RICCI, Giuliano de'
RICCI, Giuliano de’. – Nacque a Firenze il 12 maggio 1543 «nella casa che fu di Niccolò Machiavelli, posta nella via de’ Guicciardini, popolo di Santa Felicita quartiere di Santo Spirito» (Sartorello, 2007, p. 137), da Giovanni di Giuliano di Ardingo (1508-1590) e da Bartolomea (Baccia) Machiavelli (figlia di Niccolò, morta nel 1584).
Il padre, Giovanni de’ Ricci, aveva sposato con una modesta dote Bartolomea Machiavelli dalla quale ebbe cinque figli, oltre al primogenito Giuliano: Niccolò (1544-1625), Marietta (morta nel 1562), Federico (1550-1552 ca.), Caterina (nata nel 1551), che andò sposa a Ottaviano Bonaccorsi Pinadori, e Bernardo (1552-1553 ca.). Esercitò per tutta la vita l’attività di battiloro, ricoprendo alcune cariche politiche, senza tuttavia mai occupare posizioni chiave nell’entourage mediceo.
Fin dalla sua prima infanzia Giuliano dimostrò una particolare inclinazione per gli studi, favorita da un’intelligenza pronta e assai precoce. A quattro anni leggeva in modo sciolto e a cinque iniziò ad apprendere i primi rudimenti della lingua latina, dapprima sotto la guida di Girolamo di Bufera da Fabriano, e all’età di nove anni – dopo un breve periodo in cui fu seguito anche per la lingua greca dall’ecclesiastico Bernardo di Luca Torni – presso la scuola del noto umanista fiorentino Piero Migliorotti. A undici anni, tuttavia, la famiglia, preoccupata per una dedizione agli studi che giudicò eccessiva e pericolosa per la salute del figlio, decise, come ricorda lo stesso Giuliano nella sua Autobiografia scrivendo di sé in terza persona, «con pessimo consiglio contro alla volontà di lui, di levarlo dalli studii», introducendolo «in quelli piaceri et spassi fanciulleschi convenienti a quella età». Gli tolsero pertanto «tutti li libri latini» e lo impiegarono all’età di dodici anni presso la bottega di battiloro del padre con l’incarico di occuparsi della contabilità (Sartorello, 2007, pp. 140 s.).
Nonostante questa forte opposizione che trovò in famiglia e della quale si lamentò fino in tarda età (Cronaca..., a cura di G. Sapori, 1972, p. XIV), a quindici anni vinse le forti resistenze paterne e, pur continuando a lavorare, riprese gli amati studi. In particolare, con l’appoggio dello zio Guido Machiavelli (1512/1513?-1567) riuscì a seguire i corsi di Giuliano Ristori (1492-1556), teologo e professore di matematica e astrologia presso l’Università di Pisa e Siena, dimostrando in questi anni grande interesse e passione, soprattutto per gli studi di astrologia ai quali si dedicò fino al 1564.
Nei primi mesi di quell’anno il coinvolgimento in una rissa per ragioni di gelosia e la crescente insofferenza nei confronti dell’ambiente familiare che non aveva saputo e voluto assecondare le sue aspirazioni, gli offrirono l’opportunità di allontanarsi da Firenze stabilendosi a Perugia presso lo zio Bernardo Machiavelli (1503- dopo il 1574), primogenito del Segretario fiorentino, che a Perugia ricopriva in quegli anni la carica di tesoriere provinciale della Camera apostolica (1551-52 e ininterrottamente dal 1555 al 1565).
Gli anni del soggiorno perugino furono molto importanti per la formazione intellettuale di Ricci che poté ritornare a coltivare con maggior agio i suoi amati studi nel tempo che gli rimaneva dopo il lavoro di contabile che svolgeva presso lo zio Bernardo.
A Perugia ebbe parte attiva anche nella fondazione nel 1567 dell’Accademia degli Eccentrici e, a riprova del suo breve ma vivace coinvolgimento nel programma dell’Accademia (che assunse il motto retardat non retrahit riferendosi al corso degli studi principali seguiti dagli affiliati, per lo più quelli giuridici), rimangono oltre a due rari componimenti poetici (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. Cl. VII. 1177, parte IV, cc. 152r e 170v) le lezioni pronunciate in tre diverse adunanze, tra il marzo del 1567 e l’aprile del 1568 (Fondo Bigazzi, ms. 279, cc. 1r-73v).
Nella prima di queste, In lode della scientia legale, riservata allo statuto e ai fondamenti del diritto e ben esemplata sul De nobilitate legum et medicinae di Coluccio Salutati, Ricci dà prova della diffusione e soprattutto della persistenza negli ambienti universitari e nelle accademie studentesche della quattrocentesca disputa sul diritto e sulla sua superiorità sulle altre scienze. Nonostante alcune giovanili ingenuità, l’orazione ha un sicuro interesse per la comprensione di una disputa, quella sull’autosufficienza e sul primato del diritto, ancora assai vivace nel maturo Umanesimo.
Nella seconda e soprattutto nella terza lezione, dedicate rispettivamente alla polemica contro i libri a stampa e al vizio dell’invidia, entrano in gioco, ben celate tra le pieghe di un esercizio apparentemente solo di scuola, ragioni autobiografiche. Queste risultano evidenti nella Letione in biasimo delle stampe, pronunciata nell’agosto del 1567, dove è possibile rintracciare tutte le principali tesi del partito dei detrattori dei libri a stampa, che Ricci fece proprie richiamandole una a una. Gli scrittori evocati a principale bersaglio polemico della sua invettiva contro le stampe, e che ritraggono la cultura moderna, segnatamente quella impegnata nei volgarizzamenti, vengono contrapposti alla cultura classica rappresentata da Platone, Aristotele, Seneca, Cicerone e, più in generale, «dalli historici, da’ poeti, et da tutti quelli autori che non han bisogno delle stampe per mantenersi» (Sartorello, 2013, p. 92).
Nella terza e ultima lezione vi è la disanima di un tema particolarmente caro a Ricci: l’invidia. Una scelta, quella di intervenire su uno dei sette vizi capitali codificati dalla cultura medievale, motivata da ragioni personali, fermo restando lo sfondo di perversione che questo vizio porta con sé, quasi una malattia sociale che mina nelle fondamenta qualsiasi consorzio umano. Una lettura attenta di questo testo permette infatti di cogliere lo stretto rapporto che c’è con la tarda Autobiografia (composta tra il 1596 e il 1598).
Dopo aver chiarito che «l’invidia è un mal generalissimo che abbraccia li stati di tutte le persone et confonde le qualità di tutte le cose» (Sartorello, 2007-2008, p. 82), distinguendo sulla scorta di Plutarco l’invidia dall’odio, Ricci insiste, appoggiandosi a Tommaso e Aristotele, sul fatto che il secondo vizio capitale è senz’altro appannaggio degli arroganti, ma soprattutto dei mediocri e dei pusillanimi. Una sottolineatura che rinvia direttamente all’amara constatazione che la propria infelicità dipese dall’aver avuto proprio un padre mediocre e pusillanime (Cronaca..., cit., p. 67).
Una quarta lezione dedicata al tema «della luce e delle cause della visione» (andata perduta) non riuscì a presentarla perché fu costretto nel 1568, sebbene controvoglia, a interrompere dopo quattro anni il soggiorno a Perugia (abbandonando, tra l’altro, il progetto di seguire gli studi di legge per conseguire il titolo dottorale), e a rientrare a Firenze, dove, con grande amarezza, dovette piegarsi alla volontà del padre dedicandosi alla mercatura.
Prima di rientrare in pianta stabile nella sua città natale, Ricci sostò tra il dicembre del 1568 e il gennaio del 1569 presso Cortona, con l’incarico di coadiuvare un suo parente Giovanni Acciaiuoli, che per conto del duca Cosimo de’ Medici era stato colà inviato in qualità di commissario e revisore dei conti (Cronaca..., cit., pp. 10-11).
L’impegno a tempo pieno nella bottega di famiglia, non indusse Ricci a rinunciare completamente alla propria vocazione di storico e letterato. Nel 1569 l’umanista Piero Vettori (1499-1585), che all’epoca teneva cattedra di greco allo Studio fiorentino, si avvalse della sua collaborazione per uno studio che stava preparando (e che venne pubblicato solo nel secolo successivo) sul viaggio di Annibale per la Toscana, in particolare per l’interpretazione di alcuni passi di Strabone.
Il 1° marzo 1571 Ricci sposò Lisabetta (morta nel 1608), nipote di Piero Vettori, dalla quale ebbe cinque figli e una figlia: con Giovanni (1572-dopo il 1625) e Piero (1573-dopo il 1628), rinchiuso a lungo nelle Stinche, ebbe rapporti difficili al punto che il primo venne diseredato (si fece sacerdote con il nome di fra Giuliano e tenne cattedra di greco prima a Torino e poi a Padova) e il secondo venne messo sotto tutela; Guido (1574-1637) studiò legge ed esercitò la professione di avvocato oltre a ricoprire diverse cariche pubbliche; Roberto (1576-1623) esercitò il mestiere di battiloro; Filippo (1577-1603), destinato dal padre a succedergli alla guida dell’azienda di famiglia, morì giovane; infine, la figlia Livia (1578-dopo il 1613) si fece monaca.
Negli anni successivi compilò un dizionario storico-geografico, un trattato dei mesi dell’anno, una commedia e altri scritti minori (Archivio di Stato di Firenze, Acquisti e doni 99-100, Memorie storiche, II, p. 559).
In vita Ricci raggiunse una qualche notorietà per i suoi prioristi a famiglie, che lo impegnarono fino a pochi anni prima di morire: uno diviso in due volumi e uno in quattro, rispecchiando, in quest’ultimo, la divisione di Firenze in quattro quartieri (Firenze, Biblioteca nazionale, E.B. 14.1/1-4, Grande priorista a famiglie di Giuliano de’ Ricci). Rimangono a tutt’oggi delle fonti manoscritte indispensabili per la storia delle famiglie fiorentine, perché oltre ai consueti elenchi dei priori, per le famiglie più importanti Ricci compilava l’elenco delle cariche politiche ricoperte da tutti i discendenti e, seguendo un ideale albero genealogico, ricostruiva l’intera storia di quella casata.
Di grande interesse è soprattutto una sua voluminosa Cronaca di Firenze (1532-1606), anche per gli impliciti legami che essa presenta con i modelli storiografici della prima metà del XVI secolo, in particolare con quello seguito dal famoso nonno materno. Rimasta sconosciuta fino alla seconda metà del secolo scorso, questa impresa impegnò Ricci tutta la vita, con una scrittura condotta secondo un preciso criterio, come egli stesso spiega: «scrivendo io per mio passatempo non mi voglio obbligare in questi miei scritti a dire se non quel che io veggo et che mi perviene a notitia senza domandarne alcuno, lontano da ogni adulatione et solo per il vero, acciò che ad ogni tempo ciascuno possa essere sicuro et certo che quello di che ho fatto memoria è lontano da ogni passione et giusto et vero senza aggiugnere o levare niente» (Cronaca..., cit., p. 97).
Nel 1573 Ricci ricevette l’incarico, assieme al cugino Niccolò (figlio di Bernardo primogenito di Niccolò Machiavelli), di curare un’edizione purgata delle opere del famoso avo. Il documento che attesta l’affidamento del compito ai due nipoti da parte della Congregazione dell’Indice è conosciuto, come pure sono conosciute le vicende legate a questo tentativo di «rassettare» le opere di Machiavelli, assieme all’infelice esito dell’impresa di cui lo stesso Ricci dà testimonianza nel suo Priorista dove dichiara esplicitamente che, «se bene si faticò attorno alla detta revisione [...] e a Roma si mandò le correctioni delle Historie, sino adesso, che siamo nel 1594, non si è condotto questa opera a fine, perché nello stringnere il negotio volevano, quelli signori, che si ristampassono sotto altro nome» (Grande priorista a famiglie, Quartiere di S. Spirito, Machiavelli, c. 270r).
Se è improbabile che dopo due decenni Ricci credesse ancora nella possibilità di realizzare questo progetto, è certo che nella correzione fu impegnato diversi anni, e soprattutto che continuò a tenere aggiornato il suo apografo con la persuasione di fare cosa utile a «tutto l’universale» (Tommasini, 1883-1911, p. 622). Ricci, infatti, raccolse e ordinò numerosi scritti e documenti inediti del nonno materno, arricchendoli di moltissime note e commenti (per lo più di carattere storico), con il preciso intento di contrastare (e superare) il vulgato ritratto di Machiavelli che Giovio aveva consegnato per primo alla storiografia, e di avviare una più sicura e documentata ricostruzione biografica. Scoperta nel 1725 dal cruscante Antonio Rosso Martini, e pubblicata solo nel 1883 da Oreste Tommasini (che edita i cappelli introduttivi e i commenti ai testi machiavelliani), questa raccolta, conosciuta in seguito con il nome di Apografo machiavelliano, rappresenta a tutti gli effetti la prima attendibile biografia di Machiavelli.
Nella raccolta messa assieme da Ricci, vi è senza dubbio un intento apologetico nei confronti del famoso avo, soprattutto lì dove, di contro all’immagine fissata da Giovio di un Machiavelli irridente e ateo, egli si prodigava a contrapporgli il ritratto di un Segretario fiorentino pio «et osservante della religione» (Pieraccini, 1981, p. 254), morto «cristianamente nel suo letto, visitato da tutti gli amici, in braccio della moglie, et de’ figlioli» (Tommasini, 1883-1911, p. 644). Ricci, come conferma la sua Lezione in biasimo delle stampe, non fu affatto indifferente a remore e perplessità legate in un qualche modo all’atmosfera controriformistica, poiché cassò in numerosi punti gli scambi epistolari del nonno materno là dove li riteneva licenziosi, decidendo inoltre, probabilmente per ragioni di opportunità politica, di non trascrivere la sua commedia Le maschere, poi perduta. Rimane comunque che, sia le ricerche condotte nel Settecento dagli eruditi italiani, sia la svolta che interesserà gli studi a carattere storico-biografico su Machiavelli, legata alle celebrazioni fiorentine del 1869, hanno avuto come punto di riferimento imprescindibile le lunghe e pazienti ricerche svolte da Ricci, che per primo tracciò la strada.
Fonti e Bibl.: G. de’ Ricci, Grande priorista a famiglie, I-IV, Firenze, Biblioteca nazionale, Pal. E. B. 14.1/1-4; Id., Priorista a famiglie, I-II, Firenze, Biblioteca nazionale, B.R. 22-23; Id., Rime degli Accademici Eccentrici di Perugia, Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. Cl. VII. 1177, parte IV; Id., Letione in lode della scientia legale detta da G. de’ R. nella Accademia degli eccentrici di Perugia, Firenze, Biblioteca Moreniana, Fondo Bigazzi, MS. 279, cc. 1r-23v; R. de’ Ricci, Memorie storiche della famiglia Ricci, I-II, Archivio di Stato di Firenze, Acquisti e doni 99-100; L. Passerini, Genealogie, (famiglia Ricci), Firenze, Biblioteca nazionale, G.F.A.; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo. Storia ed esame critico, I-II, Roma-Torino-Firenze 1883-1911 (rist. anast., I-III, Napoli 1994-2003); A. Salza, L’Accademia degli Eccentrici di Perugia, Perugia 1898; L. Fumi, Inventario e spoglio dei registri della Tesoreria apostolica di Perugia e Umbria, Perugia 1901; G.B. Furiozzi, Notizie sulla famiglia di Machiavelli, in Il pensiero politico, II (1969), 3, pp. 473-475; G. de’ Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972; G. Sapori, G. de’ R. e la polemica sulla stampa nel Cinquecento, in Nuova Rivista storica, 1972, n. 56, pp. 151-164; S. Bertelli, Egemonia linguistica come egemonia culturale e politica nella Firenze cosimiana, in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, 1976, n. 38, pp. 249-283; L. Pieraccini, Alcuni aspetti della fortuna di Machiavelli a Firenze nel secolo XVI, in Studi e ricerche, I, Firenze 1981, pp. 221-270; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari 1995; P. Giovio, Elogi degli uomini illustri, a cura di F. Minonzio, Torino 2006; L. Sartorello, L’autobiografia inedita di G. de’ R., nipote di Machiavelli, in Bruniana & campanelliana, XIII (2007), 1, pp. 131-145; Id., Una lezione accademica di G. de’ R., nipote di Machiavelli, sull’invidia, in Atti e memorie dell’Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti già dei Ricovrati e Patavina, 2007-2008, vol. 120, parte 3: Memorie della classe di scienze morali, lettere ed arti, pp. 69-113; Id., Machiavelli nella storiografia post-risorgimentale. Tra metodo storico e usi politici, prefazione di G. Piaia, Padova 2009; Id., Censura e modernità in una inedita orazione di G. de’ R. (1543-1506), in Giornale storico della letteratura italiana, CXC (2013), pp. 67-93; Id., Il primato della scienza giuridica in una orazione inedita di G. de’ R. (1543-1506), in Studi di diritto medioevale e moderno 3, a cura di F. Liotta, Bologna 2014, pp.161-202; Id., R. G., de’, in Machiavelli. Enciclopedia machiavelliana, II, Roma 2014, pp. 410-412.