CARPIONI, Giulio
Nato intorno al 1613, quasi certamente a Venezia, verso il 1630 è ad apprendere pittura presso il Padovanino, mostrando di puntare "decisamente in senso classicistico sulla tradizione veneziana più aurea, vale a dire sulla giovinezza di Tiziano" (Pilo, 1965, p. 56). Tuttavia, dovettero ben presto giovargli i nuovi apporti lagunari di cortoneschi quali F. Ruschi e di caravaggeschi quali N. Renieri o, meglio, C. Saraceni e J. Le Clerc. Si aggiungano precoci esperienze lombarde, magari puntualizzabili in una trasferta del C. a Bergamo, attorno al 1631 (Pilo, 1961, pp. 15 s.), al seguito del Padovanino: conseguendone un'apertura al "gusto della realtà" tipico dei lombardo-veneti del momento. Ma ugualmente preziose le esperienze veronesi del Turchi, del Bassetti, dell'Ottino, appena adoperatisi a far confluire peculiari inclinazioni venete "nel luminismo strutturante della visione caravaggesca": vedi Cinquant'anni di pittura veronese 1580-1630 (catal.), Verona 1974, p. 133. Tornato a Venezia, il C. poteva ormai conoscere il camaleontico "grottesco" di Pietro Vecchia e avere contatti con il "classicismo" romano e i risultati ultimi del Poussin tramite le diffuse incisioni di Pietro Testa, gli esempi del Fialetti e di Simone Cantarini.
Il Longhi (p. 78), visto l'interesse del C. "per la lucidezza atmosferica e oggettiva dei bamboccianti romani" del 1630 e constatatane la forte partecipazione al movimento neoveneziano di ispirazione classicistica fiorente attorno al Poussin, si chiede se il pittore "non abbia, da giovane, fatto il viaggio di Roma", a studiarvi, tra l'altro, quei "baccanali" di Tiziano - a Roma appunto dal 1598, ma emigrati in Spagna nel 1639 - risultatigli poi determinanti. Se si aggiungono alcune larvate simpatie raffaellesche, rilevate dal Morassi (Pilo, 1961, p. 96) e più di qualche simpatia per il Cantarini, la proposta della discesa romana del C. è tanto più interessante in quanto, viceversa, una ipotizzata presenza del Poussin nel Vicentino (Puppi, 1963, p. 78), per affrescare in villino Garzadori da Schio a Costozza, si è mostrata, oltre che insostenibile sul piano cronologico (Pilo, 1961, pp. 90-91), frutto soltanto di un banale refuso tipografico (vedi F. Pigafetta, La descrizione del territorio e del contado di Vicenza, a cura di A. da Schio-F. Barbieri, Vicenza 1974, p. 53). Purtroppo una lunetta veneziana per i Frari (M. Boschini, Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, p. 44), capace di far luce sulla fase precoce del C., è oggi scomparsa. Potrebbero colmare, almeno in parte, la lacuna due dipinti accoppiati, il Gioco d'azzardo, già, in collezione privata bolognese e il Bacco tabacco e Venere del Museo civico di Vicenza (inv. A. 446), nei quali ben si colgono (Pilo, 1961, p. 89) i complessi rapporti con la cultura pittoresca veneziana poco oltre il 1630, soprattutto con gli umori picareschi del Vecchia.
Sposato a Valeria Girello, quasi di sicuro veneziana, il C. è segnalato dal 1638 a Vicenza dove lascia in seguito continue, frequentissime tracce della sua abituale presenza, in contrada SS. Apostoli. Ciò rende quanto meno dubbio un suo effettivo lungo soggiorno veronese, troppo spesso sostenuto sulla base di non documentate affermazioni settecentesche (P.A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 235). Ad ogni modo, sappiamo di una interpellanza rivolta al C. nel 1642, da parte dei frati del vicentino convento di Monte Berico, per averne un parere a proposito della "fattura" di una lampada (Saccardo, 1976, p. 222).
Negli anni fino al 1647, avari di testimonianze sicure sul C., possono, in via induttiva, collocarsi l'Autoritratto già Algarotti, ora nella trevisana collezione Berton, la Cleopatra delle Gallerie bavaresi di Schleissheim (1640circa), oscillante tra Vecchia e Padovanino con influssi del Renieri, e la S. Barbara della vicentina chiesa di S. Stefano; poco dopo, il Concerto di flauti (inv. 1656)e l'Ebbrezza di Sileno (inv. 339) del Kunsthistoriches Museum di Vienna con il Sileno ebbro del Museo civico di Udine (inv. 478), le più precoci versioni dei tanti "baccanali" carpioneschi. Al 1645cadrebbe la Madonna con il Bambino della milanese collezione Arslan, definita Tilo, 1961, p.101) "eccellente copia libera" dalla Madonna Lochis del Giambellino (Bergamo, Acc. Carrara, inv. 167). Sempre nel 1645, il 18 gennaio, vengono saldati al C. 22 ducati per una "palesina con Maria, N.tro [Signore], San Giovanni, et Santa Lucia", più "due quadri uno per parte, con Sant'Antonio, e San Leonardo", nonché "un cielo dipinto… fatti all'altare avanti la preggion reata" (Saccardo, 1976, pp. 221 s.) ossia le prigioni vecchie di Vicenza sistemate nella torre detta anche "Coxina", al "Territorio" presso il ponte degli Angeli: lavori tutti risultanti però già finiti al 20 dicembre del precedente 1644 e oggi, purtroppo, perduti. Del 16 ag. 1646 è il compenso versato al C. "per haver dipinto il quadro di Sta Elisabeta" nella chiesetta dei Proti (Puppi, 1968, p. 154 n. 87): opera non più identificabile.
Del 1647 è il primo caposaldo datato, la Glorificazione Dolfin, seguita (1648) dalla Glorificazione Bragadin (Vicenza, Museo civico, inv. A 330 e 328): due enormi lunettoni, in stretta relazione con analoghi lavori del Maffei, soprattutto le contemporanee "glorificazioni" Zane (1644-45) e Foscarini (come inquisitore del Monte di pietà, 1648: Barbieri, 1962, II, pp. 106 ss., 110 ss.). Il C. vi appare polemicamente impegnato a frenare l'empito del gran "manierone" maffeiano, anche se con esiti che non riescono del tutto persuasivi. Sempre al '48 cade il Martirio dis. Caterina (Vicenza, chiesa di S. Caterina), firmato e datato sul telaio: ricordi un po' ovvi del Vecchia e del Ruschi si uniscono a suggestioni maffeiane, evidenti anche nell'Eliodorocacciato dal tempio della chiesa di S. Giacomo, pressoché coevo. Dopo il breve smarrimento, subito la lucida intelligenza carpionesca ha il sopravvento e già il bell'Autoritrattomilanese (Brera, inv. 192), un Ritratto di alabardiere (Bergamo, coll. Steffanoni) e, più, gli affreschi in una saletta di villa Caldogno-Nordera a Caldogno (Vicenza), circa il 1650, mirano con rigoroso puntiglio ad una autentica "riforma" in senso plastico e grafico. La luce, ferma ad accarezzare i volumi, assume un ruolo determinante come provano, negli stessi anni, la CaritàSteffanoni e tre pale con S. Antonio da Padova,La Madonna con il Bambino e Vari santi, a Vicenza (chiesa di S. Lorenzo), nella cappella di villa Carli a Costozza (Vicenza) ed a Venezia, Gallerie dell'Accademia: questa, forse, in origine, nella cattedrale vicentina. S'aggiungano l'Allegoriadella fragilità umana (Vicenza, Museo civico, inv. A 102: per l'iconografia, vedi Pilo, 1961, p. 120, e Puppi, 1969, p. 175) - un po' ambigua e contradditoria (Barbieri, 1962, II, p. 207) sebbene illuminata da un eccezionale stralcio di "natura morta" - ed il S. Antonio da Padova della veneziana collezione Viancini. Con la Trinità ed i ss. Benedetto e Scolastica, segnata nel retro 1651, il C. ritorna, più maturo, a S. Caterina di Vicenza; dello stesso anno, l'iscrizione sulla vastissima Allegoria Grimani nel santuario di Monte Berico.
Pur manomessa, nel settore centrale (per le vicende e lo stato originale del dipinto, vedi Barbieri, 1971, pp. 359-60) e piuttosto annerita, la tela, ben più felice delle precedenti "glorificazioni", raggiunge una composta "classicità" d'assieme che però non esclude sapidi episodi ritrattistici. Al '51, o poco dopo, sembrano del resto appartenere alcuni dei migliori ritratti del C., la Suonatrice e la Dama col guanto (Vicenza, Museo civico, mv. A 57, 95) per i quali il Pallucchini (Barbieri, 1962, II, p. 49) parla di "placidità formale quasi neoclassica". Analoghi dovevano essere i quattro ritratti di "belle dame" vicentine, due in rame e due in pietra di paragone, che l'artista eseguiva (1650-1653 circa: Gualdo, p. 96) allo scopo dichiarato di "farsi conoscere anch'egli per virtuoso".
Nell'ambiente, dominato dal "barocco" maffeiano, il contrasto si faceva, infatti, via via più acuto, alla metà del sesto decennio, per la partecipazione dei due artisti a comunicicli decorativi. Ecco l'affresco nella chiave di volta e le quattro tele dell'Oratorio delle zitelle, dove, a parte qualche problema di autografia (Cevese, 1970, pp. 38-48), il C., sebbene un po' in sordina, manifesta ferme le sue convinzioni, a fianco dei capolavori maffeiani, nel soprarco dell'Annunciazione, mentre cerca ancora un compromesso con il rivale nell'Adorazione dei Magi. All'oratorio di S. Nicola, vicino al Maffei più fragoroso (Barbieri, 1971, pp. 17-18), il pittore reagisce invece apertamente in nome dei "valori di lume" e dell'assidua ricerca lineare. Liberato il campo dal Maffei, già a Padova nell'agosto 1657, inizia il momento più alto e fecondo del C., in piena concordanza con il parallelo programma "purista" svolto dalla scuola architettonica vicentina di "stile severo", sotto l'egida di Antonio Pizzocaro (1605-1680). Dopo inizi un poco incerti, tappe fondamentali del nuovo corso sono anzitutto le quattro tele dell'oratorio di S. Chiara (una è datata 1663); vi si collegano i dipinti della vicentina collezione Braga, la pala con S. Antonio da Padova, la Vergine e due santi della Procuratoria veneziana di S. Marco, ma forse di provenienza vicentina, e La Maddalena della collezione Martini (Venezia).
Si può avvicinare a quest'ultime due opere per strette affinità, specie nei richiami paesaggistici, la pala con S. Antonio, visibilmente riadattata, segnalata (Cevese, 1971, II, p. 366)nella cappella Ghellini-Piovene a Novoledo di Caldogno (Vicenza) come "opera tra le più ispirate ed intense" del Carpioni. è poi molto verosimile cadano adesso i quindici piccoli, deliziosi Misteri del Rosario nell'altare della seconda cappella laterale sinistra della parrocchiale di Monte San Lorenzo (Gambugliano, Vicenza), segnalati dal Maccà (IX, p. 140) ma, in seguito, sfuggiti agli studiosi. Le tele, ad evidenza da un precedente altare per il quale varrà forse la data "MDCLXIV" incisa in una superstite edicoletta sulla parete, destra, restano di particolarissimo interesse, a parte la loro freschezza quasi di "abbozzi", perché recano, nell'Assunzione, la scritta "Giulio Carpioni fecit": come solo altre due volte nel regesto carpionesco ed una, anche, dubbia (Pilo, 1961, p. 72).
Prossime al 1665 sono le tele del lunghissimo fregio di palazzo Negri, ora al Museo civico di Vicenza: sciorinando con disinvolta fantasia miti, allegorie, monocromi di Sibille, il C.riprende l'uso dei fregi a soffitto, tanto frequente nella tradizione aulica vicentina. Anche al 1665 c. si colloca il fregio con Storie di s. Savina nel palazzo Trissino Baston (ultimato nel 1662 dal Pizzocaro su progetto scamozziano) e quello con Putti e allegorie nel palazzo Giustiniani-Baggio (del Pizzocaro, 1656): l'artista vi lavora a diretto contatto con lo scultore luganese Giambattista Barberini, i quadraturisti bresciani Giuseppe Arighini e Giambattista Gattucci, il frescante lucchese Pietro Ricchi ed il milanese Giovanni Ghisolfi, gran pittore di "rovine" e di prospettive. Una collaborazione che ritroviamo, almeno con l'Arighini, nell'affresco absidale di S. Felice a Vicenza (1665-1666 circa) e, quasi certamente con tutti gli altri della "squadraccia" forestiera (escluso il Barberini), nella decorazione (1666 circa) della pizzocariana villa Macchiavello alle Nove di Bassano e che troverebbe il suo acme nelle Muse in fuga dal palazzo di Pireneo (già a Venezia, coll. Franco), dove parrebbe ragionevole pensare le figure del C. entro architetture e paesaggio attribuibili al Ghisolfi (Barbieri, 1962, p. 209: confermato "in via di prova" dal Pilo, 1965, p. 60 n. 13). Ne conseguono uno schiarirsi delle tinte e una più sciolta vena narrativa nel C., mentre si sviluppa un nuovo sentimento del paesaggio e dell'ambiente, in tono morbido e quasi elegiaco, così diverso dall'ascetico eroismo del Poussin.
Motivi tutti rifluenti, più che nella grandiosa Apparizione della Vergine al rettore Vitturi (1665: al Landesmuseum di Linz dalla distrutta chiesa vicentina di S. Barbara) o nella Resurrezione di Lazzaro (Firenze, coll. Donzelli), in una vastissima serie di scene mitologiche e di baccanali, sempre degli anni intorno al '65, tra cui spiccano Iride nel regno di Hypnos (New Haven, Yale University Art Gallery: vedi Art Journal, XXXIV [1974], I, p. 64)e la Contesa delle Muse e delle Pieridi della Pinacoteca di Ancona, cui il Puppi (1963, p. 78)avvicina la Morte di Adone della Galleria nazionale di Praga, la Metamorfosi dei contadini Lici della Gemäldegalerie di Dresda con la variante di Praga (Puppi, 1963), probabilmente "di qual cosa più tarda"; il Putto alato degli Uffizi (n. 8408) così simpaticamente ghisolfiano; e specialm. la struggente trenodia sulla Morte di Leandro, dalle versioni più acerbe di Budapest (Museo di Belle Arti, n. 600) e di Montecchio (in villa Cordelliana: andata dispersa per furto, con la gemella Festa di Venere, nell'anno 1975) a quella già a Venezia (collezione Viancini) fino al "diapason" di Digione (Museo Magnin, n. 615)e di Firenze (coll. Donzelli: 1670circa), ed alla più tarda stesura di Padova (Museo civico, coll. Emo-Capodilista, n. 114:dopo il 1670). Parallelamente ritorna (1665circa) il gustoso verismo delle allegorie della Grammatica (Roma, coll. Peretti) e della Scuola, quest'ultima di recente recupero, assieme alla Fuga in Egitto (1666circa), della dispersa collezione Velo, data ancora per irreperibile dal Pilo (1961, p. 136: vedi Barioli, pp. 92 s., 100 s.). A cavallo degli anni '70 resta il problema delle quattro pale di S. Felice a Vicenza, variamente collocate tra 1660 e '75: su di esse, come su tutto l'ultimo periodo del C., getta luce il fatto che le undici tele nel soffitto dell'oratorio di S. Nicola a Vicenza, con il Trionfo del santo ed allegorie di Virtù, inserite tra gli stucchi di R. Viseto e ritenute finora (Pilo, 1961, pp. 119-120) del 1671 circa, risultano invece eseguite a partire dall'agosto 1677 (Barbieri, p. 25) - contraddicendo quindi l'affermazione che il pittore, al '78, avesse "da qualche anno abbandonati i pennelli" (Pilo, 1961, p. 18) - e saldate alla vedova Valeria il 24 luglio 1681.
In tale nuova situazione, cose tarde del C. possono essere opportunamente distese in più ampio spazio cronologico, dilatato da un generico 1671 fino all'estremo margine del 1677. In esse "le masse plastiche sono ormai consumate da una pittura orlata, tutta lembi piatti, lisce stesure di carni, dilatarsi di nubi tonde e scorporate"; e "la macchia di colore tende persino a frangersi, ad annullare il contorno, sfumando in presentimenti di Amigoni e Pellegrini" (Arslan, in Pilo, 1961, p. 120): così nelle due versioni del mito di Pan e Siringa (Milano coll. Vitali, e Venezia, coll. Arban), e specialmente in Liriope, Narciso e Tiresia (Vienna, Kunsthistorisches Museum, inv. 1646) o nell'affine Gara di Apollo e Marsia, segnalata dal Pilo (1965, p. 62 n. 16) nella coll. Cuachi di La Valletta. In questo periodo si possono anche comprendere, con più agevolezza, la Maddalena in S. Eufemia ed il S. Mauro ai SS. Nazaro e Celso, a Verona. Si aggiungano le dodici tele con i Misteri del Rosario, certo eseguite (Saccardo, 1976, pp. 220-222) negli anni 1676-77 per l'omonimo oratorio vicentino, eretto a partire dal 1656 vicino alla chiesa di S. Corona. Le otto tele superstiti di questo breve ciclo carpionesco dopo la demolizione (1810-13) dell'oratorio si possono oggi identificare con sicurezza, sulla scorta di S. Rumor (Castegnero. Ricordi storici, Vicenza 1905, p. 37) in quelle - pur appesantite da malaccorti restauri del 1929 - ora conservate sulle pareti del presbiterio e della navata nella parrocchiale di Castegnero (Vicenza).
In piena coerenza con il suo rigore formale il C. svolse anche una felice attività di incisore: di lui rimangono ventotto acqueforti (A. Bartsch, Le peintre graveur, XX, Vienne 1820, pp. 177-191; Pilo, 1961, pp. 37-39), probabilmente scaglionate nel quindicennio 1640-1655, e di cui il Museo di Bassano possiede la serie più completa: le esperienze grafiche di P. Testa vi risultano senz'alcun dubbio determinanti, ma i risultati ultimi portano lontano, ad anticipazioni settecentesche e, nella fattispecie, tiepolesche.
Il C. faceva testamento nella sua casa vicentina il 25 genn. 1678; il 29 successivo moriva e veniva sepolto nella scomparsa chiesa di S. Michele, a pochi passi dall'oratorio di S. Nicola (per un curioso equivoco, il Pilo, 1961, pp. 18 e 77, scrive, 28 genn. 1679: data inesatta, ma comunemente riportata in seguito).
Nel testamento dell'artista - al quale pure è presente e sottoscrive l'allievo Antonio de' Pieri - come nei due della moglie Valeria del 23 ag. 1674 e del 14 febbr. 1678, non è traccia alcuna di un figlio Carlo, cui sembra accennare per primo L. Lanzi (Storia pittorica della Italia, a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 146), in forma però estremamente dubitativa: "udii avere in tutto seguito il padre, ma niun'opera certa ne vidi mai". Dopo altre generiche affermazioni consimili di fonti veronesi che assegnano a Carlo (vedi Pilo, 1961, pp. 18-19)opere a Verona (in S. Stefano, S. Bernardino, S. Giorgio in Braida), tutte, comunque, irreperibili, un cenno come pittore attivo in Verona, sempre però con il beneficio del dubbio e senza alcuna specificazione, ne fa E. Tea in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 151. Solo l'Arslan (vedi Cevese, 1970, p. 40) avanza, tuttavia, con riserva, l'ipotesi che possa spettare a Carlo la pala con S. Antonio da Padova e s. Cecilia (1655 c.) dell'Oratorio delle zitelle a Vicenza, togliendola al padre: traccia che il Cevese (1970) ritiene meritevole "d'essere seguita, e forse utile alla identificazione di altre opere vicentine del Seicento" tuttora avvolte nell'anonimato.
Quanto a un Giulio iuniore, che sarebbe stato della stessa famiglia del C. (e forse suo nipote), il fatto che neppure di esso si abbia alcuna notizia nei testamenti citati del 1674 e 1678 potrebbe non essere significativo: lo Zannandreis, infatti, che raccoglie su di lui alcune notizie (Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi, a cura di G. Biadego, Verona 1891, p. 338) che, a sua volta, erano derivate da fonti precedenti, lo colloca tra gli artisti fioriti molto più tardi, nel pieno Settecento. Per le opere di Giulio iuniore, lo stesso Zannandreis, che ne compila un discreto catalogo di quelle ritenute migliori, le dà come già scomparse al suo tempo: e si noti che Le vite dello Zannandreis, pubblicate postume, sono state composte circa il 1831-1834. Un solo quadro, pur esso oggi perduto, viene dato come esistente "nella quadreria" di S. Bernardino; vi si vedeva il convito evangelico, "da cui fu cacciato colui che non era vestito della nuzial veste e dannato agli eterni cruciati".
Resta invece sicuro che gli insegnamenti del C. saranno di notevole peso nella cultura artistica vicentina fra Seicento e Settecento: ad essi attingeranno immediatamente i pittori ancor poco noti Cristoforo Menarola (Barbieri, 1962, I, p. 56; Barbieri-Saccardo, 1976, pp. 142, 220) e Giovanni Cozza (Puppi, 1968, p. 134), il Cittadella (P. Rossi, Il pittore vicentino Bartolomeo Cittadella, in Odeo Olimpico, VII[1969], pp. 51-91), e più tardi fino al medio Settecento, Costantino Pasqualotto (R. Cevese, Il pittore Costantino Pasqualotto detto il Costantini, in Vita vicentina, agosto-dicembre dell'anno 1953) ed Antonio de' Pieri (L. Magagnato, Antonio de' Pieri pittore vicentino del Settecento, in Arte veneta, VII[1953], pp. 100-106); e ne discenderanno, in più largo raggio, influssi capaci di corroborare la vena "veristica" e "grottesca" degli stessi Marinali, specie del maggiore Orazio, abitante poco lontano dal C., in contrada di S. Chiara (L. Puppi, Nuovidocumenti sui Marinali, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXXV[1967], pp. 197-198).
Fonti e Bibl.: Per i dati anagrafici del C. nonchéi testamenti suoi e della moglie, fondamentale G. G. Zorzi, Il testam. del pittore G. C. Alcune notizie della sua vita e delle sue opere, in Arte veneta, XV (1961), pp. 219-22.Una rassegna bibliogr. completa sul C., compreso lo spoglio accurato delle fonti, si ha, fino a tutto il 1961, nell'ampio ed esauriente saggio di G. M. Pilo, Carpioni, Venezia 1961: ivi, un articolatissimo catalogo ragionato, cui si rimanda. Sarà ad ogni modo da avvertire che l'enormità del regesto carpionesco - da presumere inoltre suscettibile di ulteriore ampliamento a seguito della ricognizione capillare in atto del patrimonio vicentino - solleva non pochi e difficili problemi di distinzione, spesso insolubili, allo stato attuale delle nostre conoscenze, tra opere autografe e di collaborazione. Alcune segnalazioni relative ad opere del C., di cui il Pilo non ha tenuto conto, si hanno in G. Maccà, St. del territ. vicentino, Caldogno 1812-15, I, p. 194; II, 2, p. 329; V, p. 189; VI, p. 284; VII, pp. 72, 98; IX, p. 140; XI, 2, p. 242; XII, I, pp. 34, 52, 116, 167; XII, 2, p. 22; XIII, p. 244. L'aggiornamento del regesto e della bibliografia fino all'anno 1966 è in C. Donzelli-G. M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 111-120;ma si vedano anche recens. al Pilo, 1961, di R. Longhi, in Paragone, XIV (1963), 157, pp. 78 s.; di L. Puppi, in La Critica d'arte, X (1963), nn. 57-58, pp. 73-78;di A. Ballarin, in The Burlington Magazine, CV (1963), p. 417;di F. Barbieri, in Arte veneta, XVI (1962), pp. 206-09.Si veda, inoltre, G. M. Pilo, Carpioni e Vicenza, in Odeo Olimpico, V (1965), pp. 55-63, e si aggiungano fino al 1966 e dopo: F. Barbieri, Terrecotte, marmi e disegni dei Marinali presso il Museo civico di Vicenza, in Miscell. in on. di F. M. Mistorigo, Vicenza 1958, pp. 112-114;B. Nicolson, Seicento painting in Venice, in The Burl. Magaz., CI (1959), p. 287 n. 3;R. Bassi Rathgeb, Le Quattro stagioni del C., in Arte veneta, XV (1961), pp. 249 s.; Art of the Renaissance from the S. M. Kress Collection, Columbia, S. C. 1962, pp. 124 ss.; F. Barbieri, Il Museo civico di Vicenza, Venezia 1962, I, p. 56; II, pp. 46-57, 104, 106-08, 110-13, 145, 146, 161, 164;Id., Pittori lombardi e toscani del Seicento a Venezia…, in Arte veneta, XVII (1963), pp. 119-127;L. Fröhlich-Bume, Zu G. C., in Die Weltkunst, XXXV (1965), p. 113;R. D'Alano, Catalogo delle opere d'arte del Convento… dei cappuccini di Udine, Roma 1966, pp. 24, 25, figg. 5, 26;R. D'Alano, Due tele del C. scoperte a Thiene, Roma 1968;L. Puppi, Revisioni e divagazioni archivistiche…, in Riv. dell'Istituto naz. d'archeol. e storia dell'arte, n.s., XV (1968), pp. 134, 139, 141, 154;Id., Ignoto Deo. Alla mem. di E. Panofsky, in Arte veneta, XXIII (1969), p. 175;R. Cevese, L'Oratorio delle Zitelle, Vicenza 1970, pp. 14, 36, 38-48; L. Puttin, Il seicentesco oratorio delle Zitelle riportato all'antico splendore, in Vicenza, XII(1970), 6, pp. 16-18; F. Dal Forno, Aggiunte al C., in Vita veronese, XXIII (1970), pp. 7-19; F. Barbieri, Palladio e Monte Berico, in Scritti in on. di R. Pane, Napoli 1971, pp. 359 s.; F. Vivian, Il console Smith…, Vicenza 1971, ad Indicem;R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, I-II, Milano 1971, ad Indicem; Gli affreschi di Agna, in Galleria veneta, febbraio-marzo 1971, pp. 25-32; B. B. Fredericksen-F. Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Century Ital. Paintings in North American Public Collections, Cambridge, Mass. 1972, p. 47; G. Barioli, Il restauro a Vicenza negli anni Sessanta (catal.), Vicenza 1972, pp. 92-104, 106-08, 141 (l'Eliodoro cacciato dal tempio, in S. Giacomo di Vicenza, "è un eccezionale repertorio per quanto attiene alla oreficeria vicentina del tempo essendovi raffigurati oggetti d'oro e d'argento in gran numero"), 146; F. Dal Forno, Due inediti dipintidi G. C., in Vita veronese, XXV(1972), pp. 161-63; U. Ruggeri, Le collezioni pittoriche rodigine, in L'Accademia dei Concordi di Rovigo, Vicenza 1972, pp. 31, 59, 70 s., tav. 44; G. Gualdo iunior, 1650. Giardino di Cà Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze 1972, ad Indicem; F. Barbieri, L'oratorio di S. Nicola a Vicenza, Vicenza 1973, ad Indicem;L. Puppi, Una fonte secentesca per la storia dell'arte, in Odeo Olimpico, IX-X (1973), p. 166; G. Mantese, Mem. stor. della Chiesa vicentina, IV, Vicenza 1974, pp. 1351 s. n. 60 (interessante l'inventario della quadreria di Pompeo Giustiniani, in palazzo Giustiniani-Baggio dove si trovano catalogati, nel 1707, ben sessantaquattro dipinti del C.); R. Schiavo, Villa Cordellina Lombardi di Montecchio Maggiore, Vicenza 1975, p. 36; M. Chiarini, I quadri della coll. del principe Ferdinando di Toscana, in Paragone, XXVI(1975), 303, p. 102; V. Antonov, Un acquisto enigmatico per l'Ermitage, in Antichità viva, XIV(1975), 4, p. 53 (quattro quadri menzionati in un inventario del 1797: Iris e Giunone etre Baccanali);M.Saccardo, Arte organaria… a S. Corona. Precisazioni sul patrimonio artist. della chiesa, Vicenza 1976, ad Ind. (ibid., F.Barbieri, pref., pp. 141 s.); Enc. Ital., IX, p. 114.