in opuscoli (per lo più di quattro pagine), chiamati anche ventarole (quando la carta più spessa impiegata permetteva di usarli anche per farsi vento) o muricciolai, cosiddetti perché messi in mostra sui muretti per attirare i compratori. Si sposò due volte ed ebbe quattordici figli, vivendo sempre, come risulta da molti passi autobiografici soprattutto nei manoscritti, in gravi ristrettezze economiche. Dopo gli atti di un processo (1590) in cui fu coinvolto per liti familiari, non si hanno più notizie certe e dettagliate della sua vita, fuorché le date di stampa delle sue opere, di cui possediamo due elenchi, uno del 1608 (più attendibile, secondo alcuni, perché stampato sotto il controllo dell'autore), in appendice all'edizione a stampa della Descrittione, e il successivo del 1640, in cui sono riportati 478 titoli, di cui 29 manoscritti. Essendo molti andati perduti, rimangono oggi circa 300 Opuscoli (a stampa e manoscritti), di cui alcuni di incerta attribuzione.
Il C. morì a Bologna il 12 genn. 1609, durante il carnevale, come risulta dal Lamento universale sopra la morte di G. C. di Camillo de' Conti di Panico (Bologna 1609).
Riconoscendosi una "vena naturale, / come si vede, non alta e sublime, / ma piana e dolce, al basso genio uguale", il C. aveva composto e recitato per le piazze tutti i generi della letteratura popolare, la cui origine risaliva, per lo più, alla cultura medioevale. Si tratta di capitoli, canzoni, barzellette, frottole, sonetti, tra cui: Capitolo al Vecchi, Bologna, Bibl. univers., ms. n. 3878, I, n. 17; Due capitoli uno in lode e l'altro in biasimo della prigione, ibid., n. 3878, I, n. 11; Capitolo al Cochi, ibid., n. 3878, XXV, n., 10; Canzone delle lodi di M. Tenerina nella quale con gran stupor delle genti vengono cantati i strani et meravigliosi accidenti della vita sua, Bologna 1620; Canzonette ridicolose e belle, ibid. 1628; La Filippa da Calcara, la quale va cercando da far bucate. Dove s'intende le gran prove che fa una valente lavandara, ibid. 1628; Nel tempo che la luna burattava. Operetta bellissima dove s'intendono alcune stantie ridicolose. Con la tramutatione di quelle, ibid. 1631; Barcelletta nova sopra le Cortigiane che vanno in maschera questo Carnevale, cioè quelle più meschine. Cosa ridicola da cantare in maschera, ibid. 1621; Canzone della Violina, ibid. 1610; La Rossa dal Vergato, la quale va cercando Patron in questa città, dove s'insegna tutio quello che sa una buona massare: Cosa molto bella e ridicolosa in lingua rustica bolognese, ibid. s. d.
Nel solco della stessa tradizione si collocano gli enigmi, pronostici e indovinelli come: Venticinque enimmi ovvero indovinelli nuovi belli e piacevoli, Bologna 1613; Pronostico perpetuo et infallibile composto per lo Eccellente Astrologo detto il Capriccioso, mattematico, filosofo, indovino, architetto et accademico, intitolato al Capriccio, dove s'intende delle quattro stagioni dell'anno Primavera, Estate, Autunno et Inverno, degli stati di Prencipi, di guerre, di malattie, delle rivolutioni, de' raccolti e di ciò che succederà il presente anno 1584, ibid. 1611; Selva di esperienza nella quale si sentono mille e tanti proverbi, provati et sperimentati da' nostri antichi. Tirati per via d'alfabeto da G. C., ibid. 1618.
Così pure i componimenti burleschi, i testamenti, i lamenti, i contrasti e gli inviti composti dal C. riprendono forme e motivi della tradizione popolare, anche se la carica trasgressiva e ribelle che spesso quelle composizioni avevano nel passato viene dal C. attenuata o sostituita da un gusto già secentesco per il gioco linguistico e parodico. Tra le moltissime operette crocesche di questo genere, ricordiamo: L'eccellenza e trionfo del porco. Discorso piacevole di G. C. diviso in cinque capi. Primo. Dell'ethimologia del nome cori l'utilità. Secondo. Le medicine che se ne cavano. Terzo. Le virtù sue. Quarto. Le autorità di quelli che n'hanno scritto. Quinto. Le feste, i trionfi, e le grandezze di lui, Ferrara 1594; Ragionamento fatto alla Togna da suo padre per darli marito. Con il testamento che fa un contadino qual'è morto perché la Togna non l'ha voluto per marito per esser vecchio, ibid. 1614; Testamento ridicoloso d'un contadino del Ferrarese il quale è morto ai dì passati per aver mangiato troppi fichi, in lingua rustica del suo paese, ibid. 1609; Lamento et morte di Manas Hebreo, qual fu tenagliato sopra un carro, et gli tagliorno una mano, e fu poi appiccato per homicidio et altri delitti enormi et obbriobriosi. Caso successo nella Magnifica Città di Ferrara il dì ultimo d'Aprile 1590, ibid. 1623; Lamento della povertà per l'estremo freddo del presente Anno 1587, ibid. 1620; Il lamento di tutte le Arti del Mondo. Di tutte le città et terre d'Italia per le poche faccende che si fanno alla giornata. Non correndo quattrini, Venezia-Ferrara-Bologna 1609; Lamento de' poveretti i quali stanno a casa a pigione, e la convengono pagare, Bologna 1614; Contrasto Piacevole fra l'Estate et il Verno. Nel quale si sentono tutti li commodi et incommodi, tanto dell'uno, quanto dell'altro, ibid. 1604.
Molto si dedicò anche il C. alla composizione di testi che direttamente o indirettamente rimandavano alle forme della rappresentazione teatrale; sono dialoghi, commedie, farse e scenari che avvicinano, non solo per ragioni formali, l'ingegno crocesco alle contemporanee prove della commedia dell'arte. Ne ricordiamo alcuni: La cantina fallita. Nella quale come in atto di Comedia s'odono tutti gl'instrumenti di essa esclamare sopra il prezzo dell'uva, il quale, per esser asceso tant'alto quest'anno, ha causato ch'ella è restata senza bere, Bologna 1620; Dialogo piacevolissimo fra gli due costumatissimi et ben creati, Messer l'Asino e Messer Porco. Sopra l'abbondanza grande de' meloni questo present'anno. Dove s'intende la festa grande, che essi fanno per la gran quantità di guscie, overo scorzi, che essi trovano per la strada, ibid. 1610; La gran vittoria di Pedrolino, contra il dottor Gratiano Scatolone, per amore della bella Franceschina. Opera dilettevole e di gran ricreazione e spasso, ibid. 1617; Banchetto de' Malcibati. Comedia dell'Accademico Frusto recitata da gli affamati nella città calamitosa alli 15 del mese della Estrema Miseria l'Anno dell'aspra et insopportabile necessità, ibid. 1591; Ilsolennissimo trionfo dell'Abbondanza, per la sua fertilissima entrata nella città di Bologna, il dì primo d'Agosto 1597. Con l'amaro pianto che fála Carestia, nella dolorosa sua partita, in dialogo, ibid. 1597; La Farinella. Inganno piacevole. Comedia nuova, ibid. 1609. Accanto a questo tipo di produzione, si collocano composizioni ispirate alla letteratura "alta": tragedie, poemetti (Viaggio fatto da G. C. in cercare la Discretione. Ove si narra li strani accidenti e noiose fatiche che si prova andando per il mondo con pochi denari. Poemetto esemplare, morale e curioso, Bologna, Bibl. univers., ms. n. 3878, XXVI, n. 2; Grandezza della povertà. Opera morale, Bologna 1620), novelle, ghiribizzi, e capricci alla maniera secentesca (Genealogia del Grillo e della Cavalletta, s. I. né d.; Spalliera in grottesco alla burchiellesca. Chiribizzo bellissimo, Bologna 1617; La scatola historiata, ibid. s. d.); e rifacimenti di opere famose come: Diporto piacevole overo ridutto di ricreatione nel quale si narra cento avvettimenti gratiosi occorsi a varie persone, conchiusi et accordati co' fini di cento stanze del Furioso, Bologna 1620; Lamento di Bradamante cavato dal libro dell'Ariosto al suo canto e tradotto in lingua bolognese, dal già G. C., ibid. 1623; Ricercata gentilissima delle bellezze del Furioso del quale pigliando i capi di tutti i canti et aggiungendogli altri versi delle stanze di quello, a guisa di centone vi si vengono a scoprire i più notabili concetti, che in esso gentilissimo poema si contengono, ibid. 1610; o ancora il rifacimento di Ovidio già citato).
Ma il tono del C. anche in questo genere di operette è più spesso di carattere parodico che imitativo e competitivo; benché probabilmente il C. tenesse a riferimento i grandi modelli letterari, che lo spingevano a cimentarsi, privatamente per lo più (queste composizioni sono infatti rimaste quasi tutte in forma manoscritta) nel confronto con il gusto e i generi letterari "colti", tuttavia il suo autodidattismo e la sua vena lo portavano quasi obbligatoriamente allo scherzo e alla proposizione parodistica, che attraversano, anche se non sempre in modo predominante, molte delle sue composizioni. Esemplare l'Indice universale della Libraria, o studio del celebratissimo, eccellentissimo, eruditissimo et plusquam opulentissimo arcidottor Gratian Furbson da Franculin. Opera curiosa, et utilissima per tutti i Professori delle Scienze matematiche, e per i Studiosi delle opere bizzarre e capricciose. Raccolto per maestro Acquedotto dalle Sanguettole, riformatore della famosissima Hostaria del Chiù, Bologna 1621 in cui la collazione di titoli, postille, annotazioni, a imitazione buffonesca degli studi eruditi ottiene effetti comici notevoli che sono dovuti esclusivamente al funambolismo e al virtuosismo linguistico consapevolmente coltivato dal Croce.
Al di là comunque di una divisione in generi, non sempre possibile e opportuna per l'incrocio, tipico della letteratura popolare, di modi e forme letterarie e poetiche diverse, due elementi caratterizzano sostanzialmente la produzione dei C. e la sua figura nella cultura dell'epoca. La ricorrenza, innanzitutto, di motivi e terni desunti dall'osservazione della vita sociale della città (Bologna, in particolare, che era la città più popolosa e importante dello Stato pontificio, dopo Roma) e della campagna, in una prospettiva di tipo realistico e, in qualche modo, funzionale alla scansione dei momenti e dei modi di vita del popolo. I temi della povertà, della fame, della carestia, congiunti e anzi calati nell'osservazione e nella descrizione del lavoro e della vita quotidiana del popolo: questi sono i motivi che percorrono l'opera del C., trattati in forme diverse, ma riconducibili sempre all'intenzionalità realistica della sua attività ("Io dico pane al pane, e pero al pero / E vado schiettamente a la carlona, / E fin ch'io vivo voglio dire il vero"). In questa ottica rientra anche il grande rilievo che nella sua opera occupano i temi e le forme carnevalesche tipiche del periodo dell'anno che permetteva per tradizione la pratica della parodia e della trasgressione dei costumi, delle usanze e delle norme sociali. Le operette crocesche di questo genere comprendono composizioni d'intrattenimento e di descrizione divertita e divertente delle situazioni carnevalesche come: Sbandimento, esamine e processo del fraudolente, insolente e prodigo Carnevale, con la rinuncia, ch'ei fa, avanti che faccia partenza di questi nostri paesi. Il quale è bandito per un anno, et secondo che parerà a' suoi maggiori, Bologna 1624; Tragedia in comedia fra i bocconi di grasso e quei di magro la sera di Carnevale. Con il lamento del Carnevale, dolendosi della Quaresima, che li sia sopragiunta così presto. Et la risposta di lei contro il Carnevale. Capriccio galante, ibid. s. d.; Processo overo esamine di Carnevale. Nel quale s'intendono tutti gl'inganni, astutie, capriccij, bizarie, viluppi, intrichi, inventioni, novità, sottilità, scioccharie, grillarie, etc., ch'egli ha fatto quest'anno nella nostra città. Con la sententia et bando contro di lui formata. Composto per G. C., per spasso delle maschare in questi pochi giorni di Carnevale, ibid. 1588; La solenne et trionfante entrata dello squaquaratissimo et sloffegiantissimo Signor Carnevale in questa città. Con tutti i Baroni, et personaggi grandi ch'egli conduce con lui, et i trattenimenti suoi et altre cose. Opera piacevolissima, et bella, del C. Da recitarsi uta sera s'un festino, ibid. s. d.; Le trenta mascherate piacevolissime del C., dalle quali pigliandosi l'inventioni si possono fare concerti dilettevoli et gratiosi per passatempo di Carnevale, ibid. 1628. Ma anche altre composizioni le quali più che specificamente ai temi, sono ispirate al motivo carnevalesco della parodia e del rovesciamento, del gioco e dei ghiribizzo: Il Mondo alla roversa, dove con una minutissima ricercata sopra le ationi humane si viene a dimostrare in che stato oggi sia ridotta la povera Virtù. Opera morale di G. C., ibid. 1625; Conclusiones Mathematicae, Medicinae, Ars poeticae, et Musicae. Vulgariter et grossolaniter disputate dal molto goffo e tutto ignorante Messer Bocale Tracananti Montefiasconensis a Domino Grugno Gorgota Porcelo dicata, ibid. s. d.; La sollecita et studiosa Academia de' Golosi. Nella quale s'intendono tutte le loro leccardissime scienze. Con un compendio di tutti i buon bocconi, e vitti, che son compartiti in tutte le città del mondo. Et gl'inventori del cucinare esse vivande, ibid. 1602; I trionfi fatti nel dottorato di Marchion Pettola con le sue sottili, e stravaganti conclusioni. Et le dispute di molti dottori. Cose da far smassellare i ricchi dalle risa e creppare i poveri dalla fame, ibid. s. d.; Cosmografia poetica, ibid. 1616; Avvisi venuti di quà di là, di sù, di giù, da diverse parti del mondo, dove si dà ragguaglio delle cose più maravigliose, che siano successe dall'Anno, che voi sapete, sino al presente. Portati da Bargalisse Corriero del Principe Cacapensieri, che è venuto questa notte, ed è smontato alla Fontana di Marforio, ibid. 1695; Avvisi burleschi venuti da diverse parti del Mondo. Cose notabilissime e degne di essere intese, ibid. 1628; Iltre. Operetta dilettevole. Nella quale si mostra quante cose si contengono sotto il numero ternario. Con altre cosette belle et da spasso, ibid. 1614.
Al gusto della parodia sono ispirate anche le composizioni di satira dei medici e delle medicine: Secreti di medicina mirabilissimi del poco eccellentè e tutto igitorante il dottor Braghetton. Filosofo da tartufi, astrologo da boccali, e sopraintendente di bussolotti della mostarda cremonese, Bologna 1611; Ilvero e pretioso tesoro di sanità del Gratiano Scatolone Francolinensis nel quale si contengono secreti mirabili e stupendi per sanare quanti mali possono venire alle persone e strupiare quanti sani si trovano al mondo, ibid. 1640.
La parodia bonaria e contenuta è esercitata, tuttavia, molto più sui generi letterari che direttamente sugli ordinamenti sociali, nell'ottica prudente e accorta che il C. mantenne costantemente ("Se scherzan scherz'anch'io, ma a' miei maggiori / Porto sempre rispetto in ogni loco / E riverisco i miei superiori"). L'elemento parodico rimane tuttavia una componente significativa dell'altro aspetto essenziale della produzione e della figura del C., ovvero la finalità diretta di quasi tutte le sue composizioni alla recitazione in piazza, dunque il carattere immediatamente o mediatamente teatrale delle sue operette. Alcune sono già scritte nella forma del dialogo, della commedia o della farsa (oltre ai già ricordati: Dialoghi curiosi, cioè La moglie altiera et il marito humile, fra Huomo e Donna, Triparo e Simona, Il Sonator e il Mustazzo contrafatto, fra Pantalone e il Zani, e fraPantalone, Isabela e Franceschina, Bologna s. d.; Bravata di Babitto dalla Torre da Cavo di Cuol con Bartolina vezzosa dal Pian di Mugello. Parte in lingua romagnola e parte toscana. Dove il detto nell'ultimo vien bussato da un fratello di lei. Opera da ridere, ibid. 1606). Ma, in sostanza, poiché tutte venivano eseguite alla stessa maniera, in pubblico, e con le stesse finalità, è al terreno di certe forme popolari che, più opportunamente, sono riconducibili i versi, i motti, i lazzi, sparsi nelle varie operette, in perfetta sintonia con le forme della commedia dell'arte e dell'improvviso che in quel periodo erano nel massimo sviluppo. Una riprova diretta si può avere nella presenza di maschere e personaggi tipici della commedia dell'arte in diverse composizioni crocesche e, insieme, del gusto per la mescolanza di lingue e dialetti. Ne sono esempio: Disgratie del Zani. Narrate in un sonetto di diciassette linguaggi. Come giungendo ad una hosteria, alcuni banditi lo volsero amazare e poi, fattoli dar da cena fa un contrasto con l'hoste. Cosa molto bella e ridicolosa, Bologna s. d.; Opera nova dove intendereti una cavalcata di vari linguazi per consolare i spiriti gentili. Dispensata dal vostro Tabarin Canaia, Padova-Bologna 1590; Questione di vari linguaggi, dove s'intende le ragioni allegate da diversi galant'huomini corsi a questo rumore per farli far pace. E finalmente, come un Todesco gli accorda, con patto d'andar tutti insieme all'Hostaria. Opera nuova, ridicolosa e bella, Bologna 1618; Invettiva ridicolosa che fa un romagnolo contro Selino Gran Turco, in lingua romagnola, ibid. 1611.
Tutti questi elementi ritornano composti nella operetta più nota del C., Le sottilissime astuzie di Bertoldo, dove si scorge un villano accorto e sagace il quale doppo varii e strani accidenti a lui intervenuti, alla fine per il suo ingegno raro et acuto vien fatto homo di corte e Regio Consigliero. Opera nova et di gratissimo gusto, Milano 1606 (questa prima edizione è andata perduta; rimane invece la ristampa che porta il titolo Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nuovamente reviste et ristampate con il suo Testamento nell'ultimo, et altri detti sententiosi, che nel primo non erano, Bologna-Modena 1608).
Si tratta del rifacimento di un noto dialogo di origine medioevale Dialogus Salomonis et Marcolphi, mescolato ad altre fonti, come la Istoria di Campriano contadino. Bertoldo e Alboino, nell'opera del C., sono i protagonisti di una vicenda, ambientata in una immaginaria Verona, che mette a confronto la proverbiale saggezza del re (nel dialogo originale Salomone) e l'arguzia rozza ma efficace del contadino (Marcolfo). Rispetto all'originale, il C. elimina gli aspetti eversivi ereticali, trasgressivi del comportamento di Marcolfo rispetto al re Salomone, alla sua corte e ai costumi che rappresentano; e fa di Bertoldo l'esemplare del contadino, nel quale il limite tra scioccheria e astuzia, tra semplicità e arguzia, non è mai fissato stabilmente, dilatando dunque la dimensione della "natura", fino a superare, a volte, rovesciandola e smascherandola, l'intelligenza della civiltà e della cultura. L'intelligenza naturale di Bertoldo è di quel tipo che lo apparenta alle figure dei buffoni, dei giullari, delle maschere di carnevalel che avevano licenza, data la codificazione sociale del loro ruolo fisso o temporaneo, di esprimersi e comportarsi fuori o contro le consuetudini e le regole sociali. Ma Bertoldo, che non è buffone né giullare, divenuto consigliere del re e quindi entrato nella corte, finirà per morire "per non poter mangiar rape e fagiuoli", ovvero per aver contravvenuto le norme stabilite dell'ordinamento sociale, modificando il proprio ruolo nella gerarchia sociale.
Riprendendo il motivo, anch'esso tradizionale, della satira dei villano, della rozzezza e stoltezza dei contadino (motivo ampiamente diffuso nell'operetta), il C. lo contamina con l'ambigua eroicizzazione di Bertoldo che, mantenendo i suoi caratteri di villano, diventa protagonista, accanto al re, e dimostra così di saper compiere una vera e propria scalata sociale, senza poter tuttavia rimanere lontano, a lungo, dal suo ambiente "naturale", al quale anzi torna con la morte, emblematicamente legata al cibo.
Con il proseguimento, Le piacevoli et ridicolose semplicità di Bertoldino. Figliuolo del già astuto et accorto Bertoldo. Con le sottili et argute sentenze della Marcolfa sua madre, et moglie del già detto Bertoldo. Opera tanto piena di moralità, quanto di spasso (Bologna-Modena 1608), il C. sdoppia la figura di Bertoldo in quelle di Bertoldino e di Marcolfa, distribuendo tutta la sciocchezza all'uno e tutta l'astuzia all'altra; qui, svincolato dal riferimento al modello, il C. costruisce una situazione omologa a quella del Bertoldo e ad essa complementare, facendo dei due protagonisti, Bertoldino e Marcolfa, il prolungamento, in qualche modo, della figura di Bertoldo. Forse proprio per questo si è considerata, in genere, questa operetta meno riuscita della prima, benché entrambe siano accomunate da elementi formali e di contenuto simili. Bertoldo e Bertoldino sono infatti figure (come altre figure crocesche) che delineano, già nei modi praticati dalle compagnie dell'improvviso, i caratteri di quelle maschere di servo che dalla tradizione medioevale arriveranno fino ai personaggi delle commedie di Goldoni.
Tutta l'abilità sperimentata dal C. nei suoi giochi linguistici e burleschi, nelle parodie dei generi e delle forme letterarie, torna in questi due racconti-dialogo, mescolando, come già in altre opere precedenti, l'elemento realistico con quello fiabesco, rivestendo cioè la pittura delle condizioni di vita materiale e spirituale del popolo, di forme rappresentative che, per essere l'abile risultante di una lunga e molto varia professionalità espressiva, si pongono come un significativo momento di quella linea della cultura italiana che, in piena età controriformistica, recupera alcune forme del passato per inserirle in un contesto letterario e sociale nuovo, proiettandole dunque in una dimensione che ne modifica definitivamente le caratteristiche originarie.
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