ASCOLI, Giulio
Nato a Trieste il 13 ott- 1870, si iscrisse al primo anno del corso di medicina e chirurgia dell'università di Praga, trasferendosi poi a Graz e, infine, a Vienna: in questa città completò la sua preparazione sotto la guida di illustri maestri, quali K. F. Ludwig, A. Weichselbaum, M. Kaposi, E. Neusser, e si laureò nel febbraio 1895. Nel dicembre dello stesso anno discusse la tesi anche a Padova e fu confermato dottore in medicina e chirurgia in Italia. Divenuto assistente di R. Murri, nella clinica medica di Bologna, l'A., alla notizia della infausta giornata di Adua, si arruolò come sottotenente medico per partecipare alla campagna d'Africa.
Tornato in Italia, nel 1898 l'A. divenne assistente volontario prima, successivamente straordinario del prof. E. Maragliano, nella clinica medica di Genova, nella quale diresse il laboratorio di chimica medica. Durante questi anni ottenne la docenza in chimica medica, in patologia medica e in clinica medica generale, e, per delegazione, fu chiamato a sostituire il Maragliano dal 1899 al 1904. Dopo aver frequentato l'Istituto Pasteur di Parigi, nel 1905 fu nominato batteriologo dello Stabilimento industriale di crine animale Pacchetti, e subito si preoccupò del carbonchio, che si manifestava tra gli operai: mercé l'adozione di un nuovissimo sistema di apparecchi e di norme igieniche, l'A. riuscì ad ottenere degli ottimi risultati, con una diminuzione dei casi di carbonchio dal 7 ‰ (dei quali 31 % mortali) del periodo 1900-1906, al 1,7 ‰ (di cui o mortali) degli anni 1907-1909. Nell'Esposizione di Milano ebbe la medaglia d'oro di "collaborazione" come direttore medico dello Stabilimento Pacchetti. Nel 1907, con lo stesso incarico di direttore medico dello Stabilimento, l'A. si trasferì a Pavia: qui ebbe modo di svolgere ricerche nell'Istituto di patologia generale dell'università, diretto da Camillo Golgi. Nel 1912 vinse il concorso per primario medico dell'ospedale S. Matteo di Pavia, nel 1913 quello per la direzione dell'ospedale civico di Trieste, che riorganizzò e migliorò, creandovi, tra l'altro, una scuola-convitto per infermiere laiche. Allo scoppio della guerra, vincendo l'impulso che lo spingeva ad arruolarsi nell'esercito italiano, l'A. rimase a Trieste nelle sue alte mansioni direttive ospedaliere; le autorità austriache decisero però di inviarlo a Kolomea, in Galizia, in qualità di assistente in un piccolo ospedale. Egli si sottopose allora a stenti e macerazioni, privandosi persino del cibo, così da essere inviato in un ospedale di Vienna, nella speranza di essere riformato e di poter poi riparare in Svizzera e, di lì, in Italia. Nel marzo 1916 contrasse una grave infezione tubercolare, che rapidamente abbatté il suo fisico già tanto provato, sottraendolo così alla sospettosa sorveglianza alla quale lo avevano sottoposto gli Austriaci: la morte lo colse, infatti, il 24 maggio 1916.
Medico colto e studioso, l'A. fu un appassionato ricercatore. Si dedicò allo studio dei metabolismo intermedio, compiendo interessanti osservazioni sul ricambio delle sostanze azotate e dei sali nell'osteomalacia puerperale, sull'effetto del salasso sul ricambio e sull'uropoiesi, sulle possibili modificazioni della crasi sanguigna dipendenti dall'alimentazione; sempre nello stesso campo, dimostrò la possibilità, nei diabetici, della glicopoiesi dai grassi, indicando come sede di questo processo il tessuto muscolare; dimostrò direttamente, per la prima volta, che il fegato distrugge acido urico formando urea, come descrisse nel suo lavoro Ueber die Stellung der Leber im Nucleïnstoffwechsel (in Pflüger's Archiv,agosto 1898, Band 72, pp. 340-351); ancora, dette la dimostrazione che la curva acetonurica è in stretta dipendenza dalla composizione della dieta, e, sperimentando su sé stesso, che l'albumina può sostituire un ugual peso di idrati di carbonio. Nel campo della chimica biologica, i suoi studi riguardarono soprattutto la funzione renale e si svolsero con ricerche sul ricambio delle basi puriniche nei nefritici, sulla diuresi nel diabete insipido (del quale prospettò anche due possibili meccanismi patogenetici), sulle modificazioni dei ricambio in rapporto a lesioni renali; in una serie di importantissimi lavori sperimentali sulla patologia del rene (dei quali ricordiamo Sul comportamento dei corpi allossurici nelle nefriti, Bologna 1898), giunse a chiarire il concetto dell'uremia, affermando che non basta la forma per poter interpretare la natura uremica di una malattia, ma occorre poterne dimostrare il nesso con alterazioni anatomiche o funzionali degli organi urinari; inoltre, dimostrò l'esistenza di sostanze nefratossiche (nefrolisine) originate dal tessuto renale alterato nel suo metabolismo: da questi studi sca~ turì il suo famoso corso di dodici lezioni sull'uremia, una delle più importanti monografie sulla fisiopatologia del rene (Vorlesungen über Urämie,Jena 1903), nel quale espose una vera teoria patogenetica della sindrome uremica. L'A. affrontò anche argomenti di chimica medica, con un lavoro sull'alcalescenza del sangue e sui metodi per misurarla, e due lavori sui versamenti lattescenti non adiposi. In batteriologia e immunologia studiò le granulazioni batteriche e dimostrò che il complemento si trova preformato nel sangue dell'animale vivo. In lavori di ordine clinico, l'A. descrisse un caso di sfigmopnea in un individuo affetto da vizio aortico; studiò due casi di cirrosi epatica e, con ricerche sul ricambio di questi malati, distinse nella cirrosi di Laénnec e in quella di Hanot due entità nosologiche ben definite; accertò che possono, nell'uomo, verificarsi contrazioni isolate degli atri e può avverarsi la dissociazione tra le funzioni delle singole sezioni cardiache. Nell'università di Pavia, l'orientamento morfologico della scuola del Golgi lo indirizzò a ricerche di istologia normale e patologica: l'A., rifacendosi alle ricerche di Apathy sul sistema nervoso degli irudinei, studiò tale apparato nelle sanguisughe, con l'introduzione di nuove tecniche istologiche; condusse poi delle importantissime ricerche sperimentali sulle funzioni dell'ipofisi, dimostrando come l'ablazione veramente totale della ghiandola determinila morte, mentre la subtotale conduca ad un arresto dello sviluppo generale, a turbe della dentizione e della ossificazione, nonché ad inibizione dello sviluppo sessuale accompagnato ad obesità, tipo distrofia adiposogenitale; infine, studiando le gravi alterazioni di tutte le ghiandole seguenti l'ablazione dell'ipofisi, dimostrò la stretta correlazione esistente tra quest'organo e tutto il sistema endocrino.
Bibl.: La Nazione, Trieste, 20 nov. 1918; L'era nuova,Trieste, 24 ott. 1919; G. Ara-A. Coller-E. Veratti in G. Ascoli, Ferrara 1919; F. Schupfer, L'uremia, in Conferenze cliniche e di scienze mediche, XII,Roma1933, pp. 5-6; A. Castiglioni, Storia della medicina,Milano 1948, pp. 662 e 705.