VENIER, Girolamo (Girolamo ‘caligaro’)
– Non si conoscono i luoghi e le date di nascita e di morte di questo calzolaio udinese, attivo nel XVI secolo, figlio di Pietro, sarto di Gemona. Era sposato, ebbe tre figli impuberi e un fratello, Marco Antonio, lui pure calzolaio. Altri dati biografici sono esclusivamente quelli legati a due processi dell’Inquisizione. Dopo di questi, di lui non si sa altro.
Il primo processo, condotto da Giovanni Angelo da San Severino, dotato del potere ordinario e di quello apostolico, vicario generale del patriarca di Aquileia, iniziò il 9 luglio 1543 contro cinque imputati: Venier, Francesco da Milano, Francesco Garzotto, pre (prete) Patrizio, Alvise Medicinale o Cavallo, e coinvolse una trentina di sospettati e una cinquantina di testimoni.
Dalle deposizioni risultò che a Udine circolavano le dottrine più importanti della Riforma, tra cui la giustificazione per sola fede, la predestinazione, il servo arbitrio, oltre a molte critiche rivolte ai sacramenti e alle pratiche religiose cattoliche. I partecipanti agli incontri di discussione e alle letture collettive di libri protestanti erano diverse centinaia e appartenevano a ogni categoria sociale. Si leggevano la traduzione italiana dell’opuscolo An der christlichen Adel deutscher Nation di Martino Lutero; le Prediche e i Dialogi quattro di Bernardino Ochino; Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione; il Sommario della sacra scrittura; l’Apologia di Girolamo Galateo; le Annotationi molto utili, edite a Venezia da Stefano Nicolini da Sabbio; la Littera patente della familiarità di Lucifero, probabile volgarizzamento della trecentesca Epistola Luciferi.
Venier e Garzotto furono portati nella stanza della tortura del castello, legati alla corda, ma non si procedette oltre. A tutti gli imputati fu offerto di fare la purgazione canonica l’8 agosto 1543, ma poi, non si sa perché, abiurarono il 9 agosto, l’11 furono assolti dalla scomunica e subirono una sentenza formale di condanna a pene leggere, tra cui la ripetizione in pubblico dell’abiura per tre domeniche. Venier si rifiutò perché voleva che gli fosse concessa la difesa e si limitò a fare una purgazione canonica. Si presentò due mesi dopo, il 12 ottobre, al nuovo vicario patriarcale, Egidio Falcetta, con due avvocati per chiedere i termini a difesa e fu rinchiuso nelle carceri del luogotenente. Dopo varie vicende, tra cui il 7 gennaio 1544 un intervento del nunzio di Venezia Fabio Mignanelli e il 18 gennaio la produzione di una lunga difesa, alla fine accettò di abiurare.
Il 15 aprile 1544, solennità del terzo giorno di Pasqua, nel duomo di Udine gremito di folla, invece dell’abiura preparata dal tribunale, l’imputato lesse una lunghissima professione di fede protestante, preparata dal patrizio udinese Pietro Percoto. Il vicario patriarcale se ne accorse solo al terzo articolo, ossia dopo dieci-quindici minuti di lettura, talmente era incredibile la proposizione di un’abiura alla rovescia. Falcetta fece immediatamente interrompere la lettura. Chi aveva architettato l’evento aveva certamente previsto la fuga. Venier infatti cercò di scappare, ma non ci riuscì per la grande ressa. Fu arrestato, processato, condannato a morte il 2 maggio e la sentenza gli fu intimata il 6. La condanna di Venier è la prima sentenza capitale nota dell’Inquisizione nella Repubblica di Venezia.
Anche Percoto fu processato a partire dal 28 aprile, riconobbe subito i propri errori e il 6 maggio abiurò e fu condannato a pene minori: stare quaranta giorni nel santuario di Castelmonte, ascoltare ogni giorno la messa e versare 40 ducati per la dote di due ragazze povere.
Per evitare il rogo, Venier fece ricorso per interposta persona a un’altissima autorità statale, i capi del Consiglio dei dieci. Questi il 9 maggio chiesero informazioni al luogotenente di Udine e gli comandarono di sospendere l’esecuzione fino a nuovo ordine. Il 9 giugno il luogotenente spedì copia del processo ai capi, spiegò che nella cancelleria non c’erano lettere su come processare gli eretici, quindi tenne in sospeso la condanna. Si ricordò tuttavia di una disposizione ricevuta quando era podestà a Brescia, secondo cui egli doveva intervenire nel processo con la sua corte e due o quattro giurisperiti laici. In effetti si trattava di una decisione del Consiglio dei dieci del 20 aprile 1543. Le autorità statali dunque intervenivano spesso nelle cause del S. Uffizio. Nel caso udinese il nunzio di Venezia protestò per l’inopportuna intromissione, presentando un memoriale sia ai capi dei Dieci, sia alla S. Sede. Fu coinvolto pure l’ambasciatore veneziano a Roma, che mandò ai capi il memoriale ricevuto dal cardinale segretario di Stato o dal papa. I capi scrissero l’8 agosto 1544 all’ambasciatore per chiarire come stavano le cose: Girolamo ‘caligaro’ aveva fatto ricorso a loro e loro avevano deliberato di far esaminare il processo da due frati teologi e due dottori canonisti laici. Questo era in effetti il punto del dissidio: i capi del Consiglio dei dieci avevano stabilito l’andamento di un processo inquisitoriale, non rispettando la giurisdizione ecclesiastica. Poi, più di dieci giorni dopo, avevano cambiato la decisione, rimettendo l’imputato e il processo al nunzio apostolico, come richiedeva il diritto canonico. Aggiunsero tuttavia un obbligo sui generis per il nunzio, quello di accettare due o tre teologi favorevoli all’imputato e da lui nominati, assieme al vicario patriarcale di Venezia, quasi a voler propugnare la propria giurisdizione. Nei due archivi dell’ambasciatore a Roma non ci sono documenti a questo riguardo. La decisione di rimettere l’imputato al nunzio in realtà fu presa il 29 luglio dallo stesso Consiglio dei dieci, in via eccezionale nella seduta delle cause criminali, su proposta dei tre capi e dietro consiglio dei giurisperiti statali Girolamo Gigante e Giovanni Battista Ferretto.
Venier dunque si appellò ai capi del Consiglio dei dieci e il caso passò per decisione statale all’Inquisizione di Venezia, che era composta da Gerardo Busdrago, auditore del nunzio Giovanni Della Casa, il giudice più importante, Vittore da Pozzo, vicario del patriarca di Venezia, e fra Marino da Venezia, inquisitore di Venezia, delegato quest’ultimo dal nunzio. Non c’è traccia di teologi nominati dall’imputato. Il 22 ottobre 1544 Marco Antonio, fratello di Girolamo e suo procuratore, presentò al nunzio una supplica perché fosse sottoposta a giudizio la nullità della sentenza capitale. Seguirono vari atti del S. Uffizio di Venezia, comprese diverse citazioni di Falcetta, che non si presentò mai, fino a quando il 14 gennaio 1545 furono stabiliti i termini per la conclusione della causa. A questo punto Giovanni Della Casa, essendo necessaria la presenza dell’imputato, si rivolse ai capi del Consiglio dei dieci, i quali il 27 gennaio 1545 ordinarono al luogotenente di Udine di mandare Venier in prigione a Venezia sotto buona custodia. Il 21 febbraio 1545 il tribunale, con il consiglio del dottor Giovanni Battista Ferretto, specialmente deputato dal Consiglio dei dieci, annullò la sentenza capitale, assolse Venier dalla scomunica e gli impose l’abiura nel duomo di Udine, la prigione fino a Pasqua e l’obbligo di presentarsi una volta al mese per un anno al vicario patriarcale di Aquileia. L’imputato non venne quindi giudicato recidivo e le pene furono leggere.
Il parere giuridico fu scritto da fra Marino, il quale ritenne che Girolamo fosse stato inconsapevolmente indotto a leggere un’abiura finta da Percoto, per l’imprudenza del notaio o del giudice, che non gli avevano consegnato in chiesa la vera abiura. L’inquisitore citò espressamente tra l’altro un canone del Sextus decretalium, l. V, tit. II, cap. IV: «Qui post abiurationem erroris vel postquam se proprii antistitis examinatione purgaverunt, si deprehensi fuerint in abiuratam heresim val aliam incidisse, seculari iuditio decernuntur». La citazione è sorprendente, perché il testo in realtà dice il contrario del responso ufficiale e considera relapso non solo chi è ricaduto nell’eresia dopo l’abiura, ma anche dopo una purgazione canonica, com’era il caso di Venier. Autorità statali attente a difendere la vita dei sudditi, un inquisitore compiacente, giudici superficiali, giurisperiti laici esperti del diritto canonico riuscivano a influire sull’andamento dei processi all’inizio dell’attività del S. Ufficio di Venezia, molto meno in seguito.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Santo Ufficio, b. 1, f. 3, «Venier Girolamo, Cavallo Alvise, Garzotto Francesco, Percotto Pietro, Francesco (da Milano), Patrizio (prete), Udine»; Consiglio di dieci, Comuni, reg. 15, c. 145r (20 aprile 1543); Consiglio di dieci, Criminali, reg. 6, c. 77r (29 luglio 1544); Capi del Consiglio di dieci, Lettere, filza 46, nn. 124 (9 maggio 1544) e 358 (8 agosto 1544); filza. 47, n. 308 (27 gennaio 1545); Capi del Consiglio di dieci, Dispacci (lettere) di ambasciatori, Roma, b. 23; Archivi propri degli ambasciatori, Roma, reg. 6.
A. Battistella, Il S. Officio e la riforma religiosa in Friuli. Appunti storici documentati, Udine 1895, p. 42; L. De Biasio, L’eresia protestante in Friuli nella seconda metà del secolo XVI, in Memorie storiche forogiuliesi, LII (1972), p. 105; S. Cavazza, Inquisizione e libri proibiti in Friuli e a Gorizia tra Cinquecento e Seicento, in Studi goriziani, XLIII (1976), pp. 35 s.; S. Seidel Menchi, Le traduzioni italiane di Lutero nella prima metà del Cinquecento, in Rinascimento, XXVIII (1978), pp. 93-97; A. Del Col, L’abiura trasformata in propaganda ereticale nel duomo di Udine (15 aprile 1544), in Metodi e ricerche, II (1981), 2-3, pp. 57-72; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia, 1520-1580, Torino 1987, pp. 90 s., 103-107, 382, 386 s.; A. Del Col, L’Inquisizione romana e il potere politico nella Repubblica di Venezia (1540-1560), in Critica storica, XXVIII (1991), pp. 196 s.; S. Peyronel Rambaldi, Dai Paesi Bassi all’Italia. «Il Sommario della Sacra Scrittura». Un libro proibito nella società italiana del Cinquecento, Firenze 1997, pp. 185-217; A. Del Col, I capi del Consiglio di dieci e l’Inquisizione nella Repubblica di Venezia, 1540-1556, in Ateneo veneto, s. 3, XVII (2018), 1, monografico: La Riforma nella Repubblica di Venezia tra Cinquecento e Settecento, Venezia... 2017. Atti del Convegno internazionale, a cura di A. Del Col - F. Ambrosini, p. 51; Id., Un conto in sospeso con Marisa Milani, in «parole assasonè, paìe, slettrane». Omaggio a Marisa Milani, a cura di I. Paccagnella, Padova 2018, p. 423.