BRANCALASSO, Giulio Antonio
Scrittore politico dell'età della Controriforma, è noto soltanto attraverso la sua Philosophia regia, definita "medulla politicorum, compendium artis catholice regnandi", di cui il primo tomo dedicato all'Anima reipublicae vide la luce a Napoli nel 1609; nello stesso anno apparve anche un'altra sezione dell'opera, dettata in spagnolo, che si intitola Labirinto de corte,con los diez predicamentos de cortesanos.
Sul frontespizio del primo volume l'autore si dichiara "presbytero Lucano Tursiensi" e su quello del secondo "sacerdote natural de la ciudad de Tursi". Era dunque prete secolare, nato in Lucania (non "lucchese" come lo definì, orecchiando, il Ferrari), nella cittadina di Tursi, non molto dopo il 1560, se nella dedica della Philosophia ai giovinetti principi di Savoia, figliuoli di Carlo Emanuele I, sottolinea il carattere compilatorio del proprio lavoro, confessando che per quasi trent'anni ha raccolto appunti con velocissima penna. A Tricarico, dove è sepolto s. Potito, martire lucano, apprese la grammatica dal precettore Filippo Stella; più tardi visse a Napoli, dove predicò alle monache del convento dedicato al medesimo santo e dove probabilmente si guadagnò quel titolo di dottore in utroque, che ostenta in fronte ai propri scritti. Fin dall'adolescenza fu attratto dalle letture politiche, ma gli toccò vivere a lungo in luoghi rustici e solitari, con cibo e veste dimessi, avendo a disposizione piuttosto libri sacri che di scienza civile; non gli mancò tuttavia occasione di frequentare le corti e di sondare l'animo dei principi nel corso di negozi interessanti la Curia romana; può vantare così larghe letture, esperienze annose, colloqui con eminenti politici cattolici, conoscenza del mondo attraverso viaggi non brevi. Il fatto stesso che scriva un intero volume in castigliano, mostra che apprese quella lingua nel corso di un prolungato soggiorno in Spagna, dove afferma infatti di essere stato "per due volte, alla corte del Re Cattolico, per spazio di molti anni, al tempo dei re Filippo II e III"; il ricordo diretto di un incontro fra il primo dei due sovrani e il nunzio Camillo Caetani, patriarca di Alessandria, che resse l'ufficio a Madrid dal febbraio 1593 ai primi del 1600, lascia supporre che il B. si trovasse al seguito di quel prelato, che dovette certo avvalersi della collaborazione di uomini di legge nel corso delle gravi controversie giurisdizionali affrontate durante la sua missione. In segno di apprezzamento per le sue qualità e pei servigi resi, Clemente VIII il 30 sett. 1602 autorizzò il B. alla predicazione. Quanto al secondo soggiorno spagnolo, esso dovette coincidere con la presenza in Spagna dei tre maggiori figli del duca di Savoia: Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto, i quali furono ospiti di Filippo III, loro zio materno, dall'aprile 1603 al luglio 1606 (il 9 febbr. 1605 il primogenito morì di vaiolo a Valladolid). Si spiega così la dedica della Philosophia a Carlo Emanuele I, l'epistola noncupatoria ai principi sabaudi (Napoli, 29 giugno 1608) e l'ampia lettera proemialis del 30 luglio agli stessi principi, traboccante di profferte di devozione, dalla quale si apprende che fin dal 29 aprile il duca aveva manifestato il suo gradimento per la dedica e che l'intermediario fra l'autore in cerca di patrocinio e i giovinetti sabaudi era stato Melchiorre Reviglione, amministratore dei beni lasciati dalla loro madre Caterina.
Nell'Admonitio ad pios lectores premessa alla sua Philosophia il B. delinea il vasto piano di lavoro che s'era proposto: un'ampia rassegna di tutta la materia politica divisa in cinque tomi per un totale di ben ventiquattro libri; ma, conscio della brevità della vita e forse perché sprovvisto di mezzi e di appoggi, ha deciso di pubblicarne dieci soltanto, vale a dire gli otto accolti nella Philosophia e i due del Labirinto. L'opera compiuta avrebbe dovuto assumere la struttura seguente: anzitutto una prima parte, di contenuto prevalentemente filosofico, intitolata Anima reipublicae e divisa in sette libri (1, Naturalis politica universalis,sive lapis politicorum;2, Idealis politica universalis;3, Rationalis politica universalis;4, Religio;5, Iustitia;6, Praemium; 7, Passio Domini Nostri Iesu Christi). Forse a titolo di saggio, il B. cominciò col pubblicare i primi tre di detti libri sotto il titolo di De tribus universalis politicis,sive de locis topicis politicorum omnium,libri tres (Napoli 1609), ma subito dopo vi unì anche i quattro rimanenti, completando l'Anima reipublicae, e concluse il volume con un ottavo libro (Compendium artis rhetoricae), che nell'economia generale dell'opera avrebbe dovuto trovar luogo nella terza parte come libro diciottesimo dell'insieme. Questi otto libri - sette organici, uno isolato dal suo contesto - costituiscono il tomo della Philosophia regia (Napoli 1609); quanto ai titoli meno trasparenti, va detto che il sesto libro (Proaemium)tratta degli incentivi e delle ricompense; il settimo, della passione di Cristo, ha frontespizio autonomo, quasi a sottolinearne il carattere di opuscolo divozionale inzeppato abusivamente in una trattazione politica (ma l'autore spiega che la contemplazione continua delle sofferenze e del sacrificio di Cristo è la migliore guida per il buon monarca); infine il trattatello di retorica, dotato anch'esso di frontespizio autonomo, viene giustificato con ovvie riflessioni sull'importanza della persuasione nella vita politica.
La seconda parte, intitolata Corpus reipublicae, avrebbe dovuto trattare le materie economiche. Non ne resta traccia né manoscritta né a stampa, e non si sa neppure se mai sia stata posta in carta. Avrebbe dovuto constare di tre libri (8, De agricoltura,armentaria,mercatura,militia;9, De artificibus,operariis,consiliariis,magistratibus;10, De amore principis erga subditos et de amore subditorum erga principem; de uniformitate morum,libertate naturali,pace,auctoritate principis,abundantia).
La terza parte, o Ars catholice regnandi, affronta in dieci libri il problema machiavelliano dell'acquisto, ampliamento e conservazione del dominio e illustra in genere la condotta politica pratica. Già s'è detto che l'ottavo tra questi libri fu pubblicato in calce alla Philosophia regia;tutti e dieci sono però superstiti in un codice napoletano (Bibl. Naz., cod. I. D. 74). Eccone i titoli: 11, De adeptione novi principatus;12, De ampliatione adepti principatus;13, De conservatione adepti ampliatique principatus;14, De declinatione principatus;15, De amissione principatus;16, De educatione corporis principis catholici;17, De instructione animi principis Christiani ac iuste et prudenter regnare volentis;18, Compendium artis rethoricae; 19, De tyrannide;20, De perduellione.
La quarta parte, dettata in spagnolo, doveva costituire il Labyrinthus aulae, trattando i problemi connessi alla funzione del ministro favorito e alla vita di corte in genere. Doveva comporsi di tre libri, due dei quali vennero dati alle stampe, mentre del terzo si ignora la sorte (21, Labirinto de corte;22, Los diez predicamentos de la corte y conservaçión de privança;23, Defensión de privados o Apologia aulichorum). L'edizione del Labirinto, venuta in luce a Napoli pochi mesi dopo la Philosophia e dagli stessi torchi, reca un'ampia dedicatoria encomiastica (25 sett. 1609) a Gian Luigi Mormile, membro del Consiglio reale e presidente della regia Camera della sommaria, di cui il B. illustra la genealogia.
La quinta ed ultima parte, composta d'un solo libro (perduto), doveva trattare della Pax principum Christianorum, auspicando anzitutto - ci informa l'autore - quella tra Francia e Spagna, con l'adesione non solo di tutti i sovrani d'Italia e d'Europa, ma del mondo intero, terminando infine con un compendio delle loro sette, credenze e contese, con ammonimenti politici degni di nota riguardanti in particolare la potestà suprema e la funzione arbitrale del papa.
L'opera del B. è essenzialmente compilatoria, frutto di vaste e attente letture di molti scrittori antichi e recenti, dei quali viene fornito ampio catalogo; nell'epistola proemiale l'autore non esita a confessare di avere estratto il "midollo" da tutti i libri ortodossi di politica sui quali ha potuto metter mano, sia pure "impinguando" quegli estratti con aggiunte di proprio conio. In effetti l'opera si presenta come una raccolta vastissima di sentenze e di esempi, nella quale va tuttavia sottolineata l'ampiezza del disegno incompiuto e lo sforzo di ridurre a unità sistematica l'intero universo della politica. Tra le utilizzazioni di scritti altrui merita speciale menzione quella - disinvolta fino al plagio - degli Aforismi politici di Tommaso Campanella, composti intorno al 1601 e almeno dal 1606 largamente diffusi in copie manoscritte; il B. li cita col nudo titolo nel suo elenco di opere utilizzate, ma ne tace l'autore, forse perché l'esemplare venutogli sott'occhio era anonimo, o più semplicemente perché era pericoloso citare in Napoli uno scrittore allora detenuto in Castel dell'Ovo, sotto imputazione di lesa maestà e di eresia. Il De Mattei, che per primo ha attirato l'attenzione su questa presenza di materiali campanelliani nella Philosophia regia, ha istituito laboriosi raffronti fra il testo del B. e quello delle tarde versioni latine via via ampliate degli Aforismi del Campanella, senza percepire che un espilatore tanto disinvolto, qualora avesse avuto a disposizione un testo latino, lo avrebbe utilizzato tal quale, senza rielaborarlo sistematicamente sul mero piano letterario. Basta invece istituire il raffronto corretto fra il testo del B. e quello degli Aforismi, per rendersi conto che il B. tradusse in latino, con pedissequa fedeltà, il testo italiano del Campanella, procurandone così nel 1609 una vera e propria editio princeps contraffatta. Se possedessimo il testo della Pax principum Christianorum vi riconosceremmo quasi certamente l'influsso diretto di altri scritti campanelliani diffusi in quegli anni in copie a penna e in particolare dei Discorsi ai principi d'Italia.
Un altro codice della Biblioteca Nazionale di Napoli (IX. B. 29) conserva un ulteriore trattatello del B.: si tratta di uno scritto di profezia politica, intinto di spunti chiliastici e adulatorio nei confronti dei principi sabaudi, che reca il titolo: De abscondito magno Christianorum principe,christo Domini,sancto orbis rectore (la dedica ai principi è del 27 genn. 1608).
Dopo il 1609 si perde ogni traccia del Brancalasso.
Un Francesco Brancalasso, che fu certo suo parente, nato anch'egli a Tursi, nel 1594, vestì l'abito dei minimi di S. Francesco da Paola il 16 maggio 1612, coltivò le lettere latine e greche, compose rime e pubblicò a Napoli nel 1651 un poema eroico di quindici canti in ottave: la Betulia liberata, sull'episodio biblico di Giuditta e Oloferne, per spegnersi infine nel convento di Gallipoli il 1º ag. 1656.
Bibl.: P. C. Ramirez, Analyticus tractatus de lege regia, Caesaraugustae 1616, pp. 81, 195 e passim;M. Giurba, Consilia,seu Decisiones criminales, Messanae 1626, pp. 2, 5; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, pp. 88-89 (per Francesco), 168; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 1988-89 (anche per Francesco); E. D'Afflitto, Mem. degli scritt. del Regno di Napoli, II, Napoli 1784, pp. 264, 265 (anche per Francesco); N. Antonio, Bibl. Hispana nota, II, Matriti 1788, p. 362; G. Ferrari, Corso sugli scritt. polit. ital., Milano 1862, pp. 395, 803, 849; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia 1873, pp. 263-65; C. Minieri Riccio, Notizie biogr. e bibliogr. degli scrittori napoletani fioriti nel sec. XVII, II, Napoli 1877, p. 44 (anche per Francesco); A. Vitale, Opere edite ed ined. di autori nati nel Lagonegrese, Potenza 1890, pp.74, 75 (per Francesco); G. Salvioli, I politici ital. della Controriforma, in Arch. di diritto pubbl., I (1891), p. 445; G. Gattini, Saggio di biblioteca basilicatese, Matera 1908, p. 6 n. 47; Id., Delle armi e dei comuni della provincia di Basilicata, Matera 1910, p. 95; R. De Mattei, Manipolazioni e appropriazioni nel Seicento, III, in Giornale critico della filosofia italiana, XXVI (1947), pp. 373-391; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 110-112. Su Francesco vedi inoltre: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, IV, Milano 1749, p. 688.