Ruscelli, Girolamo
Letterato viterbese del sec. XVI (morto a Venezia nel 1566); entrò più volte nella scia delle discussioni linguistiche inaugurate dalle Prose bembiane. E per suggestione di quell'esempio più che per meditazione personale ebbe più volte a censurare il dettato della Commedia, contrapponendogli quelli del canzoniere petrarchesco e del Furioso, ovvero più in generale confutando il primato fiorentino.
Ciò avviene sparsamente nell'edizione del Decameron da lui curata (Venezia 1553), nei Tre discorsi a Lodovico Dolce (ibid. 1553, p. 99 D. " ebbe in tanta considerazione l'importanza della rima, che, piuttosto che usarla falsa, si metteva ad usar parole stranissime, a mutar le buone dell'ordine et regola o natura loro "), nei Commentarii della lingua italiana (annunciati nel 1556 ma pubblicati postumi), e con maggior continuità e determinazione nel trattato Del modo di comporre in versi nella lingua italiana, cui sono aggiunti un Rimario e un Vocabolario (ibid. 1559).
Riprovando l'abuso dello iato e della dieresi da parte di molti rimatori, ne fa risalire l'origine a D. e alla sua " immensa trascuraggine " (cita If I 128, II 83, dove legge giù, III 11 e V 57, dove legge Cleopatra), come alla sua " licenziosità " è da attribuire, secondo il R., la consuetudine di non finire il pensiero con la terzina (cita If V 7 ss.). I vocaboli danteschi più recisamente condannati, e con vario accompagnamento ironico, risultano: accline - aguglia - approcciare - beninanza - biscazzare - brogliare - burella - chiappa - fiala - fiotto - insollare - introcque - inventrarsi - issa - mirrare - quinci - scipare.
In reazione agli appunti del R. insorsero a difendere D., fra gli altri, il Lasca con due sonetti e il Borghini col saggio lessico-grafico Ruscelleide.
Bibl.-M. Barbi, Della fortuna di D. nel secolo XVI, Pisa 1890, 18, 52; C. Arlia, prefazione a V. Borghini, Ruscelleide, Città di Castello 1898. I sonetti del Lasca, in Poesie di mille autori intorno a D., a c. di C. Del Balzo, V, Roma 1897, 260, 262.