BUCCI (Buzzi), Giulio
Nacque in Faenza, nella parrocchia di S. Emiliano, il 13 febbr. 1711 dal capitano Domenico e da Orsola Giordani. Appresi i primi rudimenti dal pittore greco Nicola Valletta (vissuto a Faenza nel secondo quarto del sec. XVIII) e venutogli a mancare il padre, la Compagnia di S. Gregorio, detta anche dei "poveri vergognosi", gli concesse un sussidio per andare a studiare a Bologna presso un valente artista. Da carte anonime manoscritte settecentesche risulta che il giovane faentino, dopo aver frequentato la scuola di Ercole Lelli, di sua iniziativa volle mettersi a studio presso G. M. Crespi detto lo Spagnolo. Finiti i sette anni di alunnato bolognese, il B., intorno al 1738, ritornò a Faenza ove si trattenne a lavorare, salvo qualche rapida puntata a Bologna, fino al 7 febbr. 1750, quando tornò a Bologna per sposare Lucia Gloria. Vi rimase per sei o sette anni; gli nacquero cinque figli: tre maschi e due femmine. Dopo una grave malattia, verso il 1761, andò a Faenza e fu indotto da parenti ed amici a trattenersi nella città natale, per molti anni, caricato di numerose commissioni. Nell'autunno del 1768 era di nuovo a Bologna (nel marzo dell'anno precedente gli era stata conferita la patente di accademico Clementino) per consegnare tre grandi tele di "paesi" che gli eran state commissionate dagli agenti della corte imperiale russa (le carte Strocchi dicono: corte di Spagna) e che gli eran costate più di un anno di lavoro; ma gli furono rifiutate. La delusione lo ridusse in disperate condizioni fisiche e finanziarie: lo salvò l'amico e mecenate Ignazio Benedetti che lo indusse a trasferirsi a Faenza ospite in casa sua. Quivi, ripresosi lentamente, il B. si rimise al lavoro eseguendo dipinti considerati fra i suoi migliori; ma la gioia di ritrovarsi in patria coi suoi durò poco; infatti morì il 25 maggio 1776. Fu sepolto nella chiesa ale lora detta del Suffragio (oggi parrocchialdi S. Stefano) in uri avello terragno offerto dal suo protettore, che gli fece incidere la lastra tombale, oggi non più rintracciabile.
Non sembra che il B. si sia mai spinto al di là della Romagna e di Bologna; e ciò che nelle sue opere può essere un riflesso di altre scuole, come la romana o la veneta, può derivare anche da studi e conoscenze fatte a Bologna o in Romagna. Di positivo si sa solo che lavorò anche a Forlì. In quelle che possonò considerarsi le sue pitture giovanili èavvertibile lo stile del Crespi, specie in certe figure di contadine e popolane sedute o sdraiate per terra sullo sfondo di paesaggi fortemente chiaroscurati e con l'orizzonte piuttosto alto, oltre che in qualche schizzo a penna in cui l'inchiostro morde la carta con una spigliatezza e un gusto che si direbbe ancora guercinesco. Distaccatosi dal Crespi, il Faentino avrà buttato l'occhio anche sulle opere di alcuni pittori di scuola romana peregrinanti per l'Emilia e Romagna, inoltre ha certamente conosciuto e apprezzato il secentesco modo di comporre, fra il romantico e il fantastico, di un S. Rosa o di un G. Dughet. Certo è che nulla egli deve al paesaggio storico classicista e poco risentì anche del paesaggio arcadico romano. Nello sviluppo della sua maniera naturalistica e popolaresca, il B. giunge a una interpretazione campagnola della serie bertoldiana delle incisioni del Crespi e del suo derivato Mattioli, ma non ha le intenzioni burlesche e satiriche dei due Bolognesi. Egli infatti, in contrasto con l'opinione corrente di coloro che lo ammiravano come macchiettista, voleva convincere sé e gli altri di saper fare anche composizioni con grandi figure. In seguito, e talora anche in contemporaneità a questa maniera di rustico bambocciante, venne sviluppando una serie di vedute più pittoresche ed elaborate ove è evidente il desiderio di gareggiare con la pittura fenomenica, avvalendosi di motivi alla S. Rosa, ma anche tenendo d'occhio le imprese di quel fantasioso paesista che fu Marco Ricci e il tocco magico del Magnasco. I suoi contemporanei gli attribuivano affinità anche col Grechetto. Queste suggestioni però, se arricchiscono di motivi l'elaborazione decorativa del quadro, non sopprimono la spontanea osservazione dei suoi campi romagnoli ed è questo istintivo studio della natura che dà fino all'ultimo i suoi frutti migliori portando il B. quasi a sfiorare, in alcuni effetti di luci filtrate fra alti pioppi specchiantisi in acque tremule (tele di casa Ferniani a Brisighella), la maniera dei grandi vedutisti anglo-francesi del primo Ottocento. Il B. collaborò come figurista col paesista Carlo Lodi in decorazioni di palazzi bolognesi (casa Guidolotti-Alberani) ed eseguì pure macchiette nei paesaggi del bolognese Angelo Carboni, mentre dipinse sfondi paesaggistici per il bambocciante Stefano Ghirardini; Vincenzo Martinelli, nipote del Lodi, trarrà a sua volta spunti e motivi dal ricordo del B. paesista. A Faenza il B. ebbe un solo allievo nel suo protettore Ignazio Benedetti, il quale dipinse una serie di paesaggini sul fare del maestro ma con maniera più semplice e piana, meno contrastata e fantasiosa.
Il B. è tuttora un pittore inedito, le sue opere sono in circolazione sul mercato antiquario coi nomi più disparati, tanto stranieri che italiani.
Bibl.: Biblioteca Comunale di Faenza, Mss. Valgimigli: Pro memoria Z. B. ("Elogio" del 1776; altra versione ivi, Mss. 77-II-7: Carte del canonico A. Strocchi); N.Tosetti (Licida Focideo), Dialogo Pastorale (miscellanea per nozze Severoli-Barbuchielli), Faenza 1765, p. 31; Id., Sonetto (foglioper la "Solenne Annua Festa della Gloriosa Vergine delle Grazie"), Faenza 1766; A. Biancoli, L'Arte della maiolica: poemetto, parte 3, Ravenna 1875 (ediz. post.: fu scritto nel 1765-68), pp. 96, 169; R. Buscaroli, La pitt. di paesaggio in Italia, Bologna 1935, p. 379; E. Golfieri, Catal. della Mostra di opere del pittore faentino G. B., Faenza 1947; G. Zucchini, Paesaggi e rovine nella pittura bolognese del Settecento, Bologna 1947, pp. 6, 39; A. Archi, Guida di Faenza, Faenza 1958, pp. 15, 80; E. Golfieri, Pinacoteca di Faenza, Faenza 1964, n. 28; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 173.