GISULFO
Duca del Friuli (circa 590-circa 610), secondo di questo nome: l'estrema povertà di notizie offerte dalle poche fonti disponibili non consente che supposizioni, specie per quanto concerne la cronologia della sua vita. Non pare tuttavia irragionevole collocare la nascita di G. nella seconda metà del VI secolo. G. era figlio di Grasulfo (I) che, nonostante il silenzio delle fonti circa il suo titolo, pare sia sicuramente succeduto a Gisulfo (I) nell'incarico ducale in Friuli all'inizio degli anni Ottanta del secolo. Poco si conosce di G. nulla concede riguardo ai suoi primi anni di vita.
Appena qualche anno dopo il loro ingresso in Italia, i Longobardi non avevano rieletto alcun sovrano scivolando così, per circa un decennio, in una fase confusa di autogoverno locale dei duchi; situazione, questa, che ebbe termine verso il 584 con l'elevazione al trono del dux Autari. L'estrema caoticità del panorama politico di quegli anni portò Grasulfo - responsabile di uno dei Ducati maggiori per estensione, e tra i più importanti sotto il profilo strategico, politico e militare del Regnum - a destreggiarsi in un'oscillante serie di alleanze: atteggiamento ambiguo che, come vedremo, influenzerà non poco la politica o, meglio, la spregiudicata condotta diplomatica e militare adottata dal figlio Gisulfo. Gogo, maggiordomo di Childeberto II di Austrasia, in una sua lettera quasi certamente databile ai primi degli anni Ottanta del sec. VI si riferisce a Grasulfo con l'appellativo onorifico di "celsitudo" (Epistolae Austrasicae, n. 48), segno questo, forse, di un'alleanza di fatto, o auspicata dalle parti, magari prossima a essere sancita e, si badi, con il tacito assenso della corte orientale che seguiva con interesse il corso politico della cattolica dinastia austrasiana. Ma l'avvicinamento franco-longobardo degli inizi degli anni Ottanta non ebbe lunga durata se in un'altra missiva, questa volta del 590 circa (ibid., n. 41), è forse Romano, l'esarca bizantino, a descrivere una situazione internazionale completamente diversa. Il funzionario imperiale, accennando ad avvenuti movimenti di truppe bizantine contro i Longobardi della dinastia friulana, implicitamente fa intravvedere, in quel torno di anni, un cambio d'orizzonte della politica estera di Grasulfo che forse - ma i documenti non ci dicono nulla in proposito - potrebbe aver approvato e magari sostenuto Evino (Ewin), già duca di Trento, nella sua spedizione in Istria, voluta e coordinata dal re Autari. Si sarebbe trattato quindi di un riavvicinamento del gruppo parentale del friulano Grasulfo alla corte regia longobarda dopo anni di distacco se non di ostilità. Ma la lettera dell'esarca ci informa anche di un importante cambiamento nella guida della dinastia ducale del Friuli verso il 590, visto che Romano tace della sorte di Grasulfo e si riferisce ormai direttamente a G. come al duca di quelle terre.
Nonostante secolari ricerche, la storiografia non è riuscita a illuminare le fasi della successione di G. a suo padre nell'incarico ducale. Eruditi e storici hanno talvolta frainteso le indicazioni reperibili in Paolo Diacono: per De Rubeis ci fu un solo Gisulfo, per Muratori il primo duca del Friuli fu Grasulfo cancellando così, per quest'ultimo, la paternità gisulfiana. Resta certo insoluta la questione della presa di potere di G., e le uniche supposizioni possibili sono quelle che vedono o la morte di Grasulfo, o la sua deposizione, forse per mano di G. stesso. Risulterebbe più difficile un affiancamento di G. al padre nella gestione del Ducato, pratica questa non solo non documentata, ma del tutto improbabile se la meticolosa Cancelleria esarcale indicava chiaramente in G. il detentore del potere in area friulana.
Sempre dalla lettera dell'esarca Romano sappiamo che G., in quel periodo politicamente vicino ai Bizantini, con il suo gruppo parentale, la corte e l'intero suo esercito faceva ora capo all'imperatore, ovvero al suo rappresentante in territorio italico. Brozzi (1975) reputa assai probabile un patto federativo tra G. e i Bizantini, per i quali avrebbe condotto diverse spedizioni in Istria contro Slavi e Avari.
Le fonti tacciono per oltre un decennio degli avvenimenti che videro protagonista G., ed è necessario attendere il 603, anno durante il quale la più tarda narrazione di Paolo Diacono colloca un mutamento di fronte nelle alleanze di G., che vediamo riappacificarsi, unitamente al collega trentino, il duca Gaidoaldo, con il re longobardo del tempo, Agilulfo (Hist. Langob., IV, 27).
Per intendere questo ennesimo ribaltamento di posizioni, la più recente storiografia fa riferimento allo scioglimento, nell'anno 601, della già effimera tregua tra Longobardi e Bizantini. Tra le due potenze erano seguite ostilità che, se non avevano comportato l'intervento dei Franchi a favore delle truppe esarcali, avevano tuttavia visto la probabile defezione di alcuni duchi longobardi. Sembrerebbe dunque più che plausibile che nel 601 i duchi ribelli ad Agilulfo che ruppero la societas (così la definisce, e non senza ambiguità, Paolo Diacono) con il sovrano fossero proprio quelli delle dinastie tridentina, con Gaidoaldo, e friulana, nella persona di Gisulfo.
Dal 603, anno del perdono regio, G. non risulta più allontanarsi dalla politica regia longobarda, impegnandosi a fondo nella complessa amministrazione del Ducato nordorientale. Lo ritroviamo, infatti, attento osservatore delle drammatiche vicende che proprio tra il VI e il VII secolo avevano portato allo sdoppiamento della sede patriarcale, in quegli anni ormai presente sia ad Aquileia sia a Grado.
Intorno al 606, con l'intervento, pare, più che con il mero assenso, di Agilulfo e del duca G., nella primitiva sede aquileiese, alla morte di Severo venne ordinato patriarca l'abate Giovanni, aderente al dettato tricapitolino, mentre a Grado venne posto "l'ortodosso" Candidiano e poco dopo, per l'improvviso decesso di quest'ultimo, l'ex protonotario Epifanio. Si trattava di problemi tanto importanti quanto delicati, che erano strettamente connessi alle intricate questioni del credo tricapitolino cui ancora aderiva parte del clero dell'Italia settentrionale. Non si deve dimenticare inoltre che ai primi del secolo VII solo parte della corte longobarda si era convertita al cattolicesimo grazie all'azione congiunta della cattolica principessa bavara Teodolinda, vedova di Autari e moglie di Agilulfo, e dei monaci missionari inviati da papa Gregorio I, in contatto epistolare con la regina e particolarmente attivo sul fronte della conversione delle popolazioni barbariche. La gran parte della gens Langobardorum, tuttavia, non solo permaneva nell'arianesimo, ma non erano rare ampie sacche in cui prevalevano ancora culti tribali pagani e nel Ducato del Friuli, dando credito al disagio e ai patimenti degli abitanti e del clero locali, tali aree religiosamente arretrate non dovevano mancare.
Verso il 610 (secondo Gasparri e Delogu; mentre per Krahwinkler non è da escludere la collocazione dei fatti al 611) per G. alle preoccupazioni legate al culto si unirono anche quelle, ben più concrete e amare, dovute a una calata degli Avari dai confini nordorientali, pare chiamati da Agilulfo per stroncare sul nascere un ennesimo - ma non accertato - tentativo di ribellione di G. istigato, forse, dal nuovo imperatore d'Oriente, Eraclio.
Alle agguerrite schiere penetrate nelle Venezie, G. contrappose truppe rapidamente convocate che, secondo la descrizione paolina, ebbero la peggio nonostante il valore dimostrato. G. stesso perì in combattimento (Hist. Langob., IV, 37).
Sua moglie Romilda con i figli Taso, Cacco, Radualdo e Grimoaldo, e le figlie - quattro, pare, delle quali solo di due conosciamo i nomi, Appa e Gaila - insieme con parte dei Longobardi scampati alla disfatta, si rifugiarono entro le mura di Cividale. I figli di G. avventurosamente riuscirono a fuggire e, terminata l'incursione avarica, Taso e Cacco riuscirono a ritornare divenendo a loro volta duchi del Friuli (circa 610-625). Diverso il destino degli altri due figli maschi di G., Grimoaldo e Radualdo: dopo l'assassinio dei fratelli da parte dell'esarca bizantino Gregorio I e una volta insediatosi al potere (625) in Friuli Grasulfo (II), fratello del defunto G., dovettero riparare presso Arechi I, duca di Benevento, a sua volta imparentato con Gisulfo (I), iniziatore della dinastia friulana. Appa e Gaila, secondo la narrazione paolina, riuscirono anch'esse a scampare alla prigionia e a sposarsi, secondo il loro rango, con i sovrani degli Alamanni e dei Bavari (Hist. Langob., IV, 37, 38, 39). L'arrivo dei due figli di G. alla corte del duca beneventano risulterà di grande importanza per la continuità del potere locale poiché Arechi I, a causa dei problemi psichici del figlio Aio, proprio a Radualdo (circa 641-646) e a Grimoaldo (circa 646-671) cederà infine il governo ducale.
Fonti e Bibl.: Andreas Dandulus, Chronica per extensum descripta, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XII, 1, p. 89; Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Langob. et Italic., Hannoverae 1878, pp. 125, 127, 132 s. (IV, 27, 33, 37, 38, 39); Epistolae Austrasicae, a cura di W. Gundlach, ibid., Epistolae, III, Epistolae Merowingici et Karolini aevi, Berolini 1892, nn. 40 pp. 145 ss., 41 pp. 147 ss., 48 pp. 152 ss.; Epistolae Langob. collectae, a cura di W. Gundlach, ibid., n. 1 p. 693; Cronica de singulis patriarchis nove Aquileie, in Cronache veneziane antichissime, I, a cura di G. Monticolo, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], IX, Roma 1890, p. 9; Chronicon Gradense, ibid., p. 50; Iohannes Diaconus, Chronicon Venetum, ibid., p. 76; P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, 2, Berolini 1925, n. 5 p. 33; L.A. Muratori, Annali d'Italia, II, Venezia 1749, col. 1079; M.B. De Rubeis, Dissertationes variae eruditionis, Venetiis 1754, p. 268; A. Crivellucci, Dei primi duchi longobardi del Friuli, in Studi storici, I (1892), pp. 59-85; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1, Gotha 1900, pp. 72 ss., 210 s., 235; P. Bertolini, Arechi I, in Diz. biogr. degli Italiani, IV, Roma 1962, p. 70; R. Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, pp. 57, 64; G.P. Bognetti, S. Maria foris portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L'età longobarda, II, Milano 1966, pp. 177, 276; M. Brozzi, I primi duchi longobardi del Friuli e la politica bizantina verso il Ducato, in Arheoloski vestnik, XXI-XXII (1970-71), pp. 76 ss.; J. Jarnut, Prosopographische und sozial-geschichtliche Studien zum Langobardenreich in Ita-lien (568-774), Bonn 1972, pp. 132, 354 s., 357, 399; P. Bertolini, Cacco, in Diz. biogr. degli Italiani, XVI, Roma 1973, pp. 44-46; M. Brozzi, Il Ducato longobardo del Friuli, Udine 1975, p. 29; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 65-67; A. Carile - G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, pp. 327 s.; P. Delogu, Il Regno longobardo, in P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Torino 1980, pp. 28, 37-39, 42, 45; J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino 1995, pp. 44, 57; Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di B. Luiselli, Milano 1991, p. 58; H. Krahwinkler, Friaul im Frühmittelalter, Wien-Köln-Weimar 1992, pp. 35, 37, 39 s., 42-44, 46, 54, 71-82; V. Dreosto, Autonomia e sottomissione in Friuli, Udine 1997, pp. 17 s., 24 s.