ARANZIO (Aranzi), Giulio Cesare
Nacque a Bologna, probabilmente nel 1530, e si adottorò, il 20 maggio 1556, in filosofia e medicina presso lo Studio petroniano, dove era stato allievo del chirurgo Bartolomeo Maggi, archiatra del pontefice Giulio III e suo zio materno (per questo motivo l'A. amava farsi chiamare Aranzi-Maggi).
L'opera dell'A. viene a inserirsi nella fioritura cinquecentesca della scuola anatomica di Bologna ove egli ebbe quali illustri predecessori, nello Studio, l'Achillini e Berengario da Carpi, e ove fra i contemporanei cultori di studi medici e anatomici si ricordano l'Aldrovandi, il Varolio e il Ruini. L'anno stesso della laurea l'A. venne nominato lettore presso la cattedra di chirurgia e tale incarico sostenne finché non gli fu affidata la cattedra di anatomia, il 27 sett. 1570, dalla quale insegnò per tutto il resto della sua vita, salvo brevi interruzioni durante le quali lo sostituì il Varolio. Nel 1588 l'A. si ammalò gravemente e, ottenuta una temporanea sospensione dall'insegnamento, nonpoté più rioccupare il suo incarico morendo il 7 aprile 1589 a Bologna.
Gli scritti editi dell'A. sono: De humano foetu libellus, Bononiae 1563; il Liber anatomicarum observationum. De tumoribus secundum locos affectos liber, Basileae 1579,e il commento e l'edizione di uno scritto di Ippocrate: In Hippocratis librum de vulneribus capitis commentarius brevis, Lugduni 1759. Alcuni suoi scritti inediti vennero inseriti, col titolo di Consilia et Epistolae medicinales, nella miscellanea medica curata da un allievo tedesco dell'A., Lorenz Scholz (Scholzio): Epistolarum philosophicarum, medicarum, ac chymicarum a summis nostrae aetatis philosophis, ac medicis exaratarum volumen..., Francoforti 1598.
Il De humano foetu (apparso nel 1563 vent'anni dopo l'opera fondamentale di Vesalio) costituisce un breve trattato di fisiologia della generazione e in particolare della gravidanza, condotto sulla base di una diretta osservazione anatomica. Nella terza edizione del 1587 si nota una più accurata e precisa trattazione degli aspetti morfologici che acquistano rilievo rispetto a quelli funzionali prevalentemente espressi secondo la fisiologia galenica. A ciò contribuì forse un più diretto contatto con le opere biologiche di Aristotele che in questa edizione vengono ripetutamente citate.
L'esigenza finalistica che spinge a definire di ogni organo l'uso specifico domina tutta la trattazione. La "sapientissima natura" ha così voluto l'aspetto spugnoso dell'utero perché in esso si contenesse maggior copia di sangue e di spiriti. Mentre la placenta, che in modo particolare attira il suo interesse di osservatore, è definita iecur uteri con esplicito riferimento alla sua funzione nutritizia e di purificazione del sangue analoga a quella dei fegato. Il fruttuoso interesse che l'A. mostra per l'anatomia della placenta sembra sorga in lui dall'esperienza e dalle esigenze di medico che fra i primi nel '500 esercita quell'arte ostetrica lasciata per lunghi secoli nelle mani delle levatrici. Egli ci assicura così che quest'organo si stacca facilmente come un frutto maturo al momento dei parto, eventualmente con l'aiuto di una delicata tecnica manuale; rilevando poi che i vasi dell'utero non comunicano direttamente con quelli della placenta, non manca di notare quanto ciò sia vantaggioso per evitare gravi emorragie dopo il parto.
L'accurata descrizione che egli conduce sui vasi ombelicali e particolarmente sui rapporti di questi con il cuore fetale (congiunzione della vena ombelicale con la vena porta, dotto arterioso, ecc.) ha contribuito molto alla sua fama di anatomico. La quale secondo alcuni storici come il Portal ed anche il De Renzi è dovuta anche al suo inserirsi in quel gruppo di autori italiani che aprirono la via alla importante scoperta della circolazione del sangue. Nel Liber anatomicarum observationum l'A. discute infatti e sostiene con originali argomenti la tesi dei passaggio del sangue attraverso i polmoni (piccolo circolo polmonare), già esposta da Realdo Colombo.
Quali che siano i legami di queste sue ultime considerazioni sulla funzione e struttura del cuore con il precedente studio dei vasi fetali, sembra che l'opera anatomica dell'A. debba considerarsi nel suo insieme più che il risultato di una visione estetica osservativa della natura, quale si ha ad esempio in Vesalio, un prodotto dell'inevitabile realismo che impone la tecnica ostetrica e chirurgica (documentata particolarmente nel libro De tumoribus ove l'A. ci presenta l'intero repertorio della sua prassi chirurgica).
Il commento al De vulneribus capitis di Ippocrate si spiega non tanto con la sensibilità del medico filologo, scarsamente viva nell'A., quanto con l'impegno concreto che gli derivava dalla prassi clinica e terapeutica. Che l'A. mostrasse in questa doti veramente eccellenti rimane testimonianza in alcune osservazioni del De Tumoribus sulle infermità della testa e degli occhi, sulla cura dei polipi nasali, sulla cura delle fistole anali e della fimosi.
Bibl.: A. Portal, Histoire de la anatomie et de la chirurgie, II, Paris 1770, pp. 2-16; A. Corradi, Dell'ostetricia in Italia dalla metà del sec. XVIII, Bologna 1774-1777, pp. 110 e ss.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, I, Bologna 1781, pp . 266-272; S. De Renzi, Storia della medicina ital., III, Napoli 1848, pp. 198 ss.; M. Medici, Compendio stor. della scuola anat. di Bologna, Bologna 1857, pp. 78 ss.; A. Corradi, Tre lettere di illustri anatomici del 500 (A., Cananio, Fallopia), in Annali univ. di medicina, CCLXV(1883), pp. 164-193; G. Martinotti, L'insegnamento dell'anatomia in Bologna, Bologna 1911, II pp. 80 ss.; G. Zaccagnini, Storia dello studio di Bologna durante il Rinasc., Genève 1930, pp. 228-230; P. Gall, G. C. A. scopritore del bacino viziato e della pelviometria, in La clinica ostetrica, XXXVIII(1936), pp. 478-481; L. Simeoni, Storia dell'Università di Bologna, II, Bologna 1940, pp. 7, 24, 24, 30, 32, 34, 50, 51, 52, 54; E. Dall'Osso, G. C. A. e la rinoplastica, in Annali di medicina navale e tropicale, LXI (1956), pp. 617-627; Id., Un contrib. al pensiero scient. di G. C. A.: la sua opera chirurgica, ibid., pp. 754-767.