RICCINI, Girolamo
– Nacque a Modena il 29 settembre 1793, figlio del conte Niccolò e di Caterina Vecchi.
Appartenente a una nobile famiglia modenese, iscritta nel Libro d'oro del ducato, fin dall'avvento del regno di Francesco IV, nel 1814, fece parte del corpo delle sue guardie nobili, da cui uscì per intraprendere la carriera nell'alta burocrazia ducale, inizialmente come caposezione dell'Intendenza generale dei beni camerali ed ecclesiastici.
Sposò nel 1814 la contessa Ferdinanda Montanari di Parma e dall'unione nacque l'anno successivo un'unica figlia, Maria, avviata già dall'età di sette anni alla carriera monastica nel convento cittadino delle salesiane, ma prematuramente scomparsa nel 1831. Il clima di profonda e altera religiosità ultramontana che regnava in famiglia era testimoniato del resto dagli interessi della moglie, prima traduttrice alla metà degli anni Venti, sotto la guida dell'abate Giuseppe Baraldi, dell’Essai sur l’indifférence en matière de réligion e della Défense de l’Essai sur l’indifférence di Lamennais, e dal livello di integrazione dei coniugi Riccini nel circuito dei seguaci italiani dell'apologista bretone. Quest'ultimo fu da loro ospitato in occasione della tappa modenese del suo viaggio in Italia del 1824 e in quegli stessi anni entrarono nella ristretta cerchia degli amici di Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa, ormai esule dalla sua Napoli. Era stata proprio la mediazione di Riccini a favorire fin dal 1822 l'avvio dei rapporti fra Canosa e Francesco IV. Con la crescente influenza a corte dell'amico conte, divenuto nel tempo ciambellano del sovrano modenese, intendente dei beni camerali ed ecclesiastici e infine suo consigliere di Stato, nel settembre del 1830 Canosa, cacciato dalla Toscana, riuscì a trasferirsi a Modena alloggiando direttamente a casa Riccini. Grazie al clima di paura e di reazione seguito al fallimento della congiura estense del 1831 e all'esecuzione di Ciro Menotti, si schiusero per lui nuove possibilità di ritrovare un ruolo politicamente influente proprio al servizio del duca. Ritagliatosi l'informale ruolo di consigliere privato del principe, il suo rinnovato protagonismo fu rafforzato dalla promozione in dicembre di Riccini a governatore della città e provincia di Modena e a capo del ministero del Buon Governo da poco istituito. Affiancato da uomini al soldo di Canosa, come il direttore generale di polizia Francesco Garofolo, Riccini instaurò un cupo clima poliziesco: Modena divenne l'avamposto della reazione italiana e il centro della rivincita del cattolicesimo intransigente più oltranzista. I sospetti alimentati dai recenti avvenimenti, i timori del duca di essere vittima di macchinazioni e attentati e la sua volontà di apparir inflessibile contro carbonari e liberali agli occhi dell'Austria dopo le ambiguità della congiura del 1831 favorirono persecuzioni arbitrarie contro cospiratori veri o presunti in cui i metodi diffamatori e la falsificazione di prove divennero una pratica frequente.
Fu in quel contesto di abusi e di montature giudiziarie che Riccini fu al centro di un oscuro caso riguardante Giuseppe Ricci, fidata guardia nobile di Francesco IV. Contro quest'ultimo, verso il quale nutriva forse rancori personali per questioni private, Riccini avanzò l'accusa di aver cospirato per uccidere il duca, avvalendosi come principale prova della testimonianza di due ergastolani detenuti per reati comuni. Malgrado i deboli e contraddittori indizi raccolti, Riccini ottenne dal sovrano la condanna a morte nel luglio 1832 di Ricci, che, stante la notorietà di quest'ultimo fra gli stessi ambienti aristocratici e la buona società cittadina, contribuì a rafforzare la sua posizione agli occhi del duca, ma gli valse una larga impopolarità.
Dissapori sorti attorno al caso Ricci fra Canosa e Garofolo, da un lato, e il ministro estense, dall'altro, concorsero nel frattempo ai primi segnali di crisi nel gruppo sanfedista che guidava il ducato. A logorare definitivamente i rapporti di lunga amicizia tra Canosa e Riccini influì nei mesi a venire l'evoluzione delle teorie di Lamennais, al quale la contessa Ferdinanda era rimasta sostanzialmente fedele, arrivando a ospitare per molte settimane in casa propria il padre Gioacchino Ventura superstite lamennesiano divenuto ormai acerrimo nemico del principe napoletano; ma alla rottura contribuì soprattutto la crescente insofferenza di Riccini per l'ingerenza di Canosa e dei suoi fiduciari nelle questioni interne del suo ministero e del governo dello Stato; espulso prima Garofolo dal ducato, nel febbraio del 1834, di fronte alla sfiducia di Francesco IV, fomentata dalle mire personali di Riccini, anche Canosa fu costretto a lasciare Modena.
Da allora i due ex amici furono divisi da una lotta senza quartiere, che proseguì fino alla morte nel 1838 di Canosa a suon di libelli, articoli infamanti e lettere calunniose, e che neppure la mediazione della curia romana riuscì a sedare, come riferito dallo stesso Riccini nell'opuscolo Prove di fatto prodotte dal conte G. R. contro le calunnie divulgate dal Principe di Canosa (Modena 1835).
Alla morte di Francesco IV agli inizi del 1846, Riccini – inviso al figlio Francesco V che lo congedò con un ricco vitalizio annuo – si ritirò a Venezia, dove già aveva diversi possedimenti. Qui, nella stagione rivoluzionaria del 1848-49, fu raggiunto da un provvedimento di fermo e di sequestro di tutti i suoi beni notificato dal governo repubblicano presieduto da Daniele Manin, ma inviato dall'esecutivo provvisorio della sua città natale. Le molteplici voci circolanti contro di lui e la sua impopolarità, amplificate dalla pubblicazione postuma nei primi mesi del 1848 delle compromettenti memorie lasciate alla sua morte nel 1835 da Garofolo sul caso Ricci (Confessioni di Francesco Garofalo ex direttore di polizia in Modena, Modena 1848), favorirono alcune denunce verso l'ex ministro che spinsero il nuovo governo modenese ad avviare fra i primi suoi atti un processo di riabilitazione per Ricci e a intentare un più ampio procedimento contro il quindicennio di governo di Riccini. Quest'ultimo rispose tramite la stampa, fra il 1848 e il 1850, di alcuni opuscoli che, secondo lo stile apologetico della pamphlettistica controrivoluzionaria da cui proveniva, formulavano un'autodifesa senza macchie del proprio operato. Senza rispondere nel merito alle accuse, a partire da quelle più infamanti su Ricci, il conte si presentava come un mero esecutore di ordini superiori, cercando di relativizzare le proprie colpe e scaricando per intero la responsabilità di eventuali errori su Canosa, sui suoi uomini e su Francesco IV. Inoltre con suppliche e lettere inviate al governo veneziano e a Carlo Alberto si assolse dipingendosi come l'elemento moderatore degli eccessi del duca e sostenendo di essersi congedato lui stesso dal figlio per aver cercato invano di limitarne i propositi gesuitici e per aver egli rifiutato migliorie e riforme già proposte al padre. Malgrado tali insinuazioni, con il completamento della seconda Restaurazione fece immediato atto di sottomissione al ripristinato sovrano dal quale ottenne il rapido dissequestro dei beni. La ripresa dei lavori del processo Ricci, su istanza dello stesso Riccini che voleva forse approfittare del clima politico favorevole per ottenere definitiva discolpa, si interruppe tuttavia tre anni più tardi. Il procedimento, riattivato nel quadro completamente mutato del 1859, fu definitivamente concluso il 6 marzo del 1865 con una sentenza di condanna per Riccini per atroce calunnia e per istigazione alla falsa testimonianza.
La sentenza rimase tuttavia senza attuazione per la contestuale scomparsa del conte modenese morto a Venezia in un palazzo di sua proprietà giusto tre giorni prima, il 3 marzo 1865.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Archivio Riccini, bb. 1 e 2; diverse lettere di Riccini a e da Canosa in Arch. Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Carte Canosa, bb. 2, 3 e 4, e in Arch. di Stato di Napoli, Arch. Borbone, Carte Canosa, n. 747; oltre cento lettere di Riccini al suo segretario al ministero Francesco Bartolomasi sono depositate presso la Biblioteca Universitaria Estense, Raccolta Sorbelli (su cui si veda: G. Mazzatinti - A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, LXXII, Firenze 1940, p. 183). Inoltre: N. Bianchi, I ducati Estensi dall’anno 1815 all’anno 1850, Torino 1852, pp. 98-140; U. Dallari, Fra vittime e strumenti della reazione negli stati austro-estensi. Dai processi per le congiure Ricci, Mattioli, Veratti (1832-1836) a quello contro l'ex ministro Riccini e i suoi satelliti (1848-1865). Notizie d'archivio, in L'Archiginnasio, XIII (1918), 3, pp. 91-114; A. Sorbelli, La rivendicazione di una vittima. G. R. e la revisione del processo Ricci, Roma 1918; W. Maturi, Il principe di Canosa, Firenze 1944, ad ind.; G. Manni, La polemica cattolica nel Ducato di Modena,1815-1861, Modena 1968, ad ind.; G. Sorrentino, L’Affaire Giuseppe Ricci. Perché una guardia nobile di Francesco IV è ricordata sul monumento a Ciro Menotti, Modena 2010.