Savonarola, Girolamo
Frate domenicano (Ferrara 1452-Firenze 1498). Entrato nell’ordine dei domenicani nel 1475, a San Gimignano tra il 1485 e il 1486 formulò con la predicazione, nutrita di profezie bibliche che egli applicava alla situazione contemporanea, la tesi secondo cui la Chiesa doveva essere castigata, poi rinnovata, e che ciò era imminente. Allontanatosi da Firenze (1487) per recarsi a Ferrara, poi a Brescia, a Genova e ancora a Brescia, ritornò a Firenze (1490) richiamatovi per l’insistenza di G. Pico della Mirandola presso Lorenzo de’ Medici. Qui, ispirandosi all’Apocalisse e ai libri profetici, denunciò nella sua predicazione i vizi del suo tempo e gli abusi di un governo ritenuto tirannico e annunciò la venuta del novello Ciro, che sarebbe sceso d’oltralpe a compiere la vendetta divina. Dal 1491 era priore del convento di S. Marco. Mentre è leggenda il fatto che ponesse le condizioni (fra cui la restituzione della libertà alla Repubblica) per confessare Lorenzo morente, certo è che il programma di restaurazione, nel suo convento, della severità della regola, che l’indusse a staccarsi dalla congregazione lombarda e a unire a S. Marco i conventi di Fiesole, Prato e Pisa, aderiva al programma mediceo di consolidamento regionale. Quell’espansionismo monastico, pur dettato da esigenze religiose e non politiche, creò malumori nell’ordine suo e anche tra i potentati italiani. La discesa in Italia di Carlo VIII nel 1494 aprì una prima interruzione nel reggimento mediceo con l’istituzione di una Repubblica e parve segnare l’adempimento delle profezie di Savonarola. Anche se la venuta di Carlo non realizzava la rigenerazione dell’Italia e se la breve durata dell’occupazione di Firenze non fu merito di S., tuttavia l’elaborazione della riforma costituzionale di Firenze, riecheggiante soluzioni venete, fu autorevolmente assistita dal domenicano. Una sua proposta di creare un organo di appello, per moderare il potere della signoria, fu causa della reazione del partito degli , che lo costrinse a recarsi a Lucca. Richiamato per la pressione dei suoi fautori e dei Bigi, legati ai Medici, riprese la sua attività di predicatore, spronando a riforme di costumi e a penitenza, accusando la Roma papale dei Borgia. Tutta Firenze parve consentire all’ardore dei savonaroliani Piagnoni, che con i celebri bruciamenti di vanità volevano distruggere tutto ciò che fosse espressione di mondanità. Mentre i vari Stati italiani si stringevano in lega contro Carlo VIII, che doveva abbandonare la penisola, lasciando scoperta la sua alleata Firenze, Alessandro VI intimò a S. (1495) di recarsi a Roma per dare spiegazioni sulle sue pretese qualità profetiche, ordinando due mesi dopo che fosse sottoposto a giudizio. Poi, pur rinunciando a questo provvedimento, intimò che si astenesse dal predicare finché non si fosse giustificato a Roma. Mentre s’inasprivano i contrasti tra le fazioni cittadine, S., per ordine della signoria, riprese la predicazione, particolarmente aspra, contro la corte pontificia. Seguirono minacce, offerte di distensione da parte di Roma, forse, quando si temette il ritorno di Carlo VIII, perfino l’offerta del cardinalato. Ma Alessandro VI, spinto dal partito degli arrabbiati e dalla Lega Santa, eliminò con un breve del 7 nov. 1496 la Congregazione di S. Marco e la carica di vicario generale coperta da S., con la creazione della Congregazione romano-toscana. Seguì la scomunica (1497), della quale S. non tenne conto. La scoperta di un complotto per il ritorno dei Medici, seguita dalla condanna dei congiurati senza appello al Consiglio Grande, rese più difficile la posizione di S., che, non intervenendo per timore di essere accusato di favorire i Medici, si alienò le simpatie dei Bigi e dei Piagnoni più moderati. La predicazione di S. dovette, per sollecitazione della stessa signoria, minacciata dell’interdetto alla città, essere interrotta (1498). S. reagì progettando un concilio che gli facesse giustizia e deponesse l’indegno pontefice. Intanto una sfida alla prova del fuoco, lanciata dal francescano Francesco di Puglia, e non realizzata per i cavilli degli stessi frati minori, fu causa di delusione tra le file dei savonaroliani che speravano in un miracolo risolutivo. Mentre la città era in tumulto, S. decise di consegnarsi alla signoria. Seguirono tre processi, manipolati e conclusi con la sua condanna a morte. S., dopo essere stato sconsacrato, fu impiccato con due confratelli e il suo cadavere arso in piazza della Signoria. La riforma savonaroliana, voluta con purezza di intenzioni, con passione sincera, trovava consensi parziali nella società del tempo; l’assunzione di S. a simbolo di libertà repubblicana, e più tardi la sua trasfigurazione a precursore della Riforma luterana, o a eroe del neoguelfismo, o a profeta della conciliazione tra religione e scienza, sono interpretazioni unilaterali di una intensa esperienza religiosa, svoltasi nel tentativo di rinnovare la politica fiorentina e italiana, divisa da interessi concreti e quindi provvisoriamente alleata all’escatologia tutta medievale del frate. Notevole è l’importanza di S. scrittore, nelle Prediche soprattutto, ma anche nel Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, nel Trionfo della croce, nelle Poesie, nelle lettere.