BRACCINI, Giulio Cesare
Poche e incerte sono le notizie che abbiamo sulla vita del Braccini. Che fosse nato a Gioviano di Lucca e laureato in legge; che, istradatosi per la carriera ecclesiastica, avesse conseguito il titolo e la dignità di abate; che fosse creatura dell'entourage barberiniano e che sotto Urbano VIII avesse la nomina a protonotario apostolico; che tra il 1629 e il 1632 avesse soggiornato a Napoli, stringendo legami con la locale nobiltà di toga e di spada, e che altri consimili legami avesse con persone d'alto rango di altre parti d'Italia, queste, con qualche altra meno importante, sono tutte notizie attinte e da attingere unicamente dalle sue opere a stampa e manoscritte. Un particolare interessante e significativo è la sua impresa che il Mazzuchelli descrive come consistente in "un corvo che getta le pietre in un vaso scemo, onde l'acqua s'alzi, ed egli così giunga a bere, col motto: Sitim tandem".
Dagli scritti del B. emerge, in compenso, abbastanza chiara l'immagine dell'uomo di cultura e del pubblicista politico che egli fu; e cioè un tipico esponente della cultura del suo tempo. Le sue traduzioni dallo spagnolo lo mostrano particolarmente legato al clima della tarda Controriforma spagnola per quanto riguarda morale, politica e dottrina religiosa. Tanto più notevole è, pertanto, l'atteggiamento critico e riservato che nei suoi scritti egli assume nei confronti delle posizioni spagnole o asburgiche. Tipica è, in questo senso, la posizione assunta nel Discorso intorno a' tributi,gabelle,donativi,impositioni ed altre gravezze che si pagano nel Regno di Napoli, del quale conosciamo almeno tre redazioni (Napoli, Bibl. Naz., Brancacciani, II, D 8, cc. 75r-103r; e Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 5193, pp. 25-37; 5386, cc. 1-66).
La prima, e più lunga, parte del discorso è dedicata a dimostrare che i donativi sono ingiusti e illeciti, in quanto, pur essendo formalmente un atto di libera donazione dei popoli al loro sovrano, sono invece nella sostanza una imposizione alla quale si soggiace forzatamente. Nella seconda e più interessante parte si tende poi a dimostrare quanto e come i donativi riescano alla fine, dannosi al sovrano non meno che ai popoli. Gli argomenti recati a suffragio di tale tesi sono numerosi e il B. li attinge sia ai dettami di una politica economica savia e prudente sia ad un giudizio comparativo tra le condizioni del Regno e quelle dei vicini domini spagnoli di Sicilia e del vicino Stato pontificio. Il B. non esita a sostenere che i meridionali "di Calabria vanno in Sicilia, dove pur hanno angarie, ma non tante..., et altri sono passati nello Stato Ecclesiastico, dove popolano molte grosse terre ch'erano spopolate". Il giudizio sul fiscalismo spagnolo è, quindi, assai negativo e drastico; né il B. si ferma qui, poiché egli passa subito a contestare che il peso sopportato dal Mezzogiorno fosse bilanciato dalla difesa e dalla pace che la Spagna assicurava al Regno e dalla più generale funzione di sostegno del cattolicesimo a cui essa assolveva. Infatti, egli afferma, "le guerre non sono immediatamente per questo Regno... e nondimeno pagano più di quello a che sarebbono obligati, se il Turco fosse in queste contrade"; e, d'altra parte, i precedenti sovrani spagnoli avevano condotto una grande politica internazionale, "e pure non havevano la metà dell'entrate che si cavano ora dal Regno". Il Discorso termina avanzando alcune proposte in alternativa alla imposizione forzosa dei donativi. Esso rivela una assai interessante fusione di argomenti che potevano nascere negli ambienti napoletani, coi quali il B. fu a contatto, con gli argomenti propri alla tradizione che rivendicava i diritti della giurisdizione ecclesiastica nel Regno e sul Regno. Il B. sostiene, infatti, tra l'altro, che i sovrani di altri paesi possono pretendere da essi più del re di Napoli, perché "sono più assoluti padroni dei loro stati che il re di Napoli", con trasparente allusione alla dipendenza feudale del Regno da Roma; e che la partecipazione del clero alle contribuzioni del paese deve sempre essere richiesta con la previa autorizzazione pontificia.
Coevo a quello su Napoli è il discorso Delle pretensioni di diversi principi sopra li Ducati di Mantova et Monferrato con le ragioni di ciascheduno e le risposte a tutte,a favore del Serenissimo Carlo Gonzaga,Duca di detti Stati e Nivers, che porta la data del 1º ag. 1628 (Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 5204, cc. 1-67).
Anche qui la contestazione delle ragioni spagnole è estremamente ferma e vivace. Valga ad esempio ciò che il B. osserva a proposito delle tesi di coloro i quali sostenevano che gli Spagnoli si erano "mossi a invadere il Monferrato perché il Duca non (aveva) voluto smantellare la cittadella di Casale come era obbligato per la promessa fatta loro da Vincenzo I, quando gli fu conceduto di fabricarla". Il B. sostiene addirittura che "questa è ragione del volgo e senza fondamento" e che egli vi risponde solo perché o anche al volgo siamo alcuna volta tenuti a sodisfare". Vero è che il B. sottolinea pure ripetutamente la devozione di Carlo di Nevers alla corona imperiale; ma il discorso (scritto, nonostante le difficoltà che, come dice il B., comporta, soltanto per "l'auttorità di chi mi comanda che io li dia cognitione delle raggioni di tutti li pretendenti") propende troppo nettamente per le tesi successorie di parte francese per lasciare dubbi sui più intimi convincimenti del Braccini. In ultima analisi, quindi, il B. si rivela come un interessante esponente di quella parte della Curia romana che, pur sulla linea delle concezioni più tradizionaliste, manifestava una più viva insofferenza per lo stato dell'equilibrio politico generale, e particolarmente italiano, in conseguenza della perdurante egemonia spagnola.
La sua vivacità intellettuale non ci è dimostrata, però, soltanto dalle sue prove di pubblicista legato ai moduli del realismo politico proprio dei trattatisti della ragion di Stato, quale appare attraverso o suoi Discorsi (ai precedenti bisogna aggiungere, come a noi noti, il Discorso se il Papa ne' presenti rumori di guerra debba star neutrale;il Discorso intorno alle preparazioni di guerra per la Valtellina, del 1664; e il Dialogo tra il Provveditore Generale de' Veneziani e l'ingegner Gasparo Molina).Tra i suoi progetti rientravano "le storie d'Italia da un secolo in qua" (1530-1630), non si sa bene in quale prospettiva, ma per le quali egli si andava procurando cronache e storie delle varie regioni italiane. Abbiamo, invece, una Relazione dell'incendio fattosi nel Vesuvio alli 16 di Decembre 1631... in una lettera diretta all'Em.mo e Rev.mo Signore,il Signor Card. Girolamo Colonna, stampata a Napoli da S. Roncagliolo, e di cui risultano essere state pubblicate, fra il 1631 e il 1632, ben tre edizioni. Più ampio è il trattatello Dell'incendio fattosi nel Vesuvio a XVI di Decembre MDCXXXI e delle sue cause ed effetti con la narrazione di quanto è seguito in esso per tutto Marzo 1632 e con la storia di tutti gli altri incendi nel medesimo Monte avvenuti discorrendosi in fine delle acque,le quali in questa occasione hanno danneggiato le campagne e di molte altre cose curiose, stampato presso lo stesso Roncagliolo nel 1632. Specialmente il trattatello è un'operetta letterariamente vivace, che assicura al B. un valido posto fra gli scrittori di cose vesuviane, per la felice minuziosità e l'attendibile precisione delle sue osservazioni.
Bibl.: F. S. Quadrio, Dissertaz. ...intorno alla Rezia,oggi detta Valtellina, II, Milano 1755, p. 255; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 1953 s.; Bibl. del Vesuvio, a cura di F. Fercheim, Napoli 1897, pp. 22 s.