RICCI, Giuliano
RICCI, Giuliano. – Nacque a Livorno il 18 marzo 1802, secondogenito di Paolo e di Carolina Kaslaninoff, figlia di un ammiraglio russo.
La famiglia Ricci, proveniente probabilmente dall’entroterra toscano, risiedeva a Livorno da almeno quattro generazioni e si occupava con successo del commercio e dell’armamento navale; possedeva diversi immobili in città e una vasta tenuta agricola con villa a Gricciano, nell’Empolese.
Agli inizi del suo corso di studi Giuliano fu indirizzato verso la carriera ecclesiastica, anche per usufruire di un sostanzioso lascito testamentario. Fu inviato al collegio degli scolopi di Volterra, dove rimase per sette anni, con un intervallo dovuto a una grave malattia, e raggiunse il canonicato. La morte del padre, nel 1819, a causa di una ‘micidiale malattia’, lasciò in grave dissesto gli affari di famiglia e costrinse Giuliano ad abbandonare gli studi presso gli scolopi, dai quali, peraltro, era in procinto di essere espulso per la sua condotta irriverente, per tornare a Livorno. Chiusa così la sua carriera ecclesiastica, nello stesso anno sostenne e superò gli esami per l’ammissione alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa.
Dopo le rivoluzioni spagnola e napoletana del 1820 si registrarono a Pisa disordini in teatro, nei caffè frequentati dagli studenti e in piazza. Ricci fu attivamente presente in tutte queste manifestazioni e anzi ne fu considerato uno dei promotori e dei capi insieme ad altri livornesi, fra i quali Francesco Domenico Guerrazzi. Fu sospeso due volte dall’Università e poi riammesso per le insistenze e le raccomandazioni di amici e parenti autorevoli e influenti, vicini alla corte granducale. Poté quindi laurearsi in giurisprudenza solo nel 1826, dopo sette anni di carriera universitaria faticosa e intermittente.
Durante uno dei periodi di allontanamento forzato dagli studi si trasferì a Firenze e qui probabilmente entrò in contatto con Giovan Pietro Vieusseux, con il quale stabilì un’amicizia duratura e un rapporto epistolare che ebbe inizio nel 1827. Da Vieussex fu invitato a collaborare con l’Antologia; dal 1828 al 1833, anno della soppressione della rivista per ordine delle autorità granducali, comparvero sul periodico numerosi suoi scritti, in francese e in italiano, di argomento filosofico, dedicati a Giambattista Vico, Johann Gottfried von Herder e Victor Cousin, spesso dopo lunghi contrasti con il Regio Censore.
Alcuni tratti accomunavano queste riflessioni giovanili: la diffidenza verso le idee ‘oltramontane’ e la difesa del pensiero italiano, in particolare di Vico del quale – a suo avviso – la cultura francese tendeva a dare giudizi superficiali e riduttivi; l’interesse per la filosofia della storia di cui egli coglieva l’importanza per orientare l’azione politica; la necessità di una critica rigorosa dei sistemi filosofici del passato, sia idealistici sia empiristi.
Tra il 1826 e il 1829 dimorò stabilmente nella sua villa di Gricciano e nel 1827 sposò Elvira Fortini, discendente da una famiglia benestante di Santa Croce imparentata con i Salvagnoli di Empoli. Dal matrimonio nacquero tre figli, Elisabetta, Paolo e Giampietro che morì in tenerissima età. Tornò definitivamente a Livorno sul finire del 1829 e prese a esercitare la professione legale che, dopo il rovinoso fallimento delle attività economiche familiari dal quale si era salvata soltanto la proprietà della villa di Gricciano, era rimasta la principale risorsa per il mantenimento dei suoi cari.
A Livorno, città che egli aveva conosciuto poco e solo a tratti, tornò a incontrare gli amici dell’Università, avviati ormai in differenti direzioni professionali e, spesso, in diverse forme clandestine di organizzazione politica. In particolare, ritrovò Guerrazzi, con il quale strinse un’amicizia tanto intensa quanto di breve durata. All’inizio di quello stesso 1829 Guerrazzi, con alcuni altri giovani intellettuali tra i quali Carlo Bini, fondava L’Indicatore livornese, al quale Ricci fu chiamato a collaborare. Per L’Indicatore scrisse due articoli (sull’economia politica e sulla pena di morte) e una recensione dello scritto di Jean Joseph Segaud sulle prigioni e sulla città di Marsiglia.
Allo scoppio della rivoluzione del luglio 1830, e ancor più di fronte alle insurrezioni nelle Legazioni e nei Ducati, la polizia granducale fu sollecitata a una sorveglianza più stretta su coloro che avevano fama di liberali e nel marzo del 1831 Ricci fu arrestato e trasferito a Firenze, dove fu interrogato per due giorni e quindi rimesso in libertà, con l’obbligo di non allontanarsi da Livorno fino a nuovo ordine.
Stando a un’annotazione delle sue Memorie pubblicate postume, al febbraio del 1831 risalirebbe anche la sua rottura con Guerrazzi: dopo essere stato per circa due anni «inseparabile da lui», Ricci giunse a conoscerlo «a fondo» (in Livorno 1848, 2009, p. 203), perse ogni fiducia nei suoi confronti e la loro amicizia si trasformò in un’ostilità dura e tenace, più marcata nel biennio cruciale 1847-48. Nella stessa annotazione egli ricorda anche la proposta, avanzata da alcuni amici, della sua affiliazione alla Giovine Italia e l’opposizione di Guerrazzi che ne guidava allora la ramificazione livornese. L’episodio attesta una certa contiguità di Ricci rispetto alle associazioni segrete, mentre rimane dubbia la sua effettiva adesione a qualcuna di esse, benché nei rapporti di polizia figurasse come affiliato a tutte o quasi quelle che erano note.
In realtà, Ricci già dai primi anni Trenta stava approdando a un riformismo moderato, attivo e intelligente, ma distante dagli atteggiamenti radicali e ribellistici dei suoi anni giovanili, da cui si era gradualmente allontanato. Questo percorso, del resto, fu condiviso da numerosi altri personaggi di spicco del liberalismo livornese (Enrico Mayer, Pietro Bastogi, Giovanni Paolo Bartolomei, Francesco Pachò), che, dopo la fallita spedizione in Savoia, presero le distanze da Giuseppe Mazzini e dalla Giovine Italia. Lo stesso Guerrazzi, intorno al 1835, si allontanò del tutto dalla vita politica e si dedicò alla professione forense e all’attività letteraria.
Nel 1837 ebbe inizio la sua collaborazione al Giornale agrario toscano, divenuto ormai uno dei principali punti di riferimento del liberalismo toscano.
I suoi scritti furono in quella fase dedicati alla società toscana e a Livorno, città di cui coglieva i limiti e l’arretratezza culturale, ma di cui esaltava al tempo stesso la fervida attività economica, l’energica vitalità popolare, la modernità sociale (Livorno, origine e ingrandimento; Suo Porto-franco; Nuove mura; Commercio, Industria, con annesso Quadro della popolazione di Livorno nell’aprile 1836, in Giornale agrario toscano, XI (1837), 42, pp. 101-119). L’anno seguente uscirono ancora due saggi: Caratteri generali della industria in Toscana. Discorso dell’avvoc. Giuliano Ricci, letto nell’adunanza dell’Accademia labronica di Livorno il 10 giugno 1838, ibid., XII (1838), 48, pp. 283-297; Delle condizioni generali dell’agricoltura toscana, ibid., XII (1838), 49, pp. 365-380. In quello stesso anno fu composto anche lo scritto L’educazione in Livorno, rimasto inedito fino al 1978.
Negli anni Quaranta si dedicò soprattutto agli studi sull’importanza storica del comune e sulla sua funzione di fondamento della rinascita nazionale: i risultati furono pubblicati nella sua opera maggiore intitolata Del municipio considerato come unità elementare della città e della nazione italiana (Livorno 1847). Scrisse anche di problemi economici e finanziari che emergevano dalle vicende del momento e nel biennio 1847-48 collaborò prima al giornale pisano L’Italia, diretto da Giuseppe Montanelli, e poi al Corriere livornese, su cui esercitò nella sua fase iniziale una considerevole influenza; nei primi mesi del 1848, mentre diventava più forte la sua posizione politica, suoi articoli furono pubblicati da altri periodici italiani, come La Lega italiana di Genova e L’Italiano di Bologna.
Nel 1847 si verificò anche a Livorno una ripresa dell’iniziativa liberale sull’onda del riformismo pontificio di Pio IX e Ricci fu considerato, insieme a Bartolomei, uno dei capi dei moderati livornesi che esercitavano una vasta influenza sulla borghesia più ricca e autorevole e godevano del sostegno delle autorità. A essi si contrapponevano gli ‘esaltati’, reclutati soprattutto fra i lavoratori più colpiti dalla difficile fase dell’economia cittadina, organizzati sotto la guida del salumaio Enrico Bartelloni, ai quali si associarono, per ragioni ideali e politiche, settori della piccola e media borghesia dell’imprenditoria e delle professioni e personalità come Guerrazzi, tornato sulla scena politica. Il punto critico, su cui le due anime del liberalismo livornese si trovarono per un certo tratto unite e poi si divisero duramente, fu l’istituzione e l’organizzazione della guardia civica. Dopo vari ondeggiamenti, i quadri ufficiali della guardia furono in larghissima misura individuati fra i liberali moderati (Ricci ebbe il grado di maggiore nel I battaglione); ma l’esclusione degli ‘esaltati’, i timori di un attacco austriaco combinato con i ritardi nell’armamento della guardia, le esitazioni, le diffidenze delle autorità fiorentine provocarono agitazioni e disordini popolari che sfociarono nelle sempre più violente contrapposizioni del 1848 labronico. Ricci descrisse queste vicende e annotò le sue riflessioni nelle Memorie, una cronaca dettagliata e puntuale delle vicende di quell’anno, livornesi e italiane. Egli vide gradualmente affievolirsi e decadere la sua popolarità, la capacità di guida politica e la tenuta dei moderati nel loro insieme, anche per le confuse e controproducenti iniziative del governo granducale. Al momento delle prime elezioni toscane del giugno 1848, indette dopo la concessione della costituzione, la sua candidatura fu seccamente bocciata a Livorno; ottenne alla fine un seggio in Parlamento in una suppletiva svoltasi nel collegio di Dicomano nel Mugello.
Mentre precipitava la situazione di Livorno, tra agosto e settembre del 1848, anche Ricci, come molti altri prima di lui, decise di abbandonare la città e di ritirarsi nella villa di Gricciano. Qui, di ritorno dalla seduta del Consiglio generale in cui era stata convalidata la sua elezione, morì la sera del 26 settembre 1848, travolto dalle acque del torrente Ormicello in piena, mentre tentava di attraversarlo a guado per raggiungere la villa e la famiglia che vi si era raccolta.
Fonti e Bibl.: Oltre alle opere edite in vita, in parte già citate, nelle Carte Giuliano Ricci della Biblioteca Labronica di Livorno sono conservati documenti, lettere e manoscritti, solo parzialmente editati in tempi recenti. Gianfranco Merli ha pubblicato: Il carteggio Ricci-Vieusseux, composto da cinquantasei lettere scritte fra il 1827 e il 1843, in Bollettino storico livornese, n.s., I (1951), 2, pp. 111-143; lo scritto L’educazione in Livorno (G. R. e l’educazione in Livorno, in Quaderni della Labronica, s. 6, 1978, vol. 2). Le Memorie e parte dell’epistolario sono stati pubblicati in Livorno 1848. Le Memorie di G. R., a cura di M. Baglini, Livorno 2009. Nell’Ottocento di Giuliano Ricci si occuparono: F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, passim; M. Carletti, G. R. ovvero dell’ottimo municipio, Forlì 1873. Fu tuttavia Palmira Jona a mettere per la prima volta nel giusto risalto la sua figura e la sua opera politica, attingendo largamente alle Memorie inedite (I moti politici di Livorno negli anni 1847-48, Milano 1909, ad ind.). Sui suoi scritti su Livorno si è soffermato ripetutamente Gianfranco Merli (L’origine e lo sviluppo di Livorno nel pensiero di G. R., in Atti del Convegno Livorno e il Mediterraneo nell’eta medicea, ... 1977, Livorno 1978, pp. 256-267), mentre il suo pensiero economico-sociale e la sua azione politica sono stati studiati da N. Badaloni, Struttura sociale e lotta politica a Livorno negli anni 1847-49, in Società, VI (1950), 3, pp. 438-468; Id., Democratici e socialisti livornesi nell’Ottocento, Roma 1966, ad ind.; Id., Il pensiero politico di Francesco Domenico Guerrazzi, in Quaderni della Labronica, s. 3, 1974, vol. 5. Più di recente sul ruolo politico di Ricci si è soffermato F. Bertini, Risorgimento e paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana 1830-1849, Firenze 2003, ad indicem.