TARTAROTTI, Girolamo
TARTAROTTI, Girolamo. – Nacque a Rovereto il 2 gennaio 1706 da Francesco Antonio, giureconsulto, poi membro del Consiglio cittadino dei trentuno, e da Olimpia Camilla Volani, discendente della nobile famiglia Serbati.
Studiò dapprima presso il modesto ginnasio di Rovereto, con scarso profitto, e dovette colmare autonomamente le tante lacune, a partire dall’apprendimento del latino. A questo periodo di intensa applicazione risalgono due dissertazioni giovanili: il Dialogo della lingua latina e le Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d’Aonio Paleario, in polemica contro l’uso di insegnare il latino col latino, entrambe pubblicate postume nella Raccolta ferrarese (t. XXIV, 1795, p. 1-58). Nel novembre del 1725 si trasferì a Padova per dedicarsi agli studi di teologia: ospitato da Alberto Calza, che lo introdusse nella cerchia degli accademici patavini, fu allievo e amico, fra gli altri, di Giacinto Serry, Domenico Lazzarini e Gian Antonio Volpi.
Il soggiorno padovano, ancorché breve – dopo un anno dovette tornare a Rovereto per mancanza di fondi, e rimase nelle ristrettezze finché non conquistò una certa indipendenza economica con l’ausilio di un fedecommesso Serbati – risultò particolarmente significativo: ebbe accesso per la prima volta a biblioteche ricche e fornite, acquisì un metodo di studio ben più solido di quello scolastico, cominciò a frequentare i classici della letteratura italiana – e a scrivere liriche non più alla maniera di Giovan Battista Felice Zappi, ma seguendo il modello di Francesco Petrarca (G. Graser, Vita..., c. 2r) – e conseguì una nuova maturità critica nel segno della libertas ingenii difesa nel De ingeniorum moderatione di Ludovico Antonio Muratori, testo fondamentale per il giovane Tartarotti.
Tornato a Rovereto, con l’intento di dare vita a un’impresa tesa al rinnovamento dell’arretrato panorama culturale trentino, fece arrivare da Verona lo stampatore Pierantonio Berno, a cui affidò, nel 1727, l’impressione delle Orationes di Marc-Antoine Muret, per facilitare lo studio del latino, e, nel 1728, la stampa del suo Ragionamento intorno alla poesia lirica toscana, animato dalla consueta polemica antibarocca; bersagli prediletti sono, in questo caso, l’arditezza delle rime di Giovan Battista Marino e Claudio Achillini, nonché il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro, a cui vengono contrapposti i modelli di Petrarca, sul piano poetico, e della Perfetta poesia italiana di Muratori, su quello teorico, in cui la metafora è fondata sul vero e non su arditi traslati logici. A Petrarca dedicò pure un’incompiuta serie di Osservazioni (Rovereto, Biblioteca civica, 46.44, c. 12r-39v), che documentano un approccio simile a quello razionalistico di Alessandro Tassoni e Muratori, benché più indulgente nei confronti dell’autore del Canzoniere (Mazzoni, 2014, pp. 102 s.). In questi anni progettò anche un commento alla Commedia di Dante, che interruppe nel 1732, dopo l’uscita dell’edizione curata da Pompeo Venturi (Fracassi, 1906, pp. 36 s.).
L’impegno a Rovereto proseguì nel 1730, quando, riunito attorno a sé un gruppo di giovani animati dalla stessa passione per gli studi critico-letterari, fondò l’Accademia dei Dodonei. Sempre nello stesso anno si trattenne per un breve periodo a Verona, dove conobbe Ottolino Ottolini, che di lì in poi fu per lui come un secondo padre, Alfonso Montanari, Giulio Cesare Becelli e l’ammirato Scipione Maffei, di cui forse ambiva a diventare segretario (Marchi, 1996, p. 98). A Verona tornò ancora brevemente nel 1731, anno in cui vestì l’abito clericale, assumendo il titolo di abate, e pubblicò l’Idea della logica degli scolastici e dei moderni, animata da una forte polemica antiscolastica condotta sotto l’egida delle opere di Bernard Lamy, Jean Mabillon, Gian Vincenzo Gravina e soprattutto della Logique di Antoine Arnauld e Pierre Nicole, utile a legittimare la possibilità di una ricerca storica che, priva dei condizionamenti del dogmatismo e dello scetticismo, potesse raggiungere verità certe (De Venuto, 2010, p. 29).
Nella dissertazione, Tartarotti comparò i due diversi sistemi di pensiero, quello scolastico, caratterizzato da infinite e capziose dispute, e quello moderno, che si distingueva per semplicità e chiarezza, tanto nelle argomentazioni, quanto nel linguaggio.
La polemica antiscolastica proseguì con la pubblicazione, nel 1732, della lettera del napoletano Giuseppe Valletta In difesa della moderna filosofia, seguita da alcune Osservazioni in cui Tartarotti, con spirito critico, non si esimeva dal notare l’eccessiva parzialità di Valletta nei confronti di Cartesio, e, nel 1735, del ragionamento Delle disfide letterarie, mentre fu pubblicato soltanto postumo, nel 1766, il poemetto satirico in ottave La conclusione dei frati francescani.
Nel 1732 entrò in contatto epistolare con Muratori, al quale chiese consiglio a proposito del progetto, poi abbandonato, di comporre un trattato sull’immortalità dell’anima (Romagnani, 1999, pp. 132 s.); il sodalizio fu particolarmente importante per Tartarotti, che trovò nel modenese un valoroso alleato di tante battaglie culturali.
Nell’inverno di quell’anno si recò a Innsbruck su invito del barone Carlo Ceschi, che lo assunse come precettore del figlio, e vi si trattenne fino all’aprile del 1733. La sua fama di letterato cominciava a consolidarsi: una volta tornato in patria, Teobaldo Ceva, che stava predicando a Rovereto, volle conoscerlo e gli prospettò la possibilità di ottenere una cattedra a Torino, ma Tartarotti non ne fu entusiasta e non se ne fece nulla (G. Graser, Vita..., c. 29v-31v): tuttavia ben sette suoi sonetti vennero pubblicati nella Scelta di sonetti pubblicata da Ceva nel 1735.
Tra il 1736 e il 1737 fu impegnato in alcune polemiche locali, prima con il concittadino Domenico Frapporta, che attaccò l’Idea della logica con la sua Verità svelata in difesa delle scuole, poi con i procuratori locali, che gli imposero di scrivere Roveredo anziché Rovereto; Tartarotti si difese sempre con prontezza, ma quest’ultima controversia guastò il rapporto con Berno e convinse l’autore a pubblicare le sue opere successive a Venezia. Ben più rilevante fu, in quegli anni, lo scontro con Maffei, con il quale i rapporti si erano mantenuti cordiali fino al febbraio del 1738, quando Tartarotti lo aveva aiutato a pubblicare la sua Lettera ammonitoria a Lelio commediante, edita col nome di Becelli. Il ritrovamento, fatto dal fratello Jacopo nel 1736, di un codice quattrocentesco che conteneva la prima parte dell’Historia imperialis di Giovanni Diacono, a lungo cercato da Maffei, spinse Girolamo a stendere una Relazione d’un manoscritto di Giovanni Diacono, in cui identificava l’autore nel prete veronese Giovanni Mansionario e correggeva numerosi punti della Verona illustrata di Maffei. La Relazione, stampata nel 1738, nel volume XVIII della Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici di Angelo Calogerà (Venezia, pp. 133-193), fece infuriare Maffei, che rispose con un saggio pubblicato sulle Osservazioni letterarie nel 1741, in cui neppure nominava l’avversario.
Alla fine del 1738, su interessamento di Ottolini, colui che ne aveva favorito la «conversione anti-maffeiana» (Marchi, 1996, p. 100), si spostò a Roma al servizio del cardinale Domenico Passionei; ma il soggiorno fu di breve durata e si concluse già nel settembre del 1739, principalmente a causa di alcuni dissidi col cardinale, che non aveva apprezzato una sua lettera critica intorno all’Eloquenza italiana di Giusto Fontanini, pubblicata poi soltanto nel 1741 nella Raccolta di Calogerà (XXIII, pp. 227-291). Con la lettera egli mirava forse a una rappacificazione con Maffei, che aveva composto a sua volta una requisitoria contro l’opera del defunto Fontanini, pubblicata nelle Osservazioni letterarie (II, 1738, pp. 99-298); ma il livoroso marchese si dimostrò riluttante: a quel punto Tartarotti elaborò una Lettera di monsignor Fontanini scritta dagli Elisi all’autore delle Osservazioni letterarie, nella quale fingeva che l’estinto rimproverasse Maffei per i numerosi errori e le omissioni presenti nella sua critica. La lettera, già pronta verso la fine del 1741, rimase a lungo inedita per le pressioni che Maffei esercitava sugli editori, ma alla fine venne stampata a Venezia, nel 1744, con la falsa data di Napoli. Ulteriore rivolo di questa polemica furono le inedite Annotazioni alla Merope di Maffei (Rovereto, Biblioteca civica, 53.8, c. 93r-95v), composte presumibilmente in quegli anni, nelle quali Tartarotti scagliò contro la tragedia del marchese l’accusa di «secentismo» (Viola, 2015a, p. 186).
Nel frattempo Tartarotti proseguì la collaborazione con Calogerà e pubblicò nella Raccolta una Dissertazione intorno all’arte critica (XXI, 1740, pp. 9-87) in cui, rifacendosi all’Ars critica di Jean Le Clerc, concepiva una definizione di critica fondata sulla ragione e non sul principio di autorità, tesa non soltanto a correggere gli errori del passato e a svelare le falsità della tradizione, ma pure a giudicare consapevolmente il valore delle opere; una Lettera intorno a’ detti, o sentenze, attribuite ad autori di cui non sono (XXIV, 1741, pp. 349-395), nella quale contestava gli errori di Giovanni Mario Crescimbeni e molti altri eruditi, e una lettera sulla tragedia di Valeriano Malfatti Il Costantino (XXV, 1741, pp. 253-270), in cui invitava l’autore a rifarsi a Dante e a Petrarca per migliorare l’elocutio.
Nel 1741, sempre grazie a Ottolini, divenne segretario di Marco Foscarini, a Venezia, per aiutarlo nella stesura di una storia della letteratura veneziana; a novembre di quell’anno accompagnò il futuro doge in una missione diplomatica a Torino, dove si fermò per cinque mesi, e venne coinvolto nella polemica fra Biagio Schiavo e Ceva sulla Scelta di sonetti di quest’ultimo, provando a pacificare, senza grande successo, i due contendenti. Intanto, si intensificava la collaborazione con Muratori: Tartarotti era entrato in possesso della seconda parte dei Commentaria dell’umanista Porcellio e ne aveva progettato l’edizione per le Antiquitates Italicae Medii Aevi; il testo, già pronto alla fine del 1741, a causa dei ritardi dovuti all’editore Argelati, venne pubblicato soltanto nel 1751 in un’appendice al volume XXV dei Rerum Italicarum Scriptores. Nello stesso tomo pubblicò anche una relazione sulle fonti della Cronaca trecentesca di Andrea Dandolo che provocò la rottura con Foscarini: dopo proficue ricerche nella biblioteca del mecenate, aveva infatti ritrovato, con meraviglia di Apostolo Zeno e Muratori, la Storia di Venezia di Giovanni Sagornino, individuandola come fonte principale per l’opera di Dandolo; tuttavia, il fatto che egli non avesse citato Foscarini, né per ringraziarlo della disponibilità nel fargli consultare i propri codici, né per ricordarne la monumentale impresa della storia della letteratura veneziana, fece adirare il protettore, provocando la fine, nel settembre del 1743, del suo soggiorno a Venezia. Di lì in poi rimase stabilmente a Rovereto, rifiutando anche la proposta, pervenutagli ancora attraverso Ottolini nel 1746, di diventare segretario del nunzio apostolico a Venezia Giovanni Francesco Stoppani.
A partire dal 1743 cominciò a lavorare alla sua opera maggiore, l’innovativo Congresso notturno delle lammie, stampato a Venezia nel 1749, in cui demoliva razionalmente le credenze intorno alle streghe, che, alimentate da dotti superstiziosi, lettori delle Disquisitiones magicae di Martin Del Rio, portavano all’ingiusta persecuzione di umili donne del contado, contro le quali ancora venivano intentati processi al di qua e al di là delle Alpi.
Tartarotti non giungeva però a negare l’esistenza della magia, che considerava, a differenza della stregoneria, fenomeno reale, di origine erudita, tanto che se ne erano occupati diversi filosofi cinquecenteschi. Per questa ragione egli si trovò ben presto a dover combattere su due fronti: da una parte dovette difendersi dall’accusa di miscredenza, mossagli, fra gli altri, dal gesuita Giorgio Gaar e dal francescano trentino Benedetto Bonelli, autore nel 1751 delle Animavversioni critiche sopra il notturno congresso delle lammie; dall’altra venne criticato per aver negato troppo poco da chi, come Gian Rinaldo Carli, in una Lettera intorno all’origine e falsità della dottrina de’ maghi e delle streghe inclusa nell’edizione del Congresso (pp. 319-350), e Maffei, nell’Arte magica dileguata, pubblicata nel 1749, e successivamente nell’Arte magica distrutta del 1750, aveva rilevato l’ambiguità della sua posizione, smentendo con risolutezza l’esistenza tanto della stregoneria, quanto della magia. Tartarotti rispose a Maffei, ribadendo le proprie tesi, con un’Apologia del Congresso nel 1751, a cui fece seguito nel 1754 l’Arte magica annichilata del veronese, che chiuse la polemica.
In quegli stessi anni si dedicò anche alla storia ecclesiastica del Trentino, confutando alcune false credenze assai radicate. Nel 1743 pubblicò il De origine ecclesiae Tridentinae, in cui contestava l’origine in epoca apostolica della Chiesa di Trento, facendola risalire al IV secolo; successivamente nelle Memorie istoriche del 1745 e soprattutto nelle Memorie antiche di Rovereto del 1754, metteva in questione, su base documentaria, la santità o l’esistenza storica di alcuni santi trentini oggetto di culto, da Ingenuino a Romedio, fino ad Adalpreto, che Tartartotti dimostrò non essere stato né santo, né martire, ma uno scismatico morto in battaglia. Tali assunti provocarono l’ostilità di numerosi uomini di chiesa e gli attacchi di Anton Roschmann e ancora di Bonelli, a cui replicò con l’Apologia delle memorie antiche nel 1759. Negli ultimi anni di vita, dopo il 1758, si dedicò alla scrittura di un ampio trattato Dell’arte critica, che rimase incompiuto (Rovereto, Biblioteca civica, 8.12).
Anche dopo la morte, avvenuta il 16 maggio 1761, le polemiche sulle sue opere non si placarono: il vicario vescovile di Rovereto si oppose infatti alla risoluzione del Consiglio comunale di erigere un monumento a Tartarotti nella chiesa di S. Marco, e giunse, nell’aprile 1762, a pubblicare un interdetto contro la città e a chiudere la chiesa per impedire che l’omaggio funebre vi fosse introdotto. Seguì un lungo conflitto giurisdizionale risolto da Maria Teresa d’Austria, la quale, nove mesi dopo, ordinò la revoca dell’interdetto e il trasferimento del busto di Tartarotti, sostituito da una nuova epigrafe. Postume vennero pubblicate, nel 1785, le sue Rime scelte, a cura di Clementino Vannetti.
Fonti e Bibl.: Rovereto, Biblioteca civica, 12.18: G. Graser, Vita di G. Tartarotti .
C. Lorenzi, De vita Hieronymi Tartarotti, Rovereto 1805; C. Vannetti, Vita di G. T., Napoli 1889; E. Fracassi, G. T. Vita e opere illustrate da documenti inediti, Feltre 1906; F. Trentini, La figura e l’opera di G. T., in Atti dell’Accademia roveretana degli Agiati, s. 6, II (1960), pp. 41-66; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 355-383; L. Parinetto, I lumi e le streghe, Firenze 1974; M. Berengo, G. T., in Letteratura italiana, XLIV, 5, Dal Muratori al Cesarotti, Milano-Napoli 1978, pp. 317-390; G. T. Un intellettuale roveretano nella cultura europea del Settecento. Atti del Convegno ... 1995, Rovereto 1996 (in partic. G.P. Marchi, Storia di un’amicizia rifiutata, pp. 91-115); G.P. Romagnani, Sotto la bandiera dell’istoria, Verona 1999; Girolamo Tartarotti, Dell’arte critica, a cura di R. Filosi, Rovereto 2000; La biblioteca di G. T., a cura di W. Manica, Trento 2007; L. De Venuto, La Osservazione di G. T. sulla Lettera in difesa della moderna filosofia, in Atti e memorie dell’Accademia degli Agiati, s. 7, X (2010), 1, pp. 7-59; L. Mazzoni, Chiose di G. T. a “Rerum vulgarium fragmenta” I-LXV, in Versants, LXI (2014), 2, pp. 89-103; C. Viola, La tragedia degli inverisimili, in «Mai non mi diero i dei senza un egual disastro una ventura», a cura di E. Zucchi, Milano 2015a, pp. 169-198. Sui carteggi di Tartarotti: C. Viola, Epistolari italiani del Settecento, Verona 2004, pp. 561-562; Primo supplemento, 2008, pp. 180 s.; Secondo supplemento, 2015b, pp. 374-376.