GIULIANO da Rimini
Pittore documentato dal 1307 al 1324. La firma di G. e la data 1307 si leggono lungo il margine superiore di un dossale proveniente dalla chiesa di S. Francesco a Urbania: "Anno D(omi)ni M(i)ll(esim)o CCC settimo Iulianus pictor de Arimino fecit hoc opus tempore D(omi)ni Clementis PP. quinti" (Boston, Isabella Stewart Gardner Mus.).Il 25 marzo 1323 "magister Iulianus depintor de contrata Sanctis Iohannis" a Rimini versa al convento di S. Giuliano un denaro come canone enfiteutico per una casa posta nella contrada di San Bartolo (Delucca, 1992, p. 88). La scritta "Anno D(omi)ni MCCCXXIIII hoc opus fecit frater Nicolaus de Sancta Cecilia et factum fuit per manus Iuliani et Petrucii de Arimino" figurava, secondo una trascrizione effettuata nel 1527, su un polittico ora perduto nella chiesa degli Eremitani a Padova (Moschetti, 1931). Un documento del 19 marzo 1346 nomina "Catalina filia quondam magistri Carbonis et uxor quondam magistri Zuliani pictoris"; all'atto assistettero i pittori Paolino e Gregorio (Tonini, 1880, p. 392): a questa data G. era dunque già morto. Se coglie nel segno l'ipotesi avanzata di recente sulla base di evidenze documentarie (Delucca, 1992), secondo la quale egli sarebbe stato fratello dei pittori Giovanni da Rimini (v.) e Zangolo, le notizie che lo riguardano si possono far risalire fino al 22 marzo 1292, quando Giovanni pagò a nome proprio e dei fratelli il canone dell'anno in corso e dei due precedenti per un terreno di proprietà dell'ospedale di S. Lazzaro (Delucca, 1992, p. 49); si riferirebbe ancora a lui il documento del 9 aprile 1316, quando "Zangolus pictor de contrata Sancti Iohannis Evangeliste, suo nomine et nomine fratris sui Iuliani", pagò un canone all'abate di S. Giuliano (Delucca, 1992, p. 78).Punto di partenza per la ricostruzione dell'attività di G. è il dossale di Boston, raffigurante al centro la Madonna con il Bambino in trono e un gruppo di devoti, con ai lati, disposti su due ordini, figure di santi (a sinistra: Francesco, Giovanni Battista, Chiara e Caterina; a destra: Giovanni Evangelista, Maria Maddalena, Agnese e Lucia). Oggetto di valutazioni discordi e in parte depresso da un'eccessiva pulitura, il dipinto si mostra, a una data molto precoce, ben aggiornato sulle novità giottesche: pur nella gamma cromatica lieve e luminosa, le figure ricercano una moderata volumetria entro lo spazio loro assegnato e gli incarnati si connotano per un certo naturalismo. Sorprende inoltre lo zelo da neofita con cui G. trasferì in un contesto incongruo vocaboli introdotti da Giotto nella pittura monumentale, come il motivo delle potenti colonne tortili utilizzato per dividere i santi su entrambi i registri. Sono state altresì notate a più riprese le tangenze con l'attività di Giovanni in S. Giovanni Evangelista (od. S. Agostino) a Rimini: le figure del Battista e di S. Caterina ricalcano per es. quelle della profetessa Anna e di Simeone nella Presentazione al Tempio; queste coincidenze, che hanno portato talora ad accreditargli la paternità di quel ciclo (Gioseffi, 1961), dimostrano la sua costante attenzione nei confronti del fratello, che deve essere ritenuto la personalità trainante della prima fase del giottismo riminese.Le opere riferite a G. con maggiore verosimiglianza dalla critica moderna testimoniano di fatto della sua fedeltà a modelli arcaici (Crocifissione, già nella sala Capitolare del convento di S. Pellegrino; Forlì, Pinacoteca Civ.), anche se una maggiore scioltezza compositiva, segno di una datazione più inoltrata, si coglie già nella Madonna con il Bambino affrescata nella chiesa del Carmine di Urbania (Zeri, 1958) e soprattutto nel grande trittico con l'Incoronazione della Vergine di proprietà del duca di Norfolk a Carlton Towers, impeccabilmente riferitogli da Boskovits (1992), già nella chiesa riminese di S. Cataldo e poi nella Coll. Diotallevi. Nel trittico sono rappresentati: nello scomparto centrale, sopra la raffigurazione maggiore, la Crocifissione e, entro due tondi, l'Annunciazione; nello sportello di sinistra una santa martire e S. Giovanni Battista, tre tondi con figure di santi e, nella parte superiore, l'Incoronazione di spine; nello sportello di destra S. Giovanni Evangelista e S. Andrea, tre tondi con figure di santi e, nella parte superiore, la Deposizione nel sepolcro. In questo dipinto si segue peraltro bene il suo adeguamento ai modi espressi da Giovanni nell'arco trionfale di S. Agostino a Rimini. Ancora più tardo risulta il grande affresco con la Crocifissione in S. Marco a Jesi (Tambini, 1988), dove ancora si leggono, alquanto impoverite, soluzioni messe a punto nel corso dei primi anni del secolo e dove l'espressività sgarbata di talune figure risponde al nuovo corso, in direzione di una maggiore drammaticità, della pittura riminese tra il secondo e il terzo decennio del secolo (Maestro del coro di S. Agostino, Pietro da Rimini). La parentela anche anagrafica con Giovanni da Rimini giustificherebbe le oscillazioni attributive incontrate da questo dipinto, per il quale è stato fatto anche il nome del fratello (Boskovits, 1988). Tali incertezze si riscontrano anche a proposito della bella croce nella chiesa di S. Francesco a Sassoferrato, variamente attribuita al Maestro del coro di S. Agostino (Volpe, 1965), a Giovanni da Rimini (Boskovits, 1988) o allo stesso G. (Tambini, 1988), che sembra un'edizione qualitativamente più alta della Crocifissione di Jesi. I dubbi sollevati circa l'attribuzione a G. degli affreschi in S. Francesco a Fermo con Storie della Vergine, proposta da Arcangeli (La pittura a Fermo, 1968), vertono invece sulla loro deludente qualità. Un altro problema riguarda la collaborazione di G. con Pietro da Rimini, documentata dalla firma apposta da entrambi sullo scomparso polittico degli Eremitani di Padova e ravvisata talora negli affreschi della sala capitolare dello stesso convento (Volpe, 1965) e del Cappellone di S. Nicola a Tolentino (Zeri, 1958), dove appare viceversa evidente, pur con oscillazioni qualitative, la totale responsabilità a livello progettuale dell'artista più giovane.
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