LAMA, Giulia (Giulia Elisabetta)
Figlia primogenita di Agostino e di Valentina dell'Avese, nacque a Venezia il 1° ott. 1681, nella parrocchia di S. Maria Formosa, ove fu tenuta a battesimo il giorno 6 dal pittore Niccolò Cassana e registrata con il nome di Giulia Elisabetta. Ebbe per fratelli Cecilia, Niccolò, Pietro e Lucia. Abitò nella contrada natale, in calle Lunga, sino alla morte. Non risulta che fosse sposata, né che avesse figli. Il padre, allievo di Pietro Della Vecchia e pittore "d'Historia, Battaglie e Paesi" (N. Melchiori, in Mariuz, p. 145), morì nell'ottobre 1714; nel maggio del 1723 veniva a mancare la madre Valentina.
La vita senza accadimenti della L., vissuta "dans une très forte retraite" (secondo la testimonianza dell'abate Antonio Conti, in Pallucchini, 1970, pp. 161 s.) pone seri problemi alla ricostruzione biografica; un profilo dell'artista - plausibile, benché indizialmente dedotto - si è precisato per gradi, attraverso gli studi di Pallucchini (1933, 1970, 1994) e di Ruggeri (1973, 1983) e, da ultimo, attraverso, l'operazione modellizzante di Mariuz, motivata da esigenze antologiche.
Le sue prime testimonianze artistiche autografe risalgono alla fine del secondo decennio del XVIII secolo, quando la L. era ormai trentenne; a detta di Conti in gioventù studiò matematica, circostanza che lascerebbe supporre un suo approccio non precoce alla pittura (Pallucchini, 1970). Nel Ritratto del procuratore Pietro Grimani, disegnato dalla L. e inciso da A. Zucchi nel 1719, viene convenzionalmente ravvisato il primo numero del suo catalogo; è probabile che entro il 1720 la L. avesse già dipinto il Cristo condotto al Calvario per la chiesa del Cristo Miracoloso di Poveglia (perduto: ibid., p. 162).
A questa data l'artista possedeva un linguaggio strutturato e doveva esercitare da tempo, dopo un tirocinio non accertato, ma assai probabile, presso la bottega paterna; sconosciuto resta, nella sua formazione, il ruolo del padrino Cassana, la cui influenza è ravvisabile nei modi del Pietro Grimani (Ruggeri, 1983, p. 119; Pallucchini, 1994, p. 311). Giusto in quegli anni G.B. Piazzetta la ritrasse con gli strumenti del mestiere (Ritratto di Giulia Lama, 1715-20: Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), sancendone un'ascesa puntualmente confermata dalla commissione della pala per l'altar maggiore di S. Maria Formosa (Vergine col Bambino, s. Pietro, s. Magno vescovo e la personificazione di Venezia, 1722-23: firmata); e, a riprova di un'acquisita coscienza di ruolo, la L. realizzava, nel 1725, l'Autoritratto come pittrice (Firenze, Uffizi).
Il profilo biografico inserito nei Componimenti poetici delle più illustri rimatrici di ogni secolo, raccolti da Luisa Bergalli (Venezia 1726), in cui furono pubblicati tre sonetti e due canzoni della L., ne testimonia la rinomanza come pittrice di storie sacre, benvoluta e ricercata dalla committenza ecclesiastica.
Sebbene lungo il terzo decennio l'artista si provasse con successo nelle opposte specialità della miniatura e della grande composizione, con risultati concorrenziali finanche per Rosalba Carriera, la pittura non divenne per lei professione riconosciuta: non fu mai iscritta alla fraglia veneziana (Conti la definisce anzi "persecutée par les peintres": in Pallucchini, 1970), e pare si mantenesse ricamando.
Nel 1728, ancora secondo la testimonianza di Conti, stava lavorando a un Ratto di Europa di grandi dimensioni (ibid.). Prima del 1733 (come riferisce Zanetti) aveva licenziato un S. Antonio da Padova nell'atto di ricevere il Bambino per S. Maria dei Miracoli e un S. Teodoro a cavallo e l'imperatore Licinio per la Scuola di S. Teodoro, entrambi perduti, oltre alla Crocifissione con gli apostoli per S. Vitale (1726-32: in situ), da considerare più correttamente una Trinità con gli apostoli.
Concepita per diagonali fortemente intruse nello spazio "ficto", affidata per la definizione plastica a un violento contrasto luministico, l'opera è debitrice di un piazzettismo rivisitato e caricato nei valori formali e cromatici; storicamente utilizzata come metro attribuzionistico, resta la più rappresentativa del linguaggio della pittrice.
Nel 1734 e ancora nel 1740 alcune composizioni della L. apparvero in due raccolte d'occasione (Martini), a conferma di una continuità e non gratuità della sua scrittura poetica.
Irrisolto resta il problema della scansione cronologica delle opere, che la critica concentra preferibilmente nel terzo decennio, riferendole alla maturità acquisita con gli anni dalla pittrice.
Sostanzialmente incompresa già nella seconda metà del Settecento, quando le si rimproveravano difettosità di disegno e grossolanità nei modi esecutivi, la personalità artistica della L. è stata riscoperta, e in buona parte creata, dagli studi novecenteschi di Fiocco, Pallucchini e Ruggeri, cui si deve pure la fisionomia attuale del suo catalogo, recuperato sul mercato antiquario e per erosione dai corpora altrui (J. Liss, G.B. Piazzetta, G.B. Tiepolo giovane), attraverso progressivi aggiustamenti di tiro, espunzioni e inclusioni.
Sono considerati prossimi alla pala di S. Maria Formosa - dunque databili ai primi anni Venti - il Cristo incoronato di spine e il Cristo sulla via del Calvario conservati nell'eremo camaldolese di Monte Rua (Torreglia), per i quali è stata evocata l'influenza di prototipi piazzetteschi coevi e segnatamente del S. Jacopo trascinato al martirio della chiesa veneziana di S. Stae; alla prima metà del decennio vengono pure riferite tre storie bibliche, di ubicazione ignota (Dalila recide le chiome a Sansone addormentato; Giuseppe interpreta i sogni dei due eunuchi; Elifaz, Baldad e Safar consolano Giobbe) e, dubitativamente, la Decollazione di una santa (Venezia, Ca' Rezzonico: Ruggeri, 1983, p. 120). Gravitano invece nella temperie espressiva della Crocifissione di S. Vitale Giuditta e Oloferne delle Gallerie dell'Accademia di Venezia e gli Evangelisti della chiesa di S. Marziale. Entro il terzo decennio - all'inizio per Pallucchini (1994), alla fine secondo Ruggeri (1983) - la L. avrebbe licenziato la Madonna col Bambino e i ss. Agostino e Francesco da Paola della chiesa di S. Francesco a Sebenico, nonché il S. Girolamo con l'angelo (Modena, Galleria Campori). È interpretata come "1730" la data scarsamente leggibile vergata sul retro del Martirio di s. Giovanni Evangelista del Musée municipal des beaux-arts di Quimper, attribuito alla L. da una segnalazione orale di R. Longhi (1958).
Si collocherebbe a metà del quarto decennio la Gloria di una santa della chiesa dell'Assunta a Malamocco, ritenuta giustamente da Knox (G. L., Antonio Molinari…) un'Assunzione della Vergine, nella quale la L. innovava strutture compositive e cromie seguendo da presso l'evoluzione della maniera piazzettesca. Intorno al 1740 vengono ricondotti la Giuditta con la testa di Oloferne (collezione privata: ripr. in Ruggeri, 1983, p. 129), il Saturno che divora il figlio (ubicazione sconosciuta) e le cosiddette "teste di carattere" riferite alla L. da Pallucchini nel 1970 (Busto di vecchio con libro; Busto di donna con zendado; Busto di vecchio con rosario: tutte di ubicazione ignota).
I brani pittorici attribuiti alla L. hanno forte somiglianza compositiva e stilistica: condotti sulle diagonali, col frequente uso di personaggi "in abisso", declinano il linguaggio di Piazzetta in termini di essenzialità e persino ruvidezza, fin quasi alla deformazione anatomica, con esiti espressionistici originali per l'epoca. Cifra della L. per eccellenza è l'utilizzazione di un chiaroscuro violento, che costruisce e insieme evoca i personaggi sulla scena.
Ruggeri (1967, 1973) le ha recuperato un ingente corpus grafico, in rapporto di reciproca alimentazione con quello pittorico, che testimonia l'analiticità del metodo della pittrice, attenta in fase progettuale alla definizione dei particolari e delle singole condizioni di lume. Non evitata sinora, ma da evitare in futuro, è la tentazione di un ritratto "letterario" della L., cui facilmente si prestano le notizie di Conti (che le riconosceva eloquio raffinato, esprit e cultura, a fronte però di una certa sgradevolezza fisica: cit. in Pallucchini, 1970), i componimenti poetici autografi (che forzano i moduli petrarcheschi all'espressione di una personalità veemente, ma implosa), il ductus tormentato dell'artista, nonché il confronto "psicologico" tra l'autoritratto e il ritratto - diversamente ispirato - che le fece Piazzetta. Sulla base dei dati e delle opere certe, la L. va considerata pittrice di storia con qualità e abilità specifiche nel panorama artistico veneziano di primo Settecento; lo stesso rapporto con Piazzetta, che fu strettissimo e nacque forse in gioventù (Knox, in Dictionary…), andrà inteso come di colleganza e non di discepolato.
La L. morì a Venezia il 7 ott. 1747, per "febre acuta con affetto cutaneo, che degenerò in convulsivo" (Bortolan, p. 187). Fu sepolta nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo per cura della sorella Cecilia, che ne ereditò i beni e la quadreria; quest'ultima, nel proprio testamento (1761), disponeva in legato di miniature, ritratti e soggetti sacri eseguiti dalla L., e risultava inoltre in possesso di sessantatré pezzi di diverse dimensioni, forse di mano della sorella e finanche del padre Agostino (Moretti).
Fonti e Bibl.: A.M. Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia…, Venezia 1733, pp. 171, 189, 224, 381; G. Fiocco, Il ritratto di G. L. agli Uffizi, in Rivista d'arte, XI (1929), pp. 113-117; R. Pallucchini, Di una pittrice veneziana del Settecento: G. L., ibid., XV (1933), pp. 399-413; U. Ruggeri, G. L. disegnatrice, in Critica d'arte, XIV (1967), 87, pp. 49-59; R. Pallucchini, Per la conoscenza di G. L., in Arte veneta, XXIV (1970), pp. 161-172; G. Bortolan, Per una "più completa" conoscenza di G. L., in Ateneo veneto, n.s., XI (1973), 1-2, pp. 183-189; U. Ruggeri, Dipinti e disegni di G. L., Bergamo 1973; E. Martini, La pittura del Settecento veneto, Udine 1982, pp. 506 s.; U. Ruggeri, G. L., in Giambattista Piazzetta. Il suo tempo, la sua scuola (catal.), Venezia 1983, pp. 119-129; L. Moretti, Notizie e appunti su G.B. Piazzetta, alcuni piazzetteschi e G.B. Tiepolo, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXLIII (1984-85), pp. 387 s.; La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, p. 184; II, pp. 756 s.; R. Pallucchini, G. L., in La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1994, pp. 308-314; II, ibid. 1995, p. 610 (con bibl.); A. Mariuz, G. L., in Le tele svelate. Antologia di pittrici venete dal Cinquecento al Novecento, a cura di C. Limentani Virdis, Mirano 1996, pp. 140-153; G. Knox, G. L., Antonio Molinari and the young Tiepolo: iconographical problems, in Arte documento, 1997, p. 175; Id., in Dictionary of women artists, II, London-Chicago 1997, pp. 819-821; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 247.