BUZZATI, Giulio Cesare
Nato il 26 apr. 1862 a Venezia da Augusto, consigliere di corte d'appello, intraprese anch'egli gli studi giuridici, che ultimò conseguendo la laurea nel 1883. Indirizzatosi dapprima alla ricerca storica, rivolta nel periodo universitario con particolare attenzione all'antico diritto diplomatico veneziano, fece però convergere ben presto il proprio interesse allo studio sistematico del diritto internazionale, anche per l'influenza di A. Pertile, che gli era stato maestro in questa disciplina. Dopo un periodo di perfezionamento all'università di Monaco, sotto la guida di F. Holtzendorf, conseguita la libera docenza in diritto internazionale, teneva nel 1887 presso l'università di Padova il corso libero. Incaricato della stessa materia presso l'università di Macerata nel 1889, ne coprì poi la cattedra come professore straordinario nel 1890 e ordinario nel 1894; nel medesimo anno passava all'università di Pavia e qui, dal 1898, insegnò stabilmente col grado di professore ordinario. Dal 1902 fu per qualche tempo alla Bocconi, invitatovi subito dopo la creazione del nuovo ateneo milanese.
Era stato nominato nel frattempo membro dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, nel 1899, e, fin dal 1891, membro dell'Istituto di diritto internazionale, dove contribuì soprattutto a perfezionare quelle leggi di guerra accolte in seguito dalla maggior parte degli Stati nei rispettivi ordinamenti. Il governo italiano gli affidava inoltre l'incarico di collaborare nelle commissioni consultive del ministero degli Esteri e in quelle impegnate a elaborare i materiali per la conferenza dell'Aia, cui partecipò come delegato italiano, presenziando alla quarta conferenza di diritto internazionale privato e alla seconda conferenza per l'unificazione del diritto cambiario. Degli argomenti dibattuti in queste occasioni il B. trattò in alcune monografie, ma rimase incompiuto quel suo Trattato di diritto internazionale privato secondo le convenzioni dell'Aia (Milano 1908) che avrebbe dovuto organizzare sistematicamente le materie discusse e sanzionate all'Aia. Nel 1913 il B. assunse assieme al Ranelletti la direzione della terza serie della "Biblioteca di scienze politiche" del Brunialti, e vi pubblicò le sue traduzioni dal tedesco: la Teoria e pratica del diritto internazionale privato di L. von Bar; il Diritto internazionale e diritto interno di H. Triepel; il Trattato di diritto internazionale pubblico di I. von Ulman. Membro del consiglio del contenzioso diplomatico, fa consultato in importanti arbitrati internazionali; dopo la guerra mondiale prese parte alla speciale commissione della conferenza di Parigi del 1919, incaricata dello studio del diritto aereo, collaborando alla redazione del progetto di regolamentazione giuridica della navigazione aerea.
Il B. morì a Milano il 10 nov. 1920.
Significativo è stato l'apporto dottrinale del B. alla teoria del diritto internazionale pubblico e privato: tra i suoi scritti si ricorda tra l'altro in particolare L'offesa e la difesa nella guerra secondo i moderni ritrovati (Roma 1888), sulla necessità di disciplinare l'uso dei nuovi mezzi bellici per evitare inutili stragi. Notevoli, nel campo del diritto internazionale privato, L'urto di navi in mare (Padova 1889), il suo primo saggio in materia, dove il B. esamina il caso di urto di navi di diversa bandiera fuori dalle acque territoriali, collegando l'indagine della responsabilità agli istituti del diritto internazionale privato; e i suoi due studi su L'autorità delle leggi straniere relative alla forma degli atti civili (Torino 1894)e Intorno alla giustificazione del precetto locus regit actum (Venezia 1898), che insieme costituiscono una completa monografia sulle origini, caratteri ed effetti di quel principio giuridico. Venne inoltre pubblicando con sempre maggior frequenza note e relazioni, spesso di carattere strettamente pratico, nella Revue de droit international et de législation comparée e nella Rivista di diritto internazionale.
Il motivo di più specifico interesse nell'opera del B. è la posizione da lui assunta, contro la prevalente dottrina, sui problemi del rinvio e della cittadinanza. Nella teoria del rinvio, nonostante la frequente applicazione fattane dai tribunali ed il suo accoglimento in numerose legislazioni e nella stessa convenzione dell'Aia, il B. denuncia la negazione del principio della autonomia degli Stati ed il sovvertimento delle basi scientifiche del diritto internazionale privato; inoltre, dal punto di vista del risultato concreto, dichiara l'inattitudine del rinvio a quei risultati per i quali è posto in essere: pervenire a decisioni uniformi ed alla piena applicazione del diritto straniero. Principî, questi, esposti in Il rinvio nel diritto internazionale privato (Milano 1898).
Polemiche di maggior risonanza seguirono il suo sfortunato tentativo di far introdurre nella legislazione italiana il principio della doppia cittadinanza, in occasione della elaborazione della legge sulla cittadinanza del 13 giugno 1912, che tendeva tra l'altro ad agevolare la posizione dell'italiano all'estero, permettendo all'emigrato di assumere più facilmente la cittadinanza straniera e semplificandogli il riacquisto di quella italiana. Il problema era di massima importanza in tempi di grande emigrazione e già nel 1906, inaugurando l'anno accademico all'università di Pavia con una relazione su Italia ed America latina, il B. aveva esposto per la prima volta la sua teoria, ripresa poi in numerosi articoli della Rivista coloniale, nelle relazioni al I e II congresso degli Italiani all'estero, del 1908e 1911, ed infine nel saggio La legge sulla cittadinanza del 13giugno 1912 (Milano 1914). Dichiarando inaccettabile per le esigenze della società moderna il vecchio e fondamentale principio giuridico del "nemo duarum civitatum civis esse potest", il B. afferma doversi allora ammettere, a maggior tutela degli interessi degli emigranti e della dignità della patria di origine, che gli Italiani all'estero non perdano tutte le capacità di diritto pubblico nei confronti dell'Italia, pur acquistando allo stesso tempo, di diritto e di fatto, piena capacità di fronte allo Stato di immigrazione. Questo principio però, particolarmente criticato dal mondo giuridico, che lo tacciò di utopismo, anche nelle discussioni parlamentari sulla legge 13 giugno 1912 venne decisamente respinto.
Bibl.: E. Castellani, G. C. B., in Riv. di dir.internaz., s.3, XIV (1921-22), pp. 381-392; A. Cavaglieri, G. C. B., in Arch. giur., LXXXVIII(1922), pp. 99 ss.; V. Pareto, Lettere a M. Pantaleoni (1890-1923), Roma 1960, II, p. 340; F. Manzotti, La polemica sull'emigrazione, in Nuova riv. storica, XLVI(1962), pp. 157 ss.; Nuovo Digesto Italiano, II, ad vocem; Enciclopedia Italiana, App. I, p. 328.