SPADA, Girolamo
– Nacque a Terni il 30 dicembre 1765 dal conte Alessandro e da Eleonora Lavini.
Dalla famiglia materna ereditò la tenuta di Monte Polesco a Filottrano, eretta un secolo prima sotto forma di fedecommesso.
Alla fine degli anni Ottanta, insieme ai fratelli minori Giovanni e Filippo, Girolamo si trasferì da Terni a Monte Polesco per prendere possesso della tenuta che sarebbe divenuta il luogo di sperimentazione di tecniche agricole e, al contempo, di riflessione e diffusione dei suoi risultati.
Il trasferimento nel filottranese avvenne in un clima caratterizzato, da un lato, dall’avvio da parte di Pio VI della catastazione generale dello Stato e, dall’altro, da una crescita civile e da una inquietudine sociale che l’eco delle riforme e delle innovazioni economiche e tecniche realizzate in altri Stati aveva messo in moto. Nella Marca pontificia si andava delineando una netta demarcazione economica: da una parte, tra le aree a nord (Pesaro) e a sud (Ascoli) e, dall’altro, tra le città costiere (Ancona, Senigallia) e le aree interne tra le quali Macerata, considerata a lungo il ‘granaio’ dello Stato pontificio. Le difficoltà e i limiti dell’esclusiva produzione di cereali da parte dei grandi proprietari terrieri del Maceratese erano, infatti, emersi già sul finire degli anni Settanta in occasione delle vicende della carestia che aveva messo in luce l’instabilità dei raccolti come effetto dell’impoverimento dei suoli. A fronte di tali difficoltà una parte consistente dei maggiori possidenti continuava a insistere nella conservazione di tale produzione per la sua facile smerciabilità, mentre un’altra parte aveva intrapreso un vivacissimo dibattito sull’innovazione nella produzione agricola che la diffusione della dottrina fisiocratica aveva aperto da alcuni decenni. A Osimo, comunità poco distante da Filottrano, Giovanni Salvini, esponente della nobiltà terriera locale, aveva condensato le sue speranze sull’inversione del tradizionale rapporto parassitario con le campagne a favore di sperimentazioni colturali e tecniche, in un fortunato volumetto di agronomia dal titolo Istruzione al suo fattore di campagna edito nel 1775; a Treia, a pochi chilometri da Macerata, era nata nel 1778 l’Accademia Georgica, la più importante dello Stato, in cui intellettuali e nobili si erano uniti nel tentativo di collegare, con lo studio e la pratica agronomica, la statica realtà sociale ed economica del Maceratese alla grande cultura illuministica italiana ed europea. Due anni dopo a Macerata alcuni grandi proprietari crearono un’altra Accademia con minori ambizioni dottrinarie, ma con eguale passione per l’agronomia.
Girolamo andò a vivere in quest’ambiente e a esso si rivolse in modo tutt’altro che indifferente. Le accademie e i gruppi del Maceratese recepivano, infatti, altri modelli: quello delle accademie venete, del Giornale d’Italia di Francesco Grisellini, le sollecitazioni dell’ambiente romano attraverso i consigli del marchigiano Luigi Riccomanni, redattore a Roma tra il 1776 e il 1777 del Diario economico di agricoltura, manifatture e commercio e attento lettore degli economisti francesi e inglesi.
Se le sue origini nobiliari lo destinavano al governo cittadino, pur non disgiunto dalle cure di proprietario terriero, fu proprio la tradizione su cui si fondavano le forme di governo locale pontificio e, non da ultimo, la decisione di Pio VI di adottare dogane ai confini negli anni Ottanta, a indirizzare le attenzioni di Spada verso mondi sovralocali permeabili a quelle riforme economiche e sociali che, a loro volta, erano foriere dei mutamenti politico-istituzionali che non tardarono a manifestarsi. Agli inizi degli anni Novanta egli si recò, infatti, a Firenze, città divenuta per merito di Pietro Leopoldo la capitale del riformismo illuminato, dove l’attivazione del libero commercio dei cereali aveva aperto nuovi orizzonti ai proprietari terrieri. A Firenze fu assiduo frequentatore dell’Accademia dei Georgofili e attento allievo dell’abate Andrea Zucchini, per mezzo del quale maturò una ‘visione toscana’ dei problemi dell’agricoltura; una visione riscontrabile nella sua azione di sperimentatore e di pubblicista e nel modello di proprietario attivo che ne emerse. I lunghi soggiorni fiorentini lo resero poco presente nell’amministrazione di Filottrano, ormai divenuta città, del cui Consiglio comunale era entrato a far parte nel 1793 e in cui sarebbe stato cooptato nel 1796 anche suo fratello Giovanni.
Nel 1797 Spada sposò a Firenze la sedicenne Giulia de’ Medici, ultima discendente di un ramo della famiglia granducale, appassionata di botanica e di agraria, collaboratrice fattiva alle attività del marito oltre che poetessa, attrice, suonatrice d’arpa; qualità, queste ultime, che le fecero meritare l’aggregazione all’Accademia dei Catenati di Macerata. Tra la fine del 1797 e quella del 1798, Spada fece parte dell’amministrazione filorivoluzionaria di Filottrano. Nel novembre dell’anno precedente, prima della proclamazione della Repubblica Romana, Filottrano aveva, infatti, genericamente aderito alla Repubblica Anconetana e aveva costituito una nuova amministrazione in cui entrarono a far parte Girolamo e Giovanni Spada insieme alle famiglie di più antica nobiltà come quella dei conti Gentiloni e Perozzi. Fu, peraltro, Girolamo, alla presenza del fratello Giovanni, neoprefetto consolare del Tribunale di censura di Macerata e del dottor Domenico Ranaldi, prefetto consolare del dipartimento del Musone, a pronunciare il 12 pratile anno VI (31 maggio 1798) un appassionato discorso per l’erezione dell’albero della libertà. Questa esperienza repubblicana di Girolamo ebbe, tuttavia, breve vita. Alla fine del 1798 abbandonò Filottrano con la moglie e il figlio Alessandro (v. la voce in questo Dizionario) nato da pochi mesi, lasciando vacante la prefettura consolare di quel cantone perché preoccupato dall’insorgenza che si ampliava nel dipartimento del Musone. Si ritirò a Terni, presso il fratello Giovanni, commissario della Repubblica Romana per il Trasimeno. Ritornò a Monte Polesco nell’agosto del 1799 e, dopo pochi mesi, venne espulso dal Consiglio comunale di Filottrano insieme al fratello Giovanni, ai Gentiloni e ai Perozzi, accusati di tradimento politico nel clima reazionario della prima Restaurazione, reso ancora più inquieto dalla miseria dilagante. A nulla valse l’imposizione edittale del cardinale Ercole Consalvi, segretario di Stato di Pio VII, di reintegrare i membri espulsi dal Consiglio; solo nel luglio del 1803 i due fratelli Spada vennero riammessi nel consesso civico di Filottrano, in cui furono presenti per qualche mese. Poi, all’inizio del 1804, Girolamo decise di allontanarsi dal contesto filottranese, intriso di antipatie e rivalità, e di aprire una dimora a Macerata dove, nel luglio del 1805, il Consiglio di riformanza gli conferì il primo grado della nobiltà per spingerlo, forse, ad abitarvi stabilmente allo scopo di dare maggiore compattezza e rappresentatività alla classe dirigente cittadina verso la quale si rese ampiamente disponibile fino all’annessione della Marca al Regno italico. In veste di gonfaloniere partecipò al Consiglio di credenza durante il quale, il 27 luglio 1805, venne approvata l’istituzione di una cattedra onoraria di botanica e storia naturale presso l’Università di Macerata da assegnare all’ex repubblicano Paolo Spadoni.
Tale cattedra rispecchiava l’esigenza del gruppo degli agronomi del Maceratese di far entrare nella cultura ufficiale dello Stato pontificio, caratterizzata dagli studi teologici, giuridici e letterari, anche le nuove forme di conoscenza di economia rurale e di agricoltura, come aveva auspicato l’Accademia agraria di Macerata fin dal 1784.
L’editto dell’11 maggio 1808, con cui Napoleone dichiarò l’annessione della Marca pontificia al Regno d’Italia, riaprì a Spada quegli spazi d’intervento nella sfera pubblica e quegli impulsi alla sperimentazione e al rinnovamento nei modi di conduzione dei suoli sui quali si sarebbe prodigato ben oltre la caduta del Regno napoleonico. Nominato quasi immediatamente consigliere di prefettura del dipartimento del Musone, carica di non poco conto dell’ordinamento amministrativo francese fissato nella legge del 28 piovoso anno VIII (17 febbraio 1800), si recò nel luglio dello stesso anno a Milano per presentare a Napoleone gli omaggi e la fedeltà degli abitanti del dipartimento e partecipò con entusiasmo ai festeggiamenti che si svolsero a Macerata in occasione della visita del viceré Eugenio di Beauharnais. Accanto a questo rinnovato impegno politico-amministrativo, Spada non abbandonò mai, almeno fino al 1820, la conduzione dell’azienda di Monte Polesco, che, secondo una ‘rubricella’ del catasto piano, si estendeva per poco più di 539 ettari, di cui Monte Polesco (compresi il palazzo, la chiesa e le case coloniche) costituiva un terzo dell’intera proprietà.
A partire dai primi anni dell’Ottocento egli si pose il problema di rinvigorire la produttività della sua azienda concentrandosi precipuamente su tre ordini di questioni: l’aumento del bestiame, in particolare dei bovini (e della quantità dei concimi per migliorare l’aratura dei terreni e aumentarne la fertilità), la produzione di foraggere per alimentare i bovini e avviare la rotazione della coltivazioni, il riassetto idrogeologico dei terreni dirupati e improduttivi. Spada fu sempre guidato da un cauto e prudente sperimentalismo, ispirato al progetto di trasformare senza sussulti una tenuta signorile poco fertile e scarsamente produttiva in una fattoria di tipo toscano, ancorata al modello mezzadrile e guidata da un proprietario attento, da investimenti di capitale e da quote aggiunte di lavoro bracciantile. Fin dal 1816 l’impegno di far aumentare il bestiame fu sempre costante sia come quantità sia come qualità. La sua attenzione per le coltivazioni di foraggere si era già manifestata nel 1805 quando aveva pubblicato un volumetto sull’erba medica (Della erba medica e della sua coltivazione. Saggio pratico, riedito a Macerata nel 1828 dal figlio Alessandro), una foraggera che egli soltanto coltivava nella Marca e che serviva ad alimentare il bestiame. Alla utilità della crocetta, altra foraggera diffusa nel fermano, dedicò un intero opuscolo Cenni sull’agricoltura delle Marche, suoi difetti, sua scarsezza di raccolti e mezzi sicuri di riparazione, rimasto inedito (ma conservato nell’Archivio Spada Lavini, Filottrano), che scrisse tra febbraio e giugno del 1817. La prodigiosa crocetta avrebbe consentito di triplicare il bestiame, di concimare un terzo dei poderi per coltivarvi trifoglio, fave e patate, dove nell’anno successivo sarebbero stati coltivati il grano e poi il mais con l’aumento della produzione del grano. Questa rotazione triennale fu adottata a Monte Polesco fino a quando, nel 1820, Spada non adottò un sistema di coltivazione poliennale, o all’inglese, nel podere di Fonte del Lepre che egli si riservò cedendo in affitto per diciotto anni il resto dell’azienda a un amico filottranese Giacomo Costantini Beltrami (coinvolto nella rivolta carbonare del 1817 e bandito per un anno dallo Stato pontificio), probabilmente colpito dalla precoce morte della moglie trentanovenne, avvenuta il 1° aprile 1820, e privo dell’aiuto dei suoi otto figli (due maschi e sei femmine) il maggiore dei quali, Alessandro, si era trasferito a San Severino come preposto del Registro e il secondogenito, Lavinio (v. la voce in questo Dizionario), era propenso a intraprendere la carriera ecclesiastica.
Tra il 1809 e il 1819 Girolamo Spada aveva avviato, inoltre, importanti investimenti nei soprassuoli con l’aumento di colture specializzate quali vigneti, piantagioni di olivi e di alberi da frutto, supportate da ben tredici vivai di grandi dimensioni.
Nel 1820 pubblicò a Macerata il Ristretto prattico del governo de’ bachi da seta esercitato con nuovi metodi desunto dalle opere del conte Dandolo, nel quale rese conto di un suo allevamento di bachi in bigatteria, secondo il sistema del conte Vincenzo Dandolo, avviato con successo fin dal 1818 con sua moglie nella villa di Monte Polesco. Nella Memoria sui boschi (Filottrano, Archivio Spada Lavini) Spada manifestò la sua difesa delle zone boschive esistenti contro la dissennata distruzione del patrimonio forestale provocata dal costume ormai invalso di arare le terre, devastando anche i boschi comunali e delle proprietà collettive. Nel lungo opuscolo Sulla scelta del fattore (Filottrano, Archivio Spada Lavini) espose la necessità che i grandi proprietari terrieri scegliessero fattori capaci, strettamente legati ai proprietari, vigilanti sulla condotta anche morale dei mezzadri in mezzo ai quali si erano diffuse idee d’insubordinazione e d’infedeltà anche come conseguenza delle tante rivoluzioni che si erano susseguite. Controllare i mezzadri, impedire le loro riunioni o la frequentazione delle città e dei mulini, sarebbe servito ad allontanare il rischio di impratichirli in abitudini e ‘vizi’ dei ceti inurbati. Tale revirement coincise con un progressivo allontanamento dalla vita pubblica. Durante l’occupazione murattiana del Maceratese, avvenuta tra il novembre del 1813 e il maggio del 1815, egli sostenne la scelta del fratello Giovanni di prestare la sua opera al servizio del re di Napoli come viceprefetto di Fabriano. Nel pieno dei furori reazionari che caratterizzarono la prima fase della seconda Restaurazione dei domini papali, Girolamo si pose, tuttavia, in una posizione equidistante sia rispetto alla vendita carbonara di Macerata, cui parteciparono nomi di spicco della nobiltà locale, sia nei riguardi del ripristino della sovranità dei pontefici.
Era stato fra i più vivaci appartenenti alla nobiltà della Marca pontificia. Colto, acuto recettore dei principi che la dottrina fisiocratica aveva diffuso, disponibile a discuterne al di fuori dei limiti territoriali dello Stato dei papi, solerte nella sperimentazione e nella comunicazione delle tecniche agrarie praticate egli fu, inoltre, homo novus per i suoi tempi perché comprese quanto fosse importante il rapporto tra situazione sociale, mondo della produzione agraria e contesto istituzionale. L’antico regime pontificio gli apparve nelle sue discrasie prima ancora dell’avvio del suo tramonto tanto che gli fu facile aderire con entusiasmo all’arrivo dei francesi nello Stato pontificio. Dopo aver vissuto la complessa vicenda politica e militare che ne seguì e che terminò con la pace di Vienna, prese le distanze da ogni adesione politica e tornò a essere un nobile di provincia, proprietario terriero e cultore di agronomia.
Morì a Macerata il 19 dicembre 1821.
Fonti e Bibl.: Filottrano (Ancona), Archivio Spada Lavini. Inoltre: G. Natali, La famiglia dei conti Spada patrizia di Terni, di Pesaro, di San Marino e di Roma, Roma 1896, pp. 31 s.; D. Spadoni, I conti Spada nel Risorgimento italiano, Macerata 1910, pp. 5-8; R. Paci, Un notabile marchigiano: il conte G. S. tra agronomia e politica, in Quaderni storici, XIII (1978), 37, pp. 126-163.