GISELBERTO
Conte di Bergamo, secondo di questo nome, era figlio del conte Lanfranco (I), appartenente a una schiatta aristocratica alla quale Rodolfo di Borgogna nel 922 aveva attribuito, affidandolo a Giselberto (I), l'incarico comitale. Sono poche le informazioni di cui disponiamo riguardo alla sua nascita, da collocare verosimilmente intorno al terzo decennio del X secolo, anche se non mancano autori che la situano verso la metà del decennio precedente.
Genericamente indicato con il titolo di comes, G. viene menzionato per la prima volta in un documento dell'agosto 961 (Le pergamene, n. 109), ma è dal testo di un placito tenutosi a Caravaggio il 27 ott. 962 (ibid., n. 113) e da quello di una permuta del novembre 964 (ibid., n. 114) che ruolo e competenze di G. paiono indubbiamente compiere un salto di qualità: lo troviamo citato, infatti, in veste di conte del Comitato di Bergamo. La situazione politica nel Regno italico e a Bergamo in particolare attraversava allora una fase delicata, con l'assunzione dell'incarico imperiale da parte del sassone Ottone I che in pochi mesi pervenne al controllo completo del Regnum, sconfiggendo Berengario II, suo figlio Adalberto e i loro seguaci in Italia settentrionale. A Bergamo, sia il potente vescovo Odelrico - fino a poco tempo prima filoberengariano -, sia G., che si era guadagnato la fiducia del nuovo sovrano germanico, si schierarono apertamente con Ottone. È ragionevole supporre che G. sia riuscito a godere dell'amicizia sovrana grazie a un diplomatico avvicinamento alla linea politica ottoniana: infatti, già nel gennaio del 962, dunque prima dell'incoronazione imperiale avvenuta nel febbraio successivo, G., in qualità di missus regio, partecipava a un placito tenutosi a Reggio Emilia (I placiti, n. 145).
Tra i diritti di G. figurava anche la licentia rogandi da concedere ai notai esterni alla sua circoscrizione comitale, come avvenne nel maggio del 968 (Le pergamene, n. 119), nel dicembre 970 (ibid., n. 123), nell'aprile 975 (ibid., n. 135), nel febbraio e nel dicembre del 979 (ibid., nn. 144 e 146) e, da ultimo, nel settembre 989 (ibid., n. 158). Non vi sono dubbi sul fatto che i rapporti tra G. e l'imperatore fossero in quegli anni eccellenti: un chiaro segnale in tal senso è l'importante donazione sovrana del dicembre 970 (Ottenthal; Bollea) a G., conte del Comitato di Bergamo, degli estesissimi possedimenti fondiari di Bernardo, conte di Pavia, caduto in disgrazia a corte dopo un fallito tentativo insurrezionale (965 circa) contro il potere ottoniano.
Numerose corti del patrimonio personale di Rodlinda, moglie di Bernardo e figlia naturale di re Ugo, presenti nei Comitati di Bergamo, Brescia, Cremona, Pavia e del Seprio passarono quindi nelle mani dei Giselbertini, ampliando considerevolmente la loro ricchezza personale e il loro prestigio tra i grandi signori del Regno italico. Sulla cattedra episcopale di Bergamo intanto, alla morte del vescovo Odelrico - a riprova dell'attenzione ottoniana sia, più in generale, riguardo al ruolo e al potere dei presuli in ambito locale italico, sia per quanto concerneva la specifica situazione della Chiesa bergamasca - veniva insediato il cancelliere imperiale Ambrogio che, nell'Ottocento, si è supposto fosse imparentato con Giselberto.
Nel giro di pochi anni, tra il 973 e il 975, morirono sia Ottone I sia il vescovo di Bergamo, Ambrogio. Ottone II, oltre a nominare quale nuovo vescovo un Gisalberto, che gli storici identificano senz'altro in un suo fedele, il 30 giugno 976 provvide a restituire al conte di Pavia i beni che gli erano stati confiscati (Ottonis II diplomata) - stornandoli quindi dal cospicuo patrimonio fondiario dei Giselbertini - mentre da un documento dell'agosto di quello stesso anno si evince come G. godesse ormai, probabilmente a seguito di nomina imperiale avvenuta forse tra il tardo 975 e la primavera dell'anno successivo, dell'ambito titolo comitale palatino.
È lecito supporre che il comportamento di Ottone II, non privo di una certa ambiguità sia per i contemporanei sia per gli storici del nostro tempo, fosse in realtà dettato dalla necessità di mantenere buoni rapporti diplomatici, a un tempo, con le potenti dinastie dei Giselbertini e dei Bernardingi. Entrambe le schiatte - ma per motivi opposti, come si è detto - erano non solo deluse dalla duplicità dell'azione di Ottone ma anche, nella preoccupata visione politica sovrana, potenzialmente in grado di sollevarsi contro l'autorità centrale in area italica. Non si devono dimenticare, riguardo alle inquietanti, possibili ripercussioni di siffatta politica sulle già precarie condizioni della sicurezza e dell'ordine pubblici, le complesse strategie fondate su alleanze matrimoniali tra dinastie aristocratiche. Alleanze poste in essere con molteplici, sostanziali finalità: rafforzare il prestigio, la ricchezza e la potenza della casata nei confronti sia delle altre dinastie sia dell'indebolita autorità sovrana. Al proposito si può osservare come G. si fosse unito in matrimonio con l'arduinica Anselda (o Alsinda), figlia di Arduino (III) detto Glabrione, marchese di Torino, da cui ebbe cinque figli: tre maschi, Lanfranco, Arduino, Maginfredo e due femmine, Gisela e Richilda. G., in qualità di conte palatino, figura in una carta di vendita dell'agosto 976 (Le pergamene, n. 138), così come in una carta del 25 ottobre di quel medesimo anno quando, nel suburbio di Piacenza, in una loggia del castello di S. Antonino, tenne placito alla presenza dell'imperatrice Adelaide, vedova di Ottone I (I placiti, n. 181, ma si veda, quanto all'uso del titolo palatino per G., anche la formula di licencia nei già citati documenti del febbraio e del dicembre 979). In ogni caso, l'espediente ottoniano di beneficare sia G. sia Bernardo conte di Pavia non sembra aver avuto l'esito sperato dal sovrano.
Dopo il 980, anno durante il quale l'imperatore fece ritorno in territorio italico, G. non compare mai, nella documentazione che ci è pervenuta, al seguito del sovrano e, quale ulteriore indizio dell'incrinatura nei rapporti con Ottone II, è particolarmente significativo il placito svoltosi a Piacenza, al porto vecchio, sulla via pubblica presso il guado sul Po, il 15 ott. 981 (ibid., n. 192).
In quella assemblea, tenuta dal giudice e messo imperiale Astolfo, Alchinda, badessa del monastero piacentino dei Ss. Sisto e Fabiano, assistita da Gezo, advocatus, rivendicava la proprietà di un amplissimo appezzamento di terra contro G. e sua moglie, entrambi presenti alla seduta giudiziaria. La decisione finale di Astolfo di accogliere le rivendicazioni della potente badessa a danno della coppia comitale bergamasca non portò certo, come appare evidente, a una soluzione della crisi nel delicato rapporto tra l'imperatore e il conte palatino. È da quel momento infatti che si constata un rapido, progressivo ridimensionamento della sfera di influenza geo-politica di G. nel proprio Comitato. Tale area di interesse giselbertino riguardò via via sempre più specificamente la zona meridionale del Comitato dove, se erano nettamente inferiori gli interessi della potente Chiesa vescovile bergamasca, erano maggiori, per contro, quelli dell'altrettanto attiva e vivace Chiesa cremonese e dei vassalli di quest'ultima. La maggior fiducia accordata dall'imperatore al presule bergamasco a scapito delle figure e dei poteri comitali in ambito urbano ed extraurbano portava rapidamente Ottone II a concedere al vescovo un ampliamento dello ius distringendi per 3 miglia fuori le mura.
La repentina morte dell'imperatore, a seguito della sfortunata, tragica, spedizione antisaracena in Italia meridionale (dicembre 983), portava tuttavia a un indebolimento del nome imperiale a Bergamo, dove i documenti vennero datati, in quei frangenti, non più secondo l'anno di regno o impero, bensì secondo il più neutro stile dell'incarnazione. Al governo della Chiesa bergamasca, con la morte del vescovo Giselberto, tra il 982 e il 987, venne innalzato Azzone, anch'egli, come il suo predecessore, convinto fautore di una linea politica filoimperiale. G., sempre più distante dalla vita politica cittadina, ricompare nella documentazione in un placito pavese del 18 luglio 985, ancora alla presenza dell'imperatrice Adelaide (I placiti, n. 206), e in quello svoltosi il 26 maggio 988 nel castello di Monte Collere, presso Oscasale che, si sottolinea, si trovava (e si trova) in area cremonese (ibid., n. 208). Dopo questa data, la presenza del nome di G. nella documentazione si dirada. Al di là della sua menzione in un documento del settembre 989, già ricordato, la figura di G. appare seriamente indebolita e relegata a un ruolo decisamente di secondo piano rispetto a quello ricoperto dal vescovo Azzone. Vescovo nei confronti del quale, nel marzo del 993 (Le pergamene, n. 164), il conte e sua moglie furono costretti, umiliandosi, a impegnarsi. In quel placito, nel castello di Aguzzano nel Bresciano, promisero infatti che non avrebbero agito nei confronti del presule in relazione a numerosi appezzamenti di terreno nella Bergamasca che, già di proprietà della coppia comitale, erano allora in possesso del vescovo Azzone. L'ultimo documento che attesti ancora in vita G. è un placito che tenne nel castello di Genivolta l'11 marzo 993 (I placiti, n. 217). Anche in questa occasione si nota come ormai gli interessi e le attività istituzionali di G. fossero orientati verso il Cremonese. G. compose infatti una controversia sorta tra Odelrico, vescovo di Cremona, qui rappresentato dall'advocatus Adelelmo detto Ago, e il prete Arnolfo con altri.
Tra la data del placito di Genivolta e il 22 maggio 996 (Antiquitates Italicae, I, p. 383) - quando a Limite, nel Bresciano, si svolse un altro placito alla presenza di un nuovo conte palatino, Arduino, sulla cui identità i pareri divergono - la gran parte degli eruditi e degli storici collocano la morte di Giselberto. Tuttavia, per accennare a quanto rilevato dalla più recente e accreditata storiografia, non si può del tutto escludere che G., sicuramente considerato defunto secondo il formulario di un documento del 10 ott. 1010 rogato in "castro Nogara" ("Richilda filia quondam Gixleberti comes palacii": Falce, Documenti) sia forse stato sostituito in vita - ma è pura ipotesi - da un conte palatino di nuova nomina e, ciò che maggiormente interessava allora, di sicura fedeltà all'imperatore Ottone III. In ogni modo, non essendo possibile accogliere pienamente tale supposizione, occorre almeno porre in risalto la possibile cronologia della morte di G., da collocarsi quindi tra la fine del marzo 993 e gli inizi di ottobre del 1010.
Dalla documentazione disponibile al riguardo sappiamo che in questo non breve lasso di tempo i sovrani - in specie proprio Ottone III - favorirono apertamente l'episcopio bergamasco. I figli di G. riuscirono comunque a raggiungere posizioni sociali ragguardevoli: Arduino (I) e Lanfranco (II) pervennero all'incarico comitale palatino e del Comitato di Bergamo dal secondo decennio dell'XI secolo, Maginfredo (I) ebbe il solo titolo di conte del Comitato bergamasco e, mentre Gisela, nei primi decenni del secolo, sposava l'obertengo Ugo, marchese e conte di Milano e Tortona, Richilda si univa al potente marchese Bonifacio di Canossa.
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