VENEROSO, Girolamo
– Nacque a Genova il 21 giugno 1656, primogenito di Giovanni Bernardo e di Giovanna Caterina Lazagna.
Suo padre aveva ricoperto incarichi di grande prestigio (era stato, tra l’altro, governatore di Savona e della Corsica), era tra i principali esponenti di quel ‘partito navalista’ che intendeva promuovere il riarmo navale della Repubblica mediante le cosiddette ‘galee di libertà’, ed era autore del Genio ligure risvegliato (Genova 1650), una sorta di manifesto di quel partito.
Girolamo compì i suoi studi presso il collegio gesuitico genovese, e il 16 dicembre 1679 venne ascritto al Libro d’oro della nobiltà, unitamente a quattro suoi fratelli. Nel 1684, allorché la flotta francese si presentò minacciosa davanti a Genova, fu uno dei sei gentiluomini inviati dal Senato a parlamentare con il suo comandante, Jean-Baptiste Colbert marchese di Seignelay. Partecipò poi alla difesa della città quando i francesi prima la bombardarono e quindi tentarono uno sbarco. L’anno seguente, il 3 dicembre, sposò Maria Doria, che gli avrebbe dato tre figli maschi – Giovanni Bernardo (28 aprile 1688), Gian Giacomo (6 aprile 1701) che sarebbe divenuto doge nel 1754, Giovanni Battista (29 agosto 1710) – e tre femmine: Francesca Maria, Barbara e Laura.
Nel 1696, per incarico del Senato, stese con Domenico Maria De Mari una relazione sulla manifattura serica genovese, rilevandone la decadenza. Nell’agosto del 1697 fu sorteggiato per il Senato, dove sarebbe tornato tre volte negli anni seguenti. Nel 1699 entrò nel magistrato di Guerra, quindi in quello per la Provvisione dei navigli. Nel 1701-02 ebbe la carica di governatore di Savona e nel 1706-08 fu governatore della Corsica, facendosi apprezzare dalla popolazione dell’isola per la sua condotta equanime e moderata.
Tornato a Genova, fece nuovamente parte del magistrato di Guerra e dal 1714 al 1716 presiedette quello per gli Affari di Corsica, nel 1724 fu uno degli inquisitori di Stato, nel 1725 entrò nella giunta dei Confini e il 18 gennaio 1726 fu eletto doge.
Durante il suo dogato fu condotta una lotta serrata ai contrabbandi commessi dai bastimenti di Oneglia, che causò un forte contrasto con il governo di Torino. La disputa si inasprì a tal punto che si rese necessaria la mediazione dell’imperatore Carlo VI, grazie alla quale si giunse a una pacificazione che ebbe alcune conseguenze sul piano dei rapporti diplomatici: la Repubblica acconsentì a riconoscere Vittorio Amedeo II come re di Sardegna – cosa che fino ad allora aveva rifiutato di fare – e in cambio il Savoia accettò di dare al doge il titolo di Serenissimo e ai senatori quello di Eccellentissimi.
All’inizio del 1727 Veneroso fu colpito da un malanno per il quale i medici prescrissero «l’aria libera della campagna» (Levati, 1913, p. 90), ma per legge il doge non poteva uscire dal palazzo ducale e men che mai oltrepassare la cerchia delle mura: fu necessario nominare una giunta che vagliasse eventuali precedenti, quindi far approvare dal Minor Consiglio una risoluzione che gli concesse di portarsi per trenta giorni – prima a marzo e poi a ottobre del 1727 – in una sua villa suburbana a San Martino d’Albaro, delegando l’autorità dogale ai cosiddetti due di casa, cioè i senatori residenti in permanenza nel palazzo. Terminato il dogato il 18 gennaio 1728, al pari di tutti gli ex dogi continuò a sedere di diritto in Senato come procuratore perpetuo.
Il 25 febbraio 1730 la Repubblica lo persuase ad accettare, nonostante l’età avanzata e la salute malferma, l’incarico di ‘commissario generale e sopraintendente sopra tutto il Regno di Corsica’.
Tale nomina si era resa necessaria per la difficile situazione in cui versava l’isola, dove una piccola rivolta antifiscale scoppiata nel dicembre 1729 si era rapidamente estesa. Il governatore pro tempore Felice Pinelli aveva chiesto inutilmente al governo l’invio di truppe, e intanto aveva sollecitato la mediazione di alcuni esponenti del ceto medio e del notabilato locale, ma con scarsi risultati. Di qui la decisione di affiancare a Pinelli – il quale con azioni malaccorte si era alienato il favore dei corsi e non appariva in grado di ristabilire l’ordine – un commissario nella persona di Veneroso, in considerazione dell’ottimo ricordo che aveva lasciato nell’isola al tempo in cui l’aveva governata.
Dopo avere assai tergiversato, lamentando il suo pessimo stato di salute, si decise infine ad accettare l’incarico e il 10 aprile partì da Genova accompagnato da due suoi figli, Gian Giacomo e Giambattista. Sbarcò a San Fiorenzo, proseguì per Bastia ben accolto dalla popolazione, e tentò di trattare con i rivoltosi persuaso di aver di fronte un moto disordinato e privo di obiettivi chiari, che come tale poteva essere sedato senza ricorrere alla forza. Cercò di perseguire i principali facinorosi, ma concesse il perdono a numerose delegazioni di ribelli; il 5 maggio ricevette i Nobili dodici e i Nobili sei, cioè i massimi rappresentanti della nazione corsa, comunicando loro «la propensione della Serenissima Repubblica verso quei popoli e la premura che avea di por freno agli abusi e pretesi aggravii» (Breve e distinto raguaglio..., a cura di M.-J. Acquaviva, 1995, p. 9). Li invitò a stendere un memoriale contenente le loro richieste, che in effetti gli fu presentato e che egli spedì a Genova il 30 maggio, caldeggiando l’accoglimento delle istanze e affermando che «non stimava proficuo né decoroso alla Repubblica il mettere una guerra in piedi con suoi sudditi» (p. 13). Da Genova, però, non vennero risposte adeguate; in compenso il 10 giugno 1730 arrivò nell’isola il nuovo governatore Francesco Gropallo accompagnato da Camillo Doria e Salvatore Squarciafico in qualità di sindacatori, incaricati di vagliare la condotta del governatore uscente e di indagare sui ricorsi presentati contro la sua amministrazione. Tutti costoro, fautori di una politica di rigore, entrarono in contrasto con l’atteggiamento conciliante di Veneroso, il quale il 18 settembre proprio da Doria venne sostituito nel ruolo di commissario generale.
Il prevalere della linea dura, peraltro non sostenuta da adeguata forza militare, ebbe come effetto non solo il riaccendersi della ribellione, ma anche il fatto che i notabili dell’isola, viste disattese le loro richieste, decisero di assumerne la direzione. Così una rivolta popolare avente i connotati della jacquerie si trasformò in rivoluzione politica, per di più guidata anche da quei gentiluomini corsi che, avendo a lungo servito come colonnelli in vari eserciti europei, possedevano un’ottima esperienza bellica. Era appunto ciò che Veneroso aveva tentato di impedire e, vedendo frustrati i suoi sforzi, chiese ripetutamente di essere richiamato, ma solo il 28 novembre 1730 poté tornare a Genova, dove rivendicò il parziale successo della sua missione – perché alcune località dell’isola dove meglio aveva potuto svolgere la propria azione risultavano in effetti pacificate – ma nel contempo ribadì che, se il governo genovese avesse dato a tempo debito soddisfazione agli isolani, le cose «a quell’hora sarebbero state in perfetta quiete et aggiustamento» (p. 30).
Negli anni seguenti non ebbe altri incarichi, ove si eccettui quello, poco significativo, di revisore dei biglietti di calice, i ‘ricordi’ anonimi deposti nelle apposite urne dei consigli o dei collegi.
Morì a Genova nel 1739, ma la data esatta non è nota, perché l’atto di morte andò smarrito quando, negli anni Venti dell’Ottocento, fu demolita la chiesa di S. Domenico, dove era stato sepolto.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, 2839, doc. 62, e 2846, doc. 8; Manoscritti, 494, p. 244; Il Corriere ordinario, n. 73, 11 settembre 1697; P. Lazari, Il principe ad idea del principato. Orazione detta per la coronazione del Serenissimo G. V., Genova 1726; O. Buttafuoco, Ragguagli degl’ultimi tumulti seguiti nell’ isola di Corsica sino al presente, Lucca 1731, pp. 37, 44, 58 s., 63, 83-86, 90 s.; Breve e distinto raguaglio... 1730. Récit de la mission de G. V., commissaire général en Corse, a cura di M.-J. Acquaviva, Bastia 1995.
C. Botta, Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1789, V, Lugano 1835, p. 193; C. De Friess-Colonna, Storia della Corsica dai tempi più remoti sino a’ giorni nostri, Venezia 1850, p. 101; O. Pio, Storia popolare d’Italia, VIII, Milano 1874, pp. 132-136; L. Levati, I dogi di Genova e vita genovese dal 1721 al 1746, Genova 1913, pp. 12-18, 90-93, 226; A. Ferretto, Patrizi genovesi in villeggiatura nei paesi del nostro golfo. I Veneroso a Santa Margherita, in Il Mare, 26 agosto 1916; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, pp. 367-369; L. Bulferetti - C. Costantini, Industria e commercio in Liguria nell’età del Risorgimento, Milano 1966, p. 33; M. Cavanna Ciappina, Doria, Camillo Tobia, in Dizionario biografico degli Italiani, XLI, Roma 1992, pp. 308-310; M. Vergé-Franceschi, Histoire de Corse. Le pays de la grandeur, Paris 1996, pp. 297 s.