CORTESE, Giulio Cesare
Padre della letteratura dialettale napoletana d'arte e compagno di scuola, poi amico fraterno e ispiratore di Giambattista Basile. Della sua vita si sa soltanto che egli nacque a Napoli intorno al 1575; che si addottorò in giurisprudenza nel 1597; che intorno al 1600 fu in Spagna e poi a Firenze alla corte di Ferdinando de' Medici, dove ebbe, sembra, disavventure amorose; che dal 1604 in poi, salvo brevi parentesi, visse sempre a Napoli, ove morì dopo il 1621 e prima del 1627. Indotto, come il Basile, alla poesia dialettale dalla reazione determinatasi a Napoli a principio del Seicento contro la poesia ufficiale e aulica irradiantesi dalla Toscana, anche in lui, quantunque a volte verseggiasse per mero accademismo d'arte dialettale, l'abbondante comicità si congiunge senza sforzo tanto all'affetto per le vecchie costumanze patrie, per i luoghi, per le leggende, per le fiabe, per i canti della città natia, quanto a una viva penetrazione della vita popolare.
Fra le sue opere sono da menzionare La Vaiasseide (1615) o poema delle serve, in 5 canti in ottava rima, nei quali, tra l'altro, si descrivono scene d'amore, di gelosia, feste, matrimonî del popolino napoletano; il Micco (Domenico) Passaro, poemetto in dieci canti in ottava rima (1621) che ci presenta le imprese di un guappo o bravo napoletano. Meno felici, a causa dell'intonazione seria, il romanzo in prosa in otto libri (1621) Li travagliuse amure de Ciullo e Perna (Giulio e Perla), imitato, allo stesso modo dei Trabojos de Pérsiles y Sigismunda del Cervantes, da Eliodoro; e La Rosa, "chélleta posellechesca" (favola pastorale) in cinque atti (1611), imitata a sua volta dal Pastor fido. Ma felicissimo e superiore non solo al frigido Viaggio in Parnaso di Cesare Caporali (1582), ma perfino al Viaje del Parnaso del Cervantes (1614), è il Viaggio di Parnaso (1621): sette canti in ottava rima, serie di episodî un po' scuciti, che fanno pensare talora a qualche opera del periodo romantico (p. es. al Deutschland del Heine). Ultima opera del C., pubblicata postuma nel 1628, è Lo Cerriglio incantato: poema fiabesco in sette canti in ottava rima, nel quale, tra l'altro, l'autore assegnò, molto graziosamente, origini favolose a taluni monumenti cittadini.
Bibl.: Per una compiuta bibliografia delle opere del C., vedi F. Nicolini, in F. Galiani, Del dialetto napoletano, Napoli 1923, pp. 222-29; per un'ampia esposizione, A. Ferolla, G. C. Cortese poeta napolitano del sec. XVII, Napoli 1907; per uno studio estetico, B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, 2ª ed., Bari 1923, passim, e Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, pp. 395-400; per lo sviluppo della fantastica ipotesi, più volte avanzata dagli eruditi, che il C. sia una persona sola col posteriore poeta dialettale napoletano che si celò sotto lo pseudonimo di "Felippo Sgruttendio de Scafato", F. Russo, Il gran Cortese, 2ª ed., Napoli 1921.