ORSINI, Giulia
ORSINI, Giulia. – Nacque alla metà del XVI secolo con ogni probabilità a Napoli, in palazzo Gravina, da Antonio, VI duca di Gravina, e da Maria Felice Sanseverino dei principi di Bisignano.
Antonio, figlio di Beatrice Ferrella, contessa di Muro, in Lucania, e del duca Ferdinando Orsini – il committente della fabbrica di palazzo Gravina, uno dei migliori esempi dell’architettura rinascimentale a Napoli – alla morte del padre, nel 1549, ne aveva ereditato il titolo e il feudo pugliese. Maria Felice Sanseverino era figlia di Pietro Antonio, IV principe di Bisignano, e di Giulia Orsini del ramo di Bracciano. Il loro matrimonio, celebrato nel 1546, aveva costituito una tappa importante ai fini della ricompattazione di un più vasto stato feudale dislocato tra Puglia, Basilicata e Calabria settentrionale, dopo le privazioni che entrambe le famiglie avevano dovuto subire dalla Corona spagnola per il loro schieramento nel partito francese durante le guerre d’Italia.
La strategia di costituzione e valorizzazione di un vasto complesso feudale tra Puglia e Calabria e di alleanza con un’altra delle casate della nobiltà meridionale più antica sovrintese al matrimonio, contratto nel 1568, tra Giulia Orsini e Giambattista Spinelli, che tre anni prima aveva ereditato dal padre il marchesato di Fuscaldo.
Come era costume tra la nobiltà napoletana dell’epoca, la coppia fissò la propria residenza a Napoli, dove trascorreva la maggior parte del tempo, per trasferirsi poi nei feudi calabresi durante la stagione estiva. In Calabria vissero principalmente nel palazzo che gli Spinelli avevano da poco acquisito con la compra del feudo di Paola.
Giambattista – come già suo padre Salvatore, secondogenito del conte di Cariati Carlo Spinelli, artefice della strage dei valdesi che popolavano le sue terre di Guardia e San Sisto – fu un attento amministratore del patrimonio familiare anche attraverso ambigue manovre di recupero di antiche prerogative feudali e di altre spregiudicate forme di appropriazione di beni. Nel 1567 era riuscito ad acquistare, alla metà del valore stimato, tutti i possedimenti sequestrati dalla Camera della Sommaria ai valdesi che avevano popolato i suoi feudi. Dieci anni dopo, a fronte dei reiterati reclami presentati dai superstiti a quell’eccidio e dai loro eredi, riuscì a dimostrare di averne fatto regolare acquisto e cedé poi quei beni all’università contro il pagamento di un consistente canone annuale in denaro.
Dal matrimonio non nacquero figli. Quando Spinelli morì, il 13 marzo 1603, Giulia Orsini, che intanto, a seguito della morte del fratello Ferdinando, aveva acquisito anche il titolo di duchessa di Gravina, si trovò a essere una delle più ricche ereditiere del Regno di Napoli. Il 1° settembre 1604 sposò l’allora ventiquattrenne Tiberio Carafa, terzogenito del marchese d’Anzi che grazie a questo matrimonio sfuggì al suo destino di figlio cadetto e si assicurò una rapida quanto prestigiosa carriera.
Giulia portava in dote un patrimonio feudale di inestimabile valore e in quel momento poteva ambire anche all’ancor più ricco e prestigioso patrimonio della famiglia materna, in quanto parente prossima dell’ultimo principe di Bisignano, Nicolò Bernardino Sanseverino, fratello di sua madre (detto «il prodigo» a causa dello stile di vita dispendioso e dei suoi noti eccessi), il quale dalla moglie Isabella della Rovere aveva avuto un unico figlio, morto in giovanissima età. Morto Sanseverino nell’ottobre 1605, Orsini, probabilmente spinta anche dalle ambizioni del marito, intentò causa presso i tribunali del Regno per conseguirne l’eredità contro i diritti avanzati dagli altri eredi, il duca di Gravina Lelio Orsini, nipote suo e figlio di un’altra sorella del principe defunto, e il conte della Saponara, Luigi Sanseverino, discendente in nono grado del principe. Entrambi si appellarono al fedecommesso con cui i Sanseverino sin dal XV secolo, e quindi assai precocemente, avevano vincolato la successione ereditaria alla sola discendenza maschile. In quella causa, rimasta famosa, si cimentò la migliore giurisprudenza napoletana dell’epoca. I reggenti Scipione Rovito e Giovanni de Ponte assunsero la difesa di Luigi Sanseverino, mandando alle stampe gran parte delle loro argomentazioni che si rifacevano all’antico diritto feudale e alle prerogative del Regno e per le quali essi sarebbero stati in seguito accusati anche di favoreggiamento dei Sanseverino di Bisignano e di corruzione ai danni della Corona; il duca di Gravina fu difeso dal reggente Galeota, mentre le parti di Giulia Orsini furono prese dall’avvocato Giovanni Battista Migliore. Le macchinazioni di Carafa e, soprattutto, l’interesse della Corona a dissolvere uno dei maggiori e più antichi patrimoni feudali del Regno, oltretutto appartenuto a una casata notoriamente da sempre ostile alla politica degli Asburgo, fecero sì che, il 23 luglio 1608, i tribunali del Collaterale e della Sommaria in seduta congiunta si esprimessero a favore di Orsini, conferendole il titolo di principessa di Bisignano ma lasciando il patrimonio sotto l’amministrazione controllata dei curatori nominati dal Consiglio d’Italia.
Pochi mesi dopo, l’8 giugno 1609, Orsini, costretta a letto in gravi condizioni di salute nel proprio palazzo di Corigliano, in Calabria, si risolse a fare testamento a favore del re Filippo III, cui lasciava l’intero stato feudale di Bisignano. Al marito Tiberio Carafa, che era il vero ispiratore di quelle sue ultime volontà, donava i beni burgensatici e i gioielli di famiglia, oltre una consistente rendita annuale in denaro contante. Prevedeva, inoltre, lasciti a favore di congiunti e servitori della famiglia propria e di quella del suo primo marito.
Morì a Corigliano, dopo una dolorosa agonia, il 14 giugno 1609.
Il cadavere fu trasportato nottetempo nella chiesa di S. Anna, in attesa di essere poi sepolto, secondo le sue ultime volontà, sotto l’altare maggiore della chiesa di S. Maria della Sanità a Napoli. Qualche giorno dopo, due servitori della sua casa si presentarono davanti al tribunale della Udienza di Cosenza per ritrattare le deposizioni che avevano reso sul letto di morte di Orsini, a loro dire su pressione del marito, il principe Carafa, che li avrebbe indotti ad accusare ingiustamente del veneficio della moglie il di lei nipote, il duca di Gravina. In realtà, il sospetto che fosse morta per avvelenamento ne accompagnò imperituramente la memoria, ma sembra molto più probabile, anche per il corso complessivo degli eventi, che il vero responsabile del veneficio fosse proprio suo marito Tiberio Carafa.
Il testamento di Orsini fu impugnato dagli altri eredi dell’ultimo principe di Bisignano, che già le avevano conteso quella successione. Carafa, che intanto aveva acquisito non pochi meriti politici e militari nei confronti della Corona, ottenne dal re che la vertenza si concludesse con una transazione, in virtù della quale gli fu concesso il titolo di principe sulla città di Belvedere, che aveva fatto parte dello stato di Bisignano. Di lì a poco egli salì ulteriormente nella scala degli onori grazie al conferimento dell’alto privilegio del Toson d’Oro. Avrebbe poi sposato un’altra ricca ereditiera napoletana, anch’ella vedova, la principessa Maria Ruffo, che gli portò in dote il principato di Scilla.
Sempre in virtù della transazione con cui Filippo IV aveva posto fine alla vertenza giudiziaria sulla eredità dei Sanseverino, al duca di Gravina fu concessa la città di San Marco col titolo di duca e a Luigi Sanseverino fu assegnato il principato di Bisignano con l’annesso titolo di Grande di Spagna, ma con un patrimonio notevolmente ridotto. Il lungo processo e la sua soluzione cambiarono dunque profondamente la carta feudale e geopolitica del territorio calabrese.
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