GIUDEA (A. T., 88-89)
Nome storico, rimasto tuttavia nell'uso fino al presente, col quale si designa la parte meridionale dell'altipiano interno della Palestina (all'incirca a sud del 32° lat.), fra il Mar Morto e il mare. È la parte più elevata dell'altipiano (Tell Asūr, 1011 m.) che scende a ovest con successivi gradini verso la breve cimosa costiera e a sud precipita con un ciglio ripido verso la regione più bassa che gli antichi chiamavano Negeb. Meno ben delineato è il confine con la Samaria, dalla quale tuttavia la Giudea si distingue per il suo carattere più aspro, per la scarsezza di conche e di fondi vallivi un po' ampî. Tranne che nella parte mediana dell'altipiano, che forma una specie di dorsale serpeggiante fra i due versanti, la piovosità è scarsa (620-650 mm. a Gerusalemme, Betlemme, Hebron, che si trovano proprio su quella dorsale, ma solo 410-420 a Gaza e appena 200 a Bir esh-Sheba); perciò i torrenti che vanno al Mediterraneo sono poveri d'acqua e per molti mesi dell'anno addirittura asciutti: i loro letti sono profondamente incisi nel tavolato calcareo, del quale mettono a nudo i fianchi rivestiti di pascoli magri o di macchia bassa. A oriente, poi, l'altipiano scende ripidissimo verso il Mar Morto, rotto da un dedalo complicatissimo di gole con pareti quasi a picco; al riparo delle piogge, questa regione è scarsissima di acque e forma il cosiddetto deserto di Giuda, quasi inaccessibile specialmente a sud, rifugio di eremiti nei primi tempi del cristianesimo e perciò sparso di conventi edificati o addirittura scavati nella nuda roccia.
Le zone coltivate sono di preferenza sui fianchi delle colline, i quali erano un tempo accuratamente terrazzati; prevalgono le colture arboree, ulivo, alberi da frutta, vigneti, diffusi soprattutto intorno a Hebron. Le comunicazioni sono difficili, tranne che lungo la dorsale principale, sulla quale corre l'ottima strada rotabile da Nabulus a Bir esh-Sheba e sulla quale sono tutti i centri maggiori; due o tre delle vallate che scendono al Mediterraneo (Selmam es-Surar) offrono le migliori vie di accesso dal mare; del resto il paese è quasi smembrato in cantoni separati.
La popolazione, in gran parte sedentaria (i nomadi sono oggi pochissimi), è in prevalenza maomettana; vi sono tuttavia alcune isole cristiane, come Betlemme. La recente colonizzazione ebraica ha trovato poco campo di espandersi, per la scarsezza di terreni coltivabili. I centri principali (v. alle rispettive voci) sono tutti a grandi altezze: Gerusalemme (750 m.; 90.526 ab. nel 1931), Betlemme (777 m.; 6827 ab.), Hebron (928 m.; 17.534 ab.). Nei pressi di Hebron alcuni villaggi superano i 1000 m.
La provincia romana di Giudea.
I primi contatti con Roma. - La Giudea (per la cui storia preellenistica, v. ebrei; palestina) al pari della Fenicia e della Celesiria, era stata a lungo contesa fra i regni ellenistici di Egitto e di Siria (165 a. C.), e apparteneva a quest'ultimo quando i Romani rivolsero a essa la loro attenzione. Durante la rivolta maccabaica (v. maccabei), ambasciatori romani si recarono a controllare il regno di Siria (165 a. C.), ed entrarono in rapporto con i ribelli, verso i quali assunsero un atteggiamento di protezione. La loro presenza influì sulla decisione presa da Antioco V Eupatore e da Lisia, di restituire ai Giudei il tempio di Gerusalemme e con la libertà di culto una certa autonomia amministrativa. Quando la guerriglia rinacque, Giuda Maccabeo mandò, verso il 161 a. C., un'ambasceria a Roma, per ottenere l'indipendenza della Siria. Il senato romano, anche se non strinse il trattato di alleanza che le fonti riferiscono, in forma sulla cui attendibilità si discute, dovette rimandare gli ambasciatori con affidamenti di protezione presso il re Demetrio I.
Giuda cadeva intanto combattendo e i fratelli Gionata e Simone ne continuarono l'opera e conquistarono per il loro popolo l'autonomia e poi l'indipendenza e larghe zone di territorio. Anch'essi coltivarono l'amicizia di Roma, e un trattato d'alleanza viene riferito al tempo di Simone. Ma i Romani stroncarono un tentativo di propaganda religiosa giudaica fatto in quell'occasione (139 a. C.) nella loro città. La protezione fu invocata da Giovanni Ircano, succeduto al padre Simone, quando Antioco VII ritolse ai Giudei Iope, Gazara e altre località. Sebbene i Romani non intervenissero con le armi, la loro amicizia giovò ai principi Asmonei che, nel dissolversi del regno di Siria, sottomettevano le vicine popolazioni siriache ed ellenistiche. Quando però i Romani fossero subentrati agli ultimi Seleucidi nel dominio della Siria, i loro rapporti con lo stato giudaico sarebbero cambiati. Ciò avvenne per opera di Pompeo nel 64-63 a. C. Morta la regina dei Giudei Alessandra, al figlio maggiore Ircano II fu contesa la successione dal fratello Aristobulo, che riuscì a prevalere, sinché Ircano non invocò il soccorso di Areta, re dei Nabatei, il quale sconfisse Aristobulo e lo assediò in Gerusalemme. Venuti nelle Celesiria M. Scauro, inviato da Pompeo, e poi Pompeo stesso, i due fratelli a essi si rivolsero come ad arbitri. Ma una parte del popolo giudaico chiedeva l'abolizione del potere regio, e il ritorno a un governo libero. E dovettero far sentire la loro voce le città più o meno ellenizzate della costa e dell'interno, che i principi Asmonei avevano conquistate e duramente trattate. Aristobulo comprese che i Romani non gli avrebbero confermato il potere; tentò la fuga e la resistenza, poi si presentò a Pompeo, che intanto aveva invaso la Giudea. Egli poté anche occupare Gerusalemme, e fatti giustiziare i colpevoli della guerra, diede ai territorî un ordine che segnò la fine dello stato asmoneo. Le città della costa, da Rafia sul confine egiziano a Dora, tutte le città dell'interno al di là del Giordano (Ippo, Gadara, Pella, Dio e altre) e così Scitopoli e Samaria furono staccate dal territorio giudaico, riordinate come comuni ellenistici e aggregate alla provincia romana di Siria. Analoga sorte toccò a Gerusalemme con la Giudea propriamente detta; esse furono sottoposte a tributo e aggregate alla provincia. Alessandro figlio di Aristobulo tentò una riscossa, ma fu vinto dal proconsole A. Gabinio (57 a. C.), il quale divise la Giudea in cinque distretti (sinodi, sinedrî) che facevano capo alle città di Gerusalemme, Gazara, Amatunte, Gerico e Seffori, dando nell'amministrazione locale la prevalenza alla classe abbiente. Ircano II fu confermato nella dignità di pontefice, e pare conservasse un certo prestigio politico: egli seguì in tutto la volontà dei Romani. Altre rivolte di Aristobulo e del figlio Alessandro furono soffocate dai Romani (56, 55 a. C.). M. Licinio Crasso nel muovere guerra ai Parti, mise a contributo anche la Giudea. La sconfitta di Crasso e l'invasione dei Parti in Siria, diedero occasione a Pitolao per provocare torbidi in Giudea, domati da Cassio.
Iniziata la guerra civile, Cesare pensò d'inviare Aristobulo in Giudea per crearvi difficoltà ai pompeiani; ma Aristobulo fu avvelenato in Roma prima che partisse, e il figlio Alessandro fu decapitato per ordine di Pompeo. Dopo la sconfitta e la morte di Pompeo, Ircano II aderì a Cesare: con 1500 uomini mosse in suo soccorso durante la guerra alessandrina e trasse dalla parte di Cesare la numerosa colonia giudaica d'Egitto. Cesare in compenso ricostituì, sia pure in confini assai più modesti, lo stato giudaico e l'affidò a Ircano col titolo trasmissibile di etnarca. Ircano ottenne anche la restituzione del porto di Ioppe, strisce di territorio non giudaico e privilegi ed esenzioni per i Giudei nel territorio romano. L'uccisione di Cesare e la guerra civile gettarono la Siria e la Giudea in nuove agitazioni: Cassio impose alla Giudea un contributo di 700 talenti e non avendoli avuti, vendette schiava la popolazione di alcune località. All'incertezza cagionata dagli avvenimenti si aggiunsero la discordia nella corte d'Ircano, fra Antipatro padre di Erode e di Faselo da una parte e i due fratelli Malico ed Elico dall'altra: Antipatro morì o fu avvelenato, Malico fu fatto uccidere da Cassio, a istigazione dei figli di Antipatro; il territorio dello stato giudaico fu invaso dai Tirî e da Antigono figlio di Aristobulo. La battaglia di Filippi (42 a. C.) rischiarò la situazione: M. Antonio riconfermò il potere d'Ircano, fece restituire i territorî occupati dai Tirî e liberare gli schiavi. Ma la popolazione era malcontenta; tre ambascerie dei maggiorenti giudaici andarono a supplicare Antonio in Bitinia, in Efeso, in Dafne d'Antiochia per reclamare l'abolizione del principato e l'annessione della Giudea alla provincia romana.
L'invasione dei Parti in Siria (40 a. C.) diede occasione ad Antigono figlio di Aristobulo di afferrare il potere in Giudea. Ottenuto l'aiuto di Pacoro e di Barzafrane comandanti delle forze partiche, s'impadronì di Gerusalemme, si proclamò re di Giudea e pontefice, mentre Ircano II veniva mutilato e condotto prigioniero dai Parti. Questi dopo aver saccheggiato si ritirarono, e più tardi, battuti da Ventidio Basso, sgombrarono la Siria (39 a. C.). Il senato romano per suggerimento di M. Antonio aveva intanto creato re di Giudea Erode. Contro le forze raccolte da questo, Antigono si sostenne sinché decisa con una nuova vittoria di Ventidio Basso (38 a. C.) la guerra con i Parti, un esercito romano comandato da C. Sosio pose l'assedio a Gerusalemme e dopo alcuni mesi la conquistò (37 a. C.). Antigono fu decapitato e cominciò il regno effettivo di Erode il Grande (v.) sulla Giudea (37-34 a. C.). Morto lui il regno fu diviso fra i suoi figlioli Archelao (v.), Erode Antipa (v.) e Filippo.
La provincia romana. - Il governo di Archelao non appagò né i sudditi né Augusto, che l'esiliò a Vienna in Gallia (6 d. C.). I dominî di Archelao annessi all'impero formarono la provincia di Giudea. Un procuratore imperiale dell'ordine equestre la governò risiedendo in Cesarea: Gerusalemme rimase il centro religioso del giudaismo. Un censimento ordinato da Augusto servì a fissare la misura del tributo che ciascuno doveva pagare, ma il paese fu sollevato dall'onere del mantenimento della corte. I Romani presidiarono la regione con poche milizie di fanteria e cavalleria, in cui avevano incorporato parte dell'abolito esercito regio. L'amministrazione del paese ebbe per base l'ordinamento dei comuni-città, ai quali era attribuito il territorio circostante. Gerusalemme col territorio giudaico propriamente detto fu amministrata dal sinedrio presieduto dal pontefice. Questi era nominato dal procuratore, i membri del sinedrio vi sedevano in parte per diritto, o venivano eletti per cooptazione fra i dottori più autorevoli. La giustizia e le entrate della città e del tempio, sotto la sorveglianza dell'autorità romana, erano amministrate dal pontefice e dal sinedrio, secondo la legge mosaica e la tradizione. L'aristocrazia sacerdotale e la classe più abbiente, che avevano più patito del potere regio, ebbero il predominio e furono liete del mutamento. Scontenti furono i partigiani degli Erodi, e quanti detestavano il dominio dei gentili, e nel censimento e nel tributo pagato ad Augusto videro un segno di servitù e un'onta per la nazione. Contribuivano a rendere insofferente e irrequieto il popolo le speranze messianiche, la persuasione della propria superiorità morale e religiosa sugli altri popoli, la fiducia di ripetere contro i Romani ciò che i Maccabei avevano fatto contro i decadenti Seleucidi, la certezza che a Israele Iddio riservasse il dominio del mondo, quando fosse crollato il potere di Roma. Agitatori e profeti tenevano la popolazione in continuo subbuglio.
Al governo della Giudea si seguirono i procuratori Coponio (6-9 d. C.), M. Bibulo (9-12), Annio Rufo (12-15), Valerio Grato (15-26), Ponzio Pilato (26-36), Marcello (36-37), Marullo (37-41). Del loro governo poco sappiamo; alcune notizie sul decennio di Ponzio Pilato (v.) mostrano come fossero grandi le pretese giudaiche, e ogni pretesto fosse colto per opporsi al procuratore. Bastò p. es., che la truppa romana entrasse in Gerusalemme con le insegne, perché una folla si recasse a protestare presso Pilato che dovette allontanare le insegne dalla città. E quando iniziò l'acquedotto per fornire l'acqua a Gerusalemme, scoppiò una sommossa, avendovi egli destinato parte del ricco tesoro del tempio. Del resto l'episodio del processo di Cristo, in cui Pilato cercò di liberare l'accusato e dovette condannarlo sotto la pressione del popolo sobillato dai maggiorenti, mostra quanta arrendevolezza egli avesse; e tuttavia non sfuggì all'accusa degli scrittori giudaici di essere stato inflessibile, duro e senza scrupoli.
Il governo dei procuratori cessò per breve tempo (41 d. C.), quando l'imperatore Claudio ingrandì il regno di Agrippa I (v.), aggiungendo la Giudea e la Samaria alle tetrarchie di Filippo, di Lisania e di Erode Antipa (v.) già a lui assegnate da Caligola, sicché egli riunì tutto l'antico stato di Erode il Grande. Ma morto nel 44 Agrippa, il regno fu ridotto a provincia e affidato di nuovo a un procuratore, Cuspio Fado, che dovette reprimere una ribellione nella Perea, e più tardi un movimento messianico provocato da Teuda. Gli seguì nella carica Tiberio Alessandro, giudeo alessandrino passato al paganesimo, che fece crocifiggere Giacobbe e Simone figli di Giuda il Galileo, i quali, seguendo le orme paterne, provocavano agitazioni religiose e si davano al brigantaggio a danno dei non giudei. Dal 48 al 52 d. C. fu procuratore Ventidio Cumano che dovette reprimere una nuova sommossa provocata da un gesto irriverente di un soldato verso il culto giudaico. Perdette poi la carica in seguito a un conflitto fra Giudei e Samaritani, e gli successe Antonio Felice (dal 52 al 60 d. C.), fratello di Pallante, liberto di Claudio, che represse i Zeloti, predicanti l'indipendenza e la ribellione a Roma; il zelotismo assunse allora una forma più insidiosa: sicarî armati di pugnali (sicae) cercavano di colpire gli avversarî anche in mezzo alla folla.
La nazione era divisa fra l'aristocrazia sacerdotale favorevole alle autorità romane, e la grande maggioranza del popolo che attendeva un rivolgimento che avrebbe posto i Giudei a capo delle nazioni. Molti, fra questi ultimi, credevano loro dovere iniziare la lotta contro lo straniero. Le loro mene erano favorite dalla debolezza e condiscendenza delle autorità romane, non sempre scevre di cupidigia, dall'ignoranza della reale posizione e forza dei Giudei nell'impero, da una fiducia esagerata nell'aiuto di Dio e in chiunque si presentasse in suo nome. Durante il governo di Felice, un giudeo egiziano raccolse alcune migliaia di fanatici che condusse sino alle porte di Gerusalemme e che furono poi disperse da un corpo romano inviato da Felice. A Felice successero Porcio Festo (62-64 d. C.) e Gessio Floro (64-66), i quali cercarono di destreggiarsi fra le varie tendenze, mentre l'audacia dei Zeloti e dei sicarî e l'intolleranza del popolo andavano crescendo. L'occasione alla rivolta sarebbe stata fornita, secondo Giuseppe (il cui racconto è però soggetto a riserve) da Gessio Floro che si allontanò da Gerusalemme lasciando di guardia una sola coorte. I ribelli s'impadronirono dell'altura del tempio e si rifiutarono di pagare oltre i tributi. Fu deciso di non sacrificare più nel tempio per i non giudei, e s'interruppero così i sacrifizî soliti a farsi ogni giorno per l'imperatore. La rivolta era dichiarata e divampava nelle campagne, dove il castello di Masada con i depositi di armi che vi si trovavano fu occupato dai Zeloti. Il partito amico dei Romani tentò di riacquistare il sopravvento, ma non riuscì, e i rivoltosi prendevano la rocca Antonia e il palazzo del re Erode dove la coorte romana fu massacrata.
Nelle città vicine dove i Giudei erano in maggioranza distrussero la popolazione gentile e viceversa. Il legato di Siria Cestio Gallo, con una legione e truppe ausiliarie, giunse fin sotto Gerusalemme, ma fu costretto a tornare indietro salvando a stento l'esercito. Era il novembre del 66 d. C. e i Giudei considerandosi vittoriosi organizzarono la difesa del paese contro i Romani.
Nerone affidò l'incarico di domare la rivolta a Vespasiano. Questi nella primavera del 67 mosse da Antiochia, e giunto a Tolemaide pose una guarnigione di 6000 uomini in Seffori di Galilea; raccolte poi altre truppe, condottegli dal figlio Tito e dai re alleati, iniziò la campagna. Le milizie giudaiche non osarono tentare una battaglia; Iotapata, dove s'era chiuso lo storico Giuseppe, incaricato della difesa della Galilea, resistette qualche tempo, poi fu presa e distrutta; una dopo l'altra Tiberiade, Tarichea, Gamala, la fortezza del M. Tabor, Giscala, si arresero ai Romani, che alla fine del 67 erano di nuovo padroni della parte settentrionale della Palestina. Intanto a Gerusalemme i moderati venivano eliminati e uccisi sotto l'accusa di favorire i Romani e ottenevano il comando i Zeloti, fra cui si distingueva Giovanni di Giscala. Sulla fine dell'inverno del 68, Vespasiano riprese le operazioni, e occupò Gadara, la Perea, sottomise l'Idumea e la Samaria, Gerico e Adida; sicché tutto il territorio a eccezione di Gerusalemme poteva considerarsi conquistato, quando morì Nerone (9 giugno 68). Mentre Vespasiano attendeva lo svolgersi degli avvenimenti in Roma, Simone Bar Giora a capo d'una banda di Zeloti percorreva devastando i territorî tenuti dai Romani, sinché stretto da questi, trovò rifugio in Gerusalemme. Nell'estate del 69 Vespasiano completava la conquista del paese; ma quando le legioni lo salutarono imperatore, egli affidava al figlio Tito l'impresa di prendere Gerusalemme, e Tito, verso l'aprile del 70, con quattro legioni e altre truppe ausiliarie, mosse contro la città che conquistò definitivamente e distrusse nel settembre, dopo cinque mesi di lotta accanita (v. gerusalemme). La popolazione scampata fu giustiziata, o inviata alle miniere d'Egitto, o venduta schiava, o destinata ai giuochi dei gladiatori. Alcune fortezze minori caddero qualche tempo dopo: in Masada gli ultimi Zeloti si uccisero quando il castello stava per essere preso (aprile del 73 d. C.). Il territorio giudaico fu da Vespasiano tenuto come proprietà imperiale; il tributo di due dramme annue che i Giudei pagavano spontaneamente al tempio, dovette essere pagato per il tempio di Giove Capitolino. La provincia di Giudea ebbe da allora in poi governatori d'ordine senatorio e un presidio d'una legione e di alcune coorti, in parte accampate sulle rovine della distrutta Gerusalemme. Cesarea ebbe il diritto di colonia, e una colonia militare romana fu stabilita a Emmaus, e colonia fu anche Flavia Neapolis presso l'antica Sichem in Samaria.
La catastrofe, se per alcuni decennî depresse gli animi dei Giudei, non riuscì a spegnere le speranze messianiche e il proposito della riscossa. La fede religiosa, dopo un periodo di smarrimento, intervenne a spiegare le sventure del popolo come un castigo inflittogli da Dio per le sue colpe, e come una prova della sua fedeltà: crebbe quindi la cura scrupolosa dell'osservanza della legge, e divennero più ardenti l'odio contro i gentili e la speranza in un avvenire glorioso. La sollevazione dei Giudei di Cirene e di Egitto negli ultimi anni di Traiano (115-117) e la guerra di sterminio ch'essi condussero contro i Gentili, pare lasciassero tranquilla la Palestina. Ma quando Adriano, con un provvedimento che non riguardava solo i Giudei, vietò la circoncisione, e verso il 130 ordinò che Gerusalemme fosse ricostruita come colonia romana con il nome di Elia Capitolina, la popolazione giudaica si sentì ferita nelle due cose che le erano più care. Appena l'imperatore si fu allontanato, la rivolta scoppiò in Giudea e assunse subito il carattere di una lotta senza quartiere. Guidava i rivoltosi un sacerdote di nome Eleazaro e un Simone Bar Kōkhĕbā (v.) nel quale il popolo vide il Messia promesso. Tutta la Palestina fu devastata: Gerusalemme cadde in mano degl'insorti, e pare che si riprendesse a riedificare il tempio, distrutto nel 70; certo furono battute monete come se lo stato giudaico fosse risorto. Adriano concentrò nella regione un ragguardevole numero di legioni, sotto il comando di Tineio Rufo e di Publicio Marcello governatori di Giudea e di Siria, poi inviò uno dei suoi migliori generali, Giulio Severo. Gerusalemme fu rioccupata e l'ultima resistenza infranta a Bēthar tre ore a SO. da Gerusalemme, dove Bar Kōkhĕbā si difese con tenacia. La guerra era durata tre anni e mezzo durante i quali 50 fortezze e 985 villaggi sarebbero andati in rovina, molta parte della popolazione era perita. Elia Capitolina sorse come città dei gentili al posto di Gerusalemme: ai Giudei fu vietato di porvi piede. La provincia cambiò nome e fu detta di poi Siria Palestina (v. sotto queste due voci).
Fonti: Le opere di Flavio Giuseppe, gli scritti del Vecchio e del Nuovo Testamento, compresi i cosiddetti Apocrifi e gli storici romani dell'età imperiale; poco dànno le fonti rabbiniche.
Bibl.: E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico, voce Iudaea, Roma 1931; A. Momigliano, Prime linee di storia della tradizione maccabica, Roma 1930; B. Motzo, Saggi di storia e letteratura giudeo-ellenistica, Firenze 1924; id., Ircano II nella tradizione storica, Cagliari 1927; Th. Mommsen, Le provincie romane da Cesare a Diocleziano, trad. di E. De Ruggiero, 2ª ed., Torino s. a.; V. Chapot, Le Monde rom., Parigi 1927; E. Schürer, Gesch. des jüdaischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, I, Lipsia 1904 seg.; W. Weber, Josephus u. Vespasian, Berlino 1921.