RICCI, Giuliano
RICCI, Giuliano. – Nacque a Firenze, nel 1389, da Giovacchino di Ugucciozzo di Ardingo dei Ricci e da Lionarda di Piero Benini.
Il padre morì nel 1392 e Ricci fu certamente instradato nella carriera ecclesiastica dallo zio paterno Piero, che dal 1384 era canonico della cattedrale fiorentina, e che ebbe un ruolo importante nelle prime fasi della carriera del nipote.
Nella stessa canonica (presso la cui sede questo ramo della famiglia possedeva una casa) entrò verso la fine del secolo anche un lontano cugino di Piero, Lorenzo di Ardingo di Corso di Ardingo, che avrebbe poi percorso una lunga carriera vescovile lontano dalla Toscana. Piero fu più volte vicario capitolare della Chiesa fiorentina in sede vacante e, nel novembre del 1403, ottenne da Bonifacio IX la cattedra vescovile di Arezzo, prescelto all’interno di una terna di candidati presentata al papa dalla Signoria fiorentina: egli non fu dunque toccato dalla disgrazia politica occorsa pochi anni prima al vecchissimo padre e ad alcuni dei fratelli, oppositori degli Albizzi.
Ricci studiò diritto canonico (fino a diventare decretorum doctor), fu ordinato prete e, verso la fine del primo decennio del Quattrocento (probabilmente dopo il 1406), diventò preposto della pieve di S. Andrea di Empoli.
Questo ufficio era stato ricoperto in precedenza dallo zio, e poi da Alamanno Adimari, che nel 1400 era stato nominato dal papa vescovo di Firenze, ma non era stato accettato dalla Signoria perché sospettato di essere coinvolto nella congiura antialbizzesca scoperta proprio in quell’anno; trasferito a Taranto, Alamanno tornò in Toscana nell’ottobre del 1406, in quanto destinato da Innocenzo VII alla cattedra arcivescovile di Pisa, all’indomani della conquista della città da parte di Firenze. Il legame esistente fra Alamanno Adimari e Piero Ricci sembra confermato dal fatto che nell’ottobre del 1411, quando il primo fu creato cardinale da Giovanni XXIII, il secondo fu chiamato a succedergli sulla cattedra pisana.
Il 9 novembre 1411 la bolla papale che trasferiva Piero Ricci da Arezzo a Pisa fu notificata al Capitolo pisano proprio da Ricci, che nell’occasione si qualificò come preposto di Empoli. Nel frattempo egli era diventato anche canonico della cattedrale di Firenze, e come tale era stato accreditato al Concilio pisano del 1409, al quale aveva partecipato come procuratore del suo lontano congiunto Bernardo, abate di S. Giusto di Volterra. Al periodo in cui lo zio fu vescovo di Arezzo risale probabilmente uno degli altri due benefici ecclesiastici da lui ottenuti, ossia quello di canonico della pieve urbana aretina di S. Maria, mentre il titolo di abate commendatario di S. Maria di Farneta (in diocesi di Cortona) potrebbe essere il frutto di una concessione papale posteriore.
Ma zio e nipote puntavano ancora più in alto. Una prima occasione sembrò offrirsi già nel dicembre del 1413, alla morte di Cappone Capponi, il presule che due anni prima era subentrato a Piero sulla cattedra aretina: i canonici della cattedrale di S. Donato e della pieve di S. Maria elessero allora vescovo Ricci, ma Giovanni XXIII (che in quel momento non era più in buoni rapporti con Firenze) preferì assegnare il vescovato di Arezzo al curiale Francesco da Montepulciano. Nel frattempo, alla fine del 1414 Giuliano andò al Concilio di Costanza come rappresentante del Capitolo della cattedrale fiorentina.
Ma nell’autunno del 1417 l’arcivescovo Piero, sentendo che la propria salute declinava, orchestrò rapidamente l’operazione che avrebbe consentito al nipote di succedergli. Anche in questo caso si decise di puntare su un’elezione capitolare: dopo essersi guadagnato il favore dei canonici residenti (quasi tutti di nascita pisana), Piero ottenne che essi, il 7 novembre 1417, cooptassero nel proprio seno Ricci (rappresentato nell’occasione da un procuratore). L’arcivescovo morì il 30 novembre, ma ormai tutto era pronto: solo due giorni dopo, il 2 dicembre 1417, gli otto canonici residenti elessero «immediatamente e all’unanimità» Giuliano, il quale accettò e incaricò il fratello Ugucciozzo di recarsi a Costanza insieme alla delegazione incaricata di presentare l’elezione al nuovo papa Martino V. La bolla papale di conferma fu emanata il 23 febbraio 1418, e il nuovo arcivescovo, che nel frattempo aveva ricevuto la consacrazione, prese possesso della sede il 19 giugno successivo.
Ciò avvenne con un cerimoniale diverso da quello usato in precedenza, e volto a riconoscere il ruolo determinante svolto dal Capitolo pisano nell’operazione ora felicemente conclusasi. Un altro segnale in questo senso fu la nomina a vicario generale dell’influente canonico Giovanni del fu Matteo da Vico, che aveva ricoperto lo stesso ruolo con i due arcivescovi precedenti. Costui collaborò con Ricci per oltre dieci anni.
La documentazione disponibile per questo primo periodo del governo di Ricci riguarda alcune assegnazioni di benefici di collazione arcivescovile e, più ancora, i prelievi ai quali furono sottoposti gli enti ecclesiastici diocesani per far fronte al pagamento delle imposte pontificie e dei debiti pregressi. A tal fine, furono compilati, fra il 1422 e il 1426, almeno due elenchi delle chiese e dei benefici tassabili nell’ambito della diocesi; nella seconda occasione, il vicario chiese ai detentori dei singoli benefici di presentargli i relativi titoli di conferimento, ma ottenne (o fece annotare) solo poche risposte: per avere un quadro completo della situazione sarebbe stata necessaria una visita pastorale, che però, a quanto risulta, Ricci non effettuò mai (mentre fu svolta dal suo successore Filippo de’ Medici).
A dire il vero, assai più dell’attività di governo spirituale della diocesi, le fonti parlano dell’energia con la quale Ricci operò per difendere il dominio fiorentino su Pisa da ogni accenno di ribellione. Secondo quanto racconta il cronista fiorentino Giovanni Cavalcanti, nel 1431 proprio all’arcivescovo fu rivelata l’esistenza di una congiura antifiorentina. Nella circostanza, egli «piuttosto elesse essere sincero alla patria, che misericordioso ai peccatori»: suggerì energiche contromisure al capitano fiorentino della città, e non rinunciò a intervenire in prima persona, sì che «con gran fanteria, e da molti masnadieri seguito, non come prete, ma come indurato cavaliere nell’arme si portava e cavalcava per la città».
Il cronista milanese Andrea Biglia carica ulteriormente le tinte, presentando l’arcivescovo intento a cercare e cacciare personalmente dalla città i «pisani traditori»; un altro aneddoto mostra Ricci ingiungere ai sospettati di abbandonare la città prima che la candela da lui accesa davanti a loro si consumi, «a pena delle forche e della confisca di beni».
Nel giugno del 1434 Ricci accolse a Pisa Eugenio IV esule da Roma, lo accompagnò a Firenze e restò al suo servizio anche negli anni successivi. Il 30 ottobre 1435 fu lui, insieme con il vescovo di Fiesole Benozzo Federighi, a prendere possesso della sede arcivescovile fiorentina per conto di Giovanni Vitelleschi, nominatovi dal papa, ma impegnato a combattere nei dintorni di Roma. Il 17 gennaio 1436 Eugenio IV nominò Ricci «governatore della città e del contado, territorio e distretto di Roma»: si tratta della prima attestazione di tale carica. Il nostro svolse l’incarico con la consueta energia: la Mesticanza di Paolo di Lello Petrone lo dice «de granne animositate et arrogante alle faccende da fare»; sappiamo che collaborò con Vitelleschi nella conquista di alcuni castelli a sud di Roma.
Ritroviamo Ricci a Pisa nel novembre del 1438, e sappiamo che nell’anno successivo partecipò al Concilio di Firenze. Rientrato in sede, egli riassunse il ruolo di controllore della situazione interna della città per conto del governo fiorentino (nella primavera del 1443, esso ordinò al capitano presente a Pisa di coordinarsi ancora una volta con Ricci, che conosceva «optime» i pisani). Riprese anche a governare la diocesi, affrontando caso per caso (come mostra il registro di Atti beneficiali relativo a quel decennio) i gravi problemi provocati dal generale spopolamento e dal cattivo stato di molti edifici cultuali.
Solo nel decennio successivo è possibile intravvedere i segni di una certa attenzione per l’officiatura della chiesa cattedrale, che era assicurata da un nutrito corpo di cappellani. In questo periodo si colloca l’incarico, affidato allo scultore Andrea Guardi, di allestire in Duomo il sepolcro monumentale dello zio e predecessore Piero. Con due disposizioni del 24 febbraio e 10 marzo 1456, Ricci istituì gli altari di S. Giovanni Crisostomo e S. Giuliano, e donò alla sacrestia del Duomo una notevole quantità di paramenti sacri, alcuni dei quali destinati a un altro altare da lui precedentemente istituito (quello dei «Quattro Dottori», entro la cappella dell’«Incoronata»), dove avrebbero dovuto essere celebrate messe di suffragio per lo zio e, in futuro, per lo stesso Giuliano. Nel medesimo giro di anni, Ricci assegnò al corpo dei cappellani del Duomo le strutture e i proventi dei soppressi monasteri femminili di S. Croce in Fossabanda e S. Stefano «extra moenia», nonché l’officiatura e il rilancio pastorale della basilica di S. Piero a Grado, che nei secoli precedenti era stata meta di affollati pellegrinaggi.
Benché Ricci fosse già malato nel 1456 (e negli anni seguenti fosse dato più di una volta in fin di vita), nel dicembre del 1459 il suo nome fu inserito in una lista di candidati alla dignità cardinalizia inviata a papa Pio II da Francesco Sforza, duca di Milano. Morì a Pisa il 24 dicembre 1460 (1461 secondo il computo pisano) e fu sepolto, come aveva chiesto, sotto il pavimento del Duomo, presso l’altare dei «Quattro Dottori»; sulla lastra tombale fu scritto semplicemente che era stato arcivescovo di Pisa «per 42 anni, dieci mesi e due giorni».
Al suo posto Pio II trasferì da Arezzo Filippo di Vieri di Niccolò dei Medici, lontano parente di Cosimo: per stile di governo pastorale e atteggiamento nei confronti della città, egli si sarebbe differenziato marcatamente dal suo predecessore.
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