SANSEVERINO, Girolamo
SANSEVERINO, Girolamo (Geronimo). – Nacque intorno al 1465, primogenito di Luca Sanseverino, principe di Bisignano e duca di San Marco, e di Gozzolina Ruffo, figlia del marchese di Crotone.
Proprio in quell’anno infatti re Ferrante approvò la cessione all’infante, da parte del padre (elevato a principe nello stesso anno), della contea di Chiaromonte con mero e misto imperio.
Alla morte del genitore, nel 1472, Girolamo gli successe nei vasti domini feudali, divenendo, insieme al cugino principe di Salerno, uno dei più potenti baroni del Regno. Fu dunque principe di Bisignano, duca di San Marco, conte di Tricarico, Chiaromonte, Altomonte e Cariati, nonché barone e signore di numerose altre terre in Principato Citra, Basilicata e Calabria. Secondo le volontà testamentarie del padre – in linea con una prassi comune alle famiglie aristocratiche dell’epoca – ai fratelli minori cedette invece i feudi meno antichi, come la contea di Mileto, che spettò al secondogenito Carlo.
Nell’estate del 1477 Sanseverino si recò in Spagna, insieme ad altri importanti baroni, fra cui il principe di Salerno, per condurre a Napoli la futura sposa del re Ferrante, Giovanna d’Aragona. Nella cerimonia nuziale, il 16 settembre, fu quindi portatore dello scettro della regina.
Nonostante la nomina a gran camerario e gli ampi privilegi accordatigli dal re nelle sue terre, già nella prima metà dei tumultuosi anni Ottanta – in un periodo contrassegnato da un pressoché continuo stato di belligeranza nel Regno – i rapporti fra Sanseverino e la Corona erano fortemente incrinati da reciproci sospetti. Un dispaccio dell’oratore sforzesco a Napoli al duca di Milano narra infatti di un acceso confronto avvenuto il 14 settembre 1482 tra il re, Girolamo e il principe di Salerno, Antonello Sanseverino.
Al di là dell’attendibilità dell’episodio, riportato peraltro da una fonte segreta, le argomentazioni presentate dai due baroni contro il sovrano sono in linea con quanto emerso dai più recenti studi. «Havendo richiesto molte volte licentia lo illustre principe de Bisignano da la maestà del signor re, per andare ale terre sue, [...] non l’ha potuta obtenire», si legge, e «ritrovandose cum el conte de Madalone dixe [...] era deliberato [...] de partirse per schiarirse una volta de quello se diceva qua de li factisoi, che era retenuto et confinato»; così, dopo un ennesimo rifiuto, «andò personalmente da la sua maestà et li dixe apertamente che intendeva cum bona licentia sua de andare al suo principato, perché era gran tempo che non havea vedute le cose sue», rinfacciando al sovrano di aver «tolto da anni XVI in qua, da luy et da li soi fratelli, più de centomillia ducati», e di non aver «puotuto tenere uno homo darme». La risposta di Ferrante fu altrettanto dura e lasciava trapelare una chiaro sospetto di tradimento – «Io credo che voi duy non siate sufficienti ad mettere questo Reame in libertate, né anche dargli altra forma de regerlo, come se rege di presente» –, al quale fecero seguito altre recriminazioni, da parte dei principi, sulla politica antibaronale dell’aragonese: «non havea tractati loro de boni subditi, facendose sempre puocha stima de li facti soi, et [...] li havea sempre tenuti stricti et bassi, tolendogli la robba et la reputatione» (Branda Castiglioni al duca, Napoli, in Archivio di Stato di Milano, Sforzesco Potenze estere, Napoli, 240, s.n.).
Nel corso della guerra contro Venezia, nel 1484, a Girolamo fu a ogni modo concesso, in un momento di estrema difficoltà, di recarsi in Calabria per difenderne le coste contro possibili azioni della flotta nemica, che difatti pose a sacco alcune sue terre nella contea di Cariati. E i Sanseverino non erano del resto i soli, come asseriva il re, a covare malcontento nei confronti della monarchia: i loro interessi si saldavano infatti a quelli di un vasto fronte eversivo composto da baroni e funzionari regi, come il segretario Antonello Petrucci e il conte di Sarno Francesco Coppola. Furono costoro che per primi contattarono Sanseverino nel 1485, e lo introdussero, complice anche la mediazione del cugino, in quella che passò alla storia come ‘congiura dei baroni’. Dopo essere intervenuto al convegno segreto di Melfi su invito del gran siniscalco Pietro de Guevara, dunque, Girolamo Sanseverino sottoscrisse a Napoli i capitoli della lega tra i cospiratori e si incontrò con gli altri esponenti di casa Sanseverino, per ritirarsi poi nei suoi possedimenti, ponendosi in assetto da guerra.
Proprio nel suo feudo di Miglionico, in Basilicata, si svolsero le trattative, frutto di una nota strategia di temporeggiamento condotta da ambo le parti tra i baroni prossimi alla ribellione e i delegati del re. Fra i capitoli dei patti di Miglionico, vi era il matrimonio fra il figlio del principe e Carlotta d’Aragona, figlia del secondogenito del re, Federico, la quale risiedeva in Francia e avrebbe portato in dote il principato di Squillace.
Girolamo Sanseverino fu poi a Salerno, dove finalmente, il 19 novembre, i congiurati benedirono e innalzarono le bandiere del pontefice, loro principale alleato nell’imminente conflitto. Nel castello di Antonello Sanseverino, in contemporanea, avvenne inoltre l’imprigionamento di Federico d’Aragona, atto verso il quale, forse, Girolamo manifestò una qualche opposizione; egli aveva d’altro canto ottenuto un salvacondotto regio per recarsi a Roma. Ormai il dado era tratto, ma Sanseverino rimase per qualche tempo in una situazione d’incertezza e non osò inizialmente far ritorno nel suo Stato. Il 9 dicembre era ancora a Salerno, trovandosi, come scrisse l’ambasciatore fiorentino Lanfredini, senza «difesa, né ghoverno» (Giovanni Lanfredini ai Dieci di Balia, Napoli, 9.X.1485, in Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini..., II, a cura di E. Scarton, 2002, p. 437), e a Napoli era stata oltretutto intercettata una sua lettera al papa, dove si evidenziava la difficile situazione in cui versavano i baroni ribelli. Ma dopo la fuga di Federico da Salerno Girolamo decise finalmente di tornare nei suoi domini per difenderli dalle truppe del re.
La spedizione subì tuttavia notevoli ritardi, anche perché c’era chi a corte sottovalutava il principe (contraddistinto da «viltà et pocha forza»: ibid., 13.II.1486, p. 497). Pur disponendo di solo tre-quattro squadre (circa ottanta uomini d’arme, secondo le stime di parte regia), nel febbraio del 1486 il Sanseverino campeggiò pertanto in Calabria, costringendo infine il sovrano a inviargli contro un nutrito contingente (900 cavalieri e più di 600 fanti) guidato da Federico d’Aragona, al sopraggiungere del quale lanciò segnali di disponibilità a un accordo (restituendo i cavalli sequestratigli a Salerno e facendo «movere certa pratica d’accordo», Ferrante a Luigi da Casale, Napoli, 16.V.1486, in Regis Ferdinandi..., a cura di L. Volpicella, 1916, p. 21). Costui, sfruttando la schiacciante superiorità numerica e contando sulla «mala contentezza de’ popoli» (1.VI.1486, p. 565), strappò Strongoli a Sanseverino (che aveva intanto occupato Castrovillari e Castelvetere) e attaccò le terre, meno difese, del conte di Mileto. Ciononostante, poco si confidava, a Napoli, in una definitiva resa.
La svolta si ebbe però alla fine di giugno, quando Girolamo subì, presso Montalto, una grave sconfitta campale da parte del principe aragonese, il quale aveva intanto stipulato una tregua con Carlo Sanseverino.
A questo punto, Girolamo inviò un’ambasceria al re, offrendo un accordo matrimoniale con Federico e dichiarandosi disposto a prestare omaggio, secondo quanto si era convenuto a Miglionico un anno prima; assicurò inoltre di poter ricondurre in breve alla fedeltà tutti gli altri baroni, e, qualora non vi fosse riuscito, garantì la consegna delle più importanti fortezze del suo Stato nelle mani del secondogenito.
Dopo mesi di trattative e temporeggiamenti, al ritorno nel Regno dell’erede al trono Alfonso II, Girolamo si recò a porgergli omaggio, temendo un’altra invasione nelle sue terre (23 novembre). Ottenuta la grazia, tornò dunque a Napoli a metà dicembre, presenziando al rientro del re nella capitale seguito dai baroni tornati alla fedeltà. Come gli altri coinvolti nella congiura, fu costretto a consegnare le sue fortezze nelle mani degli ufficiali del sovrano, il quale d’altro canto dissimulò i suoi veri disegni, facilitando la reintegrazione della contestata autorità di Sanseverino nelle sue terre.
La notte del 4 luglio 1487 Ferrante fece però arrestare Girolamo e altri fra i principali baroni durante il banchetto nuziale del figlio del conte di Sarno. Dopo la confessione, fu recluso in Castel Nuovo. Per gli anni successivi mancano notizie, e a Napoli circolarono diverse voci sulla sua morte, ma egli sopravvisse in prigione fino alla conquista francese nel 1495. Con il titolo di principe di Bisignano, gli successe infine il primogenito Berardino – avuto dalla figlia del conte di Fondi Mannella Caetani –, esulato in Francia nel 1487.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Sforzesco Potenze estere, Napoli, 240, Branda Castiglioni al duca (da Napoli), s.n.; G. Albino, De gestis regum Neapolitanorum ab Aragonia qui extant libri quatuor, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’istoria generale del Regno di Napoli..., V, a cura di G. Gravier, Napoli 1769, pp. 37 s. e passim; G. Passero, Storie in forma di giornali, a cura di V.M. Altobelli, Napoli 1785, ad ind.; Cronaca di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, ad ind.; C. Porzio, La Congiura de’ baroni del regno di Napoli contra il re Ferdinando I, a cura di S. d’Aloe, Napoli 1859, pp. 72 s. e passim; J. Leostello, Effemeridi delle cose fatte per il duca di Calabria (1484-1491), in Documenti per la storia, le arti e le industrie delle province napoletane, I, a cura di G. Filangieri, Napoli 1883, ad ind.; Regis Ferdinandi primi instructionum liber: 10 maggio 1486-10 maggio 1488, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 424-428 e passim; Per la storia della congiura dei baroni: documenti inediti dell’archivio estense, 1485-1487, a cura di G. Paladino, in Archivio storico per le province napoletane, XLIV (1919), pp. 336-367 e passim (in partic. pp. 344, 346), XLV (1920), pp. 128-151, 325-351, XLVI (1921), pp. 221-265, XLVIII (1923), pp. 219-290; Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, I, Giovanni Lanfredini (13 aprile 1484-9 maggio 1485), a cura di E. Scarton, Salerno 2005, ad ind.; II, Giovanni Lanfredini (maggio 1485-ottobre 1486), a cura di E. Scarton, 2002, ad ind.; III, Corrispondenza di Bernardo Rucellai (ottobre 1486 - agosto 1487), a cura di P. Meli, Battipaglia 2013, ad indicem.
G. Paladino, Un episodio della congiura dei baroni: la pace di Miglionico (1485), Napoli 1919, p. 15 e passim; E. Scarton, La congiura dei baroni del 1486-87 e la sorte dei ribelli, in Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona. Studi sulle corrispondenze diplomatiche, a cura di F. Senatore - F. Storti, Napoli 2011, pp. 213-290 (in partic. p. 216) e passim.