TOSI, Giuliano
– Nacque a Montelupo il 4 marzo 1708. Il padre Marco fu giurista, come quattro dei cinque fratelli di Giuliano, fra cui Lorenzo, lettore nello Studio pisano.
Dopo gli studi universitari, Tosi si laureò in utroque iure a Pisa il 10 novembre 1729 con Stefano Fabbrucci. Ammesso a godere delle cariche criminali nel maggio del 1731 (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, 511, n. 27), intraprese una carriera nelle strutture giudiziarie del Granducato: dopo una breve esperienza come giudice a Lari, fu cancelliere delle Bande (15 dicembre 1733) e quindi segretario dei consoli del Mare di Pisa. Un significativo salto di qualità fu l’ufficio di capitano di giustizia di Siena, che tenne dal 1753 al 1757, anni durante i quali manifestò il desiderio di altre mansioni, mentre comunque il suo nome circolava come candidato per incarichi maggiori come quello di fiscale di Siena (ibid., Reggenza, 359). Ritornò quindi nello Stato vecchio con la nomina ad assessore del tribunale criminale degli Otto di guardia e balìa, che rivestì fino al 1762, quando ne diventò segretario, cumulandovi anche l’assessorato di alcuni magistrati minori (Archivio, Sanità e conservatore dello spedale degli Innocenti).
Intanto, nel dicembre del 1746 aveva sposato Gaspera Grisoni da cui ebbe tre figli, Giovanna, Francesco e Marco. Nell’agosto del 1764 Francesco Stefano gli aveva concesso un titolo nobiliare. Dagli atti di ultima volontà del 1785 e del 1788, nei quali Tosi istituì un fedecommesso a favore dei due figli maschi, emerge un discreto patrimonio composto di numerose proprietà terriere e immobiliari, sparse in diverse zone della Toscana e anche di una fornace in Montelupo.
Nel 1777, con la riforma dei tribunali e la soppressione degli Otto di guardia, fu trasferito alle mansioni di avvocato regio, con l’onere di patrocinare i diritti del fisco nelle cause civili e finanziarie.
Nei propri voti criminali Tosi non fece sfoggio di erudizione, ma all’occorrenza dimostrò una buona cultura classica, oltre che piena padronanza della dottrina giuridica; attento alle formalità, non lo fu al punto da sacrificare la sostanza dei fatti. Ottimo conoscitore della giurisprudenza toscana, moderato nelle sue decisioni e incline a riconoscere un certo favor rei, non esitò tuttavia, ancora negli anni Sessanta, a proporre l’uso della tortura, almeno in specifici casi. Da segretario mostrò piglio nel dirigere gli Otto di guardia, tanto da esser tacciato di accentramento delle pratiche e di ostacolare la presenza di altri soggetti abili nel magistrato.
Di carattere mite, ma perspicace, ebbe ritmi di lavoro irregolari, intensi specialmente durante le ore notturne. Negli ambienti fiorentini fu molto vicino ai consiglieri di Stato Francesco Siminetti e Francesco Seratti e ne influenzò le scelte, come rilevato da Pietro Leopoldo nelle sue relazioni. Ebbe invece un aspro scontro con l’auditore Vincenzio Martini nel 1782 e una forte diversità di vedute con l’auditore fiscale Giovanni Domenico Brichieri Colombi. Quest’ultima affiorò a proposito di alcuni progetti di legge avanzati da Tosi stesso, fra cui quelli del 1773 sul gioco e sugli stupri semplici. In essi si può scorgere la sua inclinazione verso concezioni tradizionali, coniugata a una vena equitativa e pragmatica nell’analisi del dato fattuale, che lo inserisce a pieno titolo entro la schiera dei criminalisti toscani.
Nel primo propose un inasprimento del regime sanzionatorio, la chiusura delle case pubbliche da gioco e il divieto dei giochi di carte per il basso popolo, ma con una tecnica normativa tipica d’Antico Regime, ossia con un bando emanato dagli Otto di guardia su delega del sovrano, senza abrogare le disposizioni vigenti. Nel secondo avanzò invano l’idea di ripristinare il regime giuridico antico sullo stupro semplice, basato sull’obbligo di dotare la donna oppure di sposarla, abrogando la legge del 1754, che aveva optato al contrario per una pena pecuniaria. Tosi argomentò sulla base di una dottrina classica, che aveva tracciato una presunzione favorevole alla donna (Anton Matthes, Benedikt Carpzov), e del diritto divino, ma additò al contempo la legge del 1754 quale causa primaria dell’aumento di infanticidi e di disonore per le famiglie. Tosi sarebbe tornato a proporre la sua abolizione nel 1786.
Per quanto incline al diritto criminale, fu un giurista completo e versatile e si occupò anche di diritto marittimo e civile. Malgrado una certa distanza di vedute, Pietro Leopoldo ne ammirò onestà, disinteressatezza, esperienza e spiccato talento, e gli affidò prestigiosi incarichi in ogni campo dell’ordinamento. Nel giugno del 1774 fu eletto consulente per gli affari legali della deputazione per la Maremma, occupandosi in particolare di redigere il regolamento di giustizia per la provincia inferiore di Siena (poi emanato nel 1778), altro frangente nel quale Tosi mosse senza infingimenti critiche che evidenziarono la sua perplessità rispetto alle concezioni fisiocratiche. Dopo aver pensato a lui come fiscale, il granduca lo nominò auditore della Consulta.
La sua fama valicò i confini della patria, come testimoniato dalle eloquenti parole di Giuseppe Pelli Bencivenni nelle sue Efemeridi (Edigati, 2011, p. 36) e dimostrato dalla prestigiosa consulenza offerta, assieme ad altri giuristi toscani, sul progetto di regolamento di procedura civile austriaco del 1776. Nuovamente a questo proposito, Tosi, assieme agli altri auditori di Consulta, rese un importante parere nel gennaio del 1780 in cui scoraggiò l’adozione nel Granducato di un regolamento sulla falsariga di quello austriaco, rinviando eventuali riforme all’atto del confezionamento della codificazione civile, e al contempo ribadì la non opportunità della limitazione temporale a un anno della detenzione per i debitori civili, già affermata in una rappresentanza dell’anno precedente.
Nel 1781 frenò la volontà riformatrice del sovrano su alcuni punti chiave della procedura, come la pubblicità processuale, il confronto fra accusato e testimoni, l’arresto preventivo e il regime detentivo. Ciononostante, il granduca si affidò a lui per la redazione della celebre legge criminale Leopoldina, alla quale diede un contributo centrale. Come auditore di Consulta, formulò nel 1785 un parere sul primo progetto; in seguito, fu incaricato di provvedere alla stesura del testo finale, in base alle diverse osservazioni pervenute e alla volontà del sovrano. Approntò una prima redazione nell’aprile del 1786 e una seconda nel mese di luglio. Il lavoro fu volto in primis a ripartire la materia nei diversi articoli, a rifondere e dare maggior sistematicità alle disposizioni ma, come rilevato da Mario Da Passano (1988, p. 85), la mano di Tosi non si mosse con intenti puramente compilativi. Egli manifestò al contrario, così come già fatto in altre occasioni, un’apprezzabile autonomia di pensiero, per esempio insistendo nel perorare le proprie opinioni o comunque distaccandosi dalle prime indicazioni del sovrano. A Tosi si deve lo stile di scrittura della Leopoldina, tipicamente discorsivo e dimostrativo, ancorato ai canoni normativi d’Antico Regime.
Pur estraneo alla cultura illuministica, seppe andare incontro a Pietro Leopoldo con soluzioni concrete, equitative ed equilibrate, che non si allontanarono, almeno sul piano dei principi, dalle concezioni tradizionali. Significativo fu lo sforzo di render meno vistose alcune novità che a suo avviso, implicitamente e senza declaratorie, si potevano dedurre dal testo (come l’insufficienza della confessione dell’imputato ai fini della condanna), o che erano già evidenti, come l’onere della prova a carico del fisco. Non va taciuto anche lo stralcio di numerosi paragrafi contenenti regole di carattere dottrinale, prova evidente di quanto l’ottica di Tosi fosse quella di leggere e combinare la nuova legislazione con il naturale e imprescindibile lavorio interpretativo della scientia iuris. Nella medesima direzione si impegnò contro la spinta verso la restrizione dell’arbitrium del giudice, sostenendo la sua ineliminabilità sul piano concreto della prassi e suggerendo la via mediana della fissazione di tabelle esemplificative e dell’obbligo di motivazione nel caso di scostamento dalla pena ordinaria. Si schierò per l’abolizione delle pene privilegiate, ma non altrettanto per quelle straordinarie, che invece difese.
Molte furono le posizioni conservatrici di Tosi che condizionarono i contenuti della Leopoldina. A livello processuale, il suo orizzonte fu quello del modulo inquisitorio, mitigato dallo stylus curiae maturato nelle corti criminali toscane. Di qui l’avversione per la pubblicità e il mantenimento di un netto controllo del giudice sulla procedura, per esempio nell’ammissione degli interrogatori da porre ai testimoni. Si può citare anche il sostegno degli spazi di mediazione nei processi per delitti in cui si procedeva a istanza della parte offesa e del regime tradizionale della prescrizione, considerato non già come un favore per il reo, ma come uno stimolo a procedere per l’azione pubblica. Dai toni antigiansenisti fu la sua difesa del giuramento negli ‘affari’ criminali, come indispensabile a corroborare le dichiarazioni rese in giudizio e moralmente lecito, ma anche in questo caso intelligente e pratica fu la proposta di utilizzarlo con maggior discernimento, eliminando quello deferito agli accusati quoad alios e riducendo quello dei testimoni al solo caso di richiesta espressa della parte interessata. In campo sostanziale, non sempre con successo, si prodigò per far inserire norme in difesa dell’osservanza delle feste e contro il furto di vasi sacri, e difese il reato di commercio carnale di ebrei con cristiani.
Spiccano comunque numerosi campi nei quali Tosi supportò l’azione riformatrice leopoldina: in alcune circostanze, in quanto ciò si allineava all’evoluzione giurisprudenziale, come per l’abolizione integrale della tortura o la riduzione del valore della contumacia da confessione a indizio; in altre, questa posizione non fu comunque sostenuta dall’adesione a concezioni contrattualistiche o illuministiche: così per la cancellazione della pena di morte (argomentata con riferimenti religiosi e come scelta rientrante nelle prerogative del sovrano) o dell’impunità per quanti fornissero informazioni su eventuali correi, ma anche per la declassazione dei delitti di lesa maestà.
Decisa fu l’avversione di Tosi verso la crescente potestà di polizia, favorita da Pietro Leopoldo e concentrata nella presidenza del Buon Governo. Diffidente verso ogni procedura ‘economica’, espresse contrarietà ancora maggiore all’attribuzione di poteri repressivi o sanzionatori a magistrature non giudiziarie, confinandone l’operato entro strumenti non atti a incidere significativamente sulla libertà individuale, come richiami o ammonizioni.
La fiducia del granduca in Tosi ebbe ulteriore conferma nell’aprile del 1789, quando, pur avanti con gli anni, fu designato per rimpiazzare Michele Ciani nel tentativo di redazione di una codificazione civile, che aveva visto ripetuti fallimenti dei precedenti giuristi incaricati.
Tosi non poté neppure iniziare il lavoro, a causa del suo decesso, avvenuto a Firenze il 25 agosto 1789 a seguito di una paralisi dell’esofago.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Otto di guardia e balia del principato, filze 1065-1068 (voti di Tosi come assessore degli Otto); Segreteria di finanze, Affari prima del 1788, bb. 686, 727 (documenti sul suo operato nella deputazione per la Maremma); Notarile moderno, 28236, nn. 30, 37 (testamento e codicillo); Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, Relazione dei dipartimenti e degli impiegati (1773), a cura di O. Gori, Firenze 2011, pp. 91 s., 95, 142.
M. Loschelder, Die österreichische Allgemeine Gerichtsordnung von 1781: Grundlagen- und Kodifikations- geschichte, Berlin 1978, ad ind.; M. Da Passano, Dalla “mitigazione delle pene” alla “protezione che esige l’ordine pubblico”. Il diritto penale toscano dai Lorena ai Borbone (1786-1807), Milano 1988, pp. 51-66, 83-101; La Leopoldina nel diritto e nella giustizia in Toscana, a cura di L. Berlinguer - F. Colao, Milano 1989 (in partic. A. Sciumè, Gli illeciti commerciali nella legislazione criminale del 30 novembre 1786: prime note, pp. 87-92, 127-131; G. Alessi, Questione giustizia e nuovi modelli processuali tra ’700 e ’800. Il caso leopoldino, pp. 151-187); D. Zuliani, La riforma penale di Pietro Leopoldo, I, Milano 1995, pp. 179-190; A. Addobbati, I guastafeste. La legge toscana sul gioco del 1773, in Quaderni storici, 1997, n. 95, pp. 495-538; G. Arrivo, Seduzioni, promesse, matrimoni. Il processo per stupro nella Toscana del Settecento, Roma 2006, pp. 71-79; D. Edigati, Prima della «Leopoldina». La giustizia criminale toscana tra prassi e riforme legislative nel XVIII secolo, Napoli 2011, pp. 36, 60 s.; E. Dezza, Il Granduca, i filosofi e il codice degli Irochesi. Il principio contumax pro confesso habetur e la riforma leopoldina, in Italian review of legal history, III (2017), pp. 50-62; D. Edigati, La Casa di correzione e lo scontro intorno alla giustizia di polizia nella seconda metà del ’700, in Annali di storia di Firenze, XII (2017), pp. 67 s.