giudicare (iudicare)
L'originario valore di " pronunciare una sentenza " in sede giuridica (da ius e dico) vigoreggia, in una dimensione metafisica, nell'esempio di Pd IX 62 Sù sono specchi, voi dicete Troni, / onde refulge a noi Dio giudicante, dove Dio è presentato nella sua qualità di giudice supremo e infallibile: cfr. Ps. 9, 5 " Quoniam fecisti iudicium meum et causam meam, / sedisti super thronum, qui iudicas iustitiam ".
Semplice ripetitore della sentenza divina è invece Minosse che giudica e manda secondo che avvinghia (If V 6), ricordo del " quaesitor Minos " di Aen. VI 432, dal quale tuttavia non è scindibile una deformazione caricaturale e ironica; ma qui sembra meglio rispondere al significato del verbo una funzione minore rispetto a quella del g. vero e proprio, la funzione cioè di stabilire la pena conveniente al peccato, com'è dato ricavare dalla ripresa di If XXVII 45 Ma tu chi se' che 'n su lo scoglio muse, / forse per indugiar d'ire a la pena / ch'è giudicata in su le tue accuse?: va da sé che anche questa seconda funzione è di spettanza divina, per cui in ogni caso Minosse si presenta come esecutore di una volontà ben più alta e illuminata della sua.
Proprio perché il giudizio sulla sorte definitiva delle anime si configura come atto di un'intelligenza sovrannaturale D. invita solennemente gli uomini a cautela e ritegno, specie quando entra in causa l'arduo tema della predestinazione: Non sian le genti, ancor, troppo sicure / a giudicar, sì come quei che stima / le biade in campo pria che sian mature (Pd XIII 131); Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d'una spanna? (XIX 80); .E voi, mortali, tenetevi stretti / a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, / non conosciamo ancor tutti li eletti (XX 134); si confronti il paolino " Itaque nolite ante tempus iudicare, quoadusque veniat Dominus " (I Corinth. 4, 5).
Frequentemente g. assume però il senso generico di " esprimere un giudizio " intorno a qualcuno o a qualcosa; in tal senso può essere seguito dal complemento di argomento: chi vuole ben giudicare d'una donna (Cv I X 13, dove l'avverbio ‛ bene ', come in altri esempi successivi, forma col verbo una locuzione mirante a rafforzare l'esattezza e la convenienza del giudizio); le cose de le quali si giudica (II III 2); dal complemento oggetto: allora non giudica come uomo la persona, ma quasi come altro animale pur secondo l'apparenza, non discernendo la veritade (III X 2); o, infine, può venir usato assolutamente: giudicano secondo la loro veduta (I IV 3); lo imperfetto giudicio che non secondo ragione ma secondo senso giudica solamente (§ 4); e ancora in I IV 2 (participio passato) e 9 (al passivo), IV VIII 9 (tre volte). Il colorito morale dissimulato in molte delle precedenti occorrenze viene alla luce in Cv I IV 8 E questi [gl'invidiosi] non solamente passionali mal giudicano, ma, diffamando, fanno a li altri mal giudicare (per mal giudicano occorre naturalmente rovesciare il senso dell'osservazione fatta a Cv I X 13) e soprattutto nel veemente contesto etico-politico di Pd VI 97 Omai puoi giudicar di quei cotali / ch'io accusai di sopra e di lor falli, / che son cagion di tutti vostri mali, risentita denuncia contro la condotta dei guelfi e dei ghibellini, ugualmente offensiva nei riguardi del pubblico segno, sì ch'è forte a veder chi più si falli (v. 102).
Più blando del precedente è il significato di " esprimere un parere, una personale opinione ", che spetta al verbo nel passo di Vn III 9 pregandoli che giudicassero la mia visione, scrissi a loro ciò che io aveva nel mio sonno veduto, e che riceve rincalzo dal terzo verso del sonetto introdotto dalle parole citate, in ciò che mi rescrivan suo parvente; ma è probabile che nell'esempio ora in esame si eserciti l'influenza di un modulo tecnico, sul tipo di quello adoperato in Rime XL 1 Savete giudicar vostra ragione, / o om che pregio di saver portate, allusivo alla capacità del lettore sapiente di " spiegare ", " interpretare " la razo di un componimento poetico: Dante da Maiano, destinatario della risposta dantesca, aveva a sua volta prima chiesto ai suoi lettori: " Provedi, saggio, ad esta visione, / e per mercé ne trai vera sentenza " (Rime XXXIX 1-2).
Per Cv III X 1 sì come li nostri occhi ‛ chiamano ', cioè giudicano, la stella talora altrimenti che sia la vera sua condizione, soccorre il seguito della comparazione: così quella ballatetta considerò questa donna secondo l'apparenza, discordante dal vero, che fa corrispondere g. a " considerare "; ma il parallelismo non comporta una perfetta corrispondenza semantica, restando connessa al primo vocabolo l'idea di un giudizio, di un apprezzamento.
Isolato è il caso di If VII 86 questa provede, giudica, e persegue / suo regno, dove l'operare della Fortuna è posto sotto il segno di una deliberazione razionale: pertanto g. qui vale precipuamente " decidere ": " ita quod nichil est casuale, imo, ut discit Plato, nichil fit cuius ortum legitima causa non processerit " (Benvenuto).
Altrove g. piega al significato di " distinguere ", " discernere ", e conseguentemente " stabilire ": Se manifestamente per le finestre d'una casa uscisse fiamma di fuoco, e alcuno dimandasse se là dentro fosse il fuoco, e un altro rispondesse a lui di sì, non saprei bene giudicare qual di costoro fosse da schernire di più (Cv I XII 1); non diversamente in I II 6, II V 17, XIII 29.
Seguito da complemento predicativo ha il senso di " stimare ", " reputare ": Onde Boezio giudica la populare gloria vana (Cv I XI 8); me non giudicare lieve e non stabile (III I 12); io così li giudico falsi e vani (IV XV 18), e v. Rime XC 40. In Rime LXXXIII 41, al passivo e con lo stesso senso, è seguito da un complemento di qualità: E altri son che, per esser ridenti, / d'intendimenti / correnti voglion esser iudicati / da quei che so' ingannati.
Due volte regge infine proposizioni subordinate oggettive: le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero (Vn XXIII 5); giudicava bene che la filosofia... fosse somma cosa (Cv II XII 5). V. anche GIUGGIARE.