RIARIO, Girolamo
RIARIO, Girolamo. – Figlio di Paolo e di Bianca della Rovere, nacque a Savona il 27 febbraio 1443. La madre era figlia di Leonardo Della Rovere e quindi sorella di Francesco, dal 1471 papa con il nome di Sisto IV. Dal matrimonio nacquero altri tre figli (Pietro, Domenico, Bartolomeo) e tre figlie (Violante, Isabella, Petruccia).
Lo stretto rapporto di parentela con il pontefice fu decisivo nell’indirizzare la carriera pubblica di Riario, determinandone la rapidissima ascesa, ma anche, morto lo zio nel 1484, l’inarrestabile declino e la rovina finale. Le notizie su Riario sono scarse e incerte per gli anni giovanili, addensandosi invece a partire dall’elezione di Sisto IV, e facendosi poi assai ricche e puntuali, grazie alle cronache di Leone Cobelli e di Andrea Bernardi, per gli ultimi anni di vita (1480-88), durante i quali i Riario tennero la signoria di Imola e Forlì.
Fin dai primi tempi del suo pontificato, Sisto IV, eletto il 9 agosto 1471, dedicò attenzioni amorevoli ai suoi quindici nipoti, facendo in particolare dei due prediletti, Pietro e Girolamo, i protagonisti di un progetto politico complesso e ambizioso. Il primo passo fu l’acquisto della signoria di Imola da Galeazzo Sforza. L’operazione, avviata nel 1472 da Pietro, cardinale appena ventiseienne ma già tesoriere pontificio e legato per l’Italia, fu coronata dalla promessa di matrimonio, stipulata il 17 gennaio 1473, fra Girolamo, allora trentenne, e la figlia naturale di Galeazzo, Caterina Sforza, che all’epoca aveva appena dieci anni. Con il sostegno di questi potenti legami parentali, Riario iniziò nei primi mesi del 1473 la sua carriera politica, mentre Pietro continuava a Venezia la sua missione diplomatica.
Ammalatosi improvvisamente, Pietro rientrò a Roma, dove morì, in sospetto di veleno, il 5 gennaio 1474. Affranto dalla perdita dell’amatissimo nipote, Sisto IV riversò allora tutte le sue attese sull’altro nipote, Girolamo, che già aveva nominato, con bolla del 16 febbraio 1473, comandante generale delle truppe papali e governatore di Imola. Fu proprio quella nomina a connotare, negli anni a venire, la figura pubblica di Riario: con in mano il bastone, insegna del comando supremo delle truppe papali, Sandro Botticelli lo ritrasse nel 1481 sulla parete sinistra della Cappella Sistina. Agli incarichi militari che gli conferì il pontefice si affiancarono, dal marzo 1474, quelli di Galeazzo Sforza, che lo investì del comando delle truppe ducali fra Po e Appennino. Nel frattempo Riario aveva preso possesso di Imola e ricevuto, il 10 febbraio 1474, l’omaggio degli Anziani e le chiavi della città. Nei giorni successivi, anche le rocche di Dozza e Tossignano e le altre del territorio imolese si consegnarono al signore, che poteva così avviare un impegnativo programma di rinnovamento urbanistico e architettonico in quel complesso sistema di fortificazioni dagli elevati valori militari e strategici.
Sistemate con la mediazione del papa le questioni del confine occidentale, restavano aperte quelle del versante Nord (verso Ferrara) e di quello Sud (verso Firenze). Riario procedette dunque a rafforzare, con la collaborazione di Danesio Maineri, già ingegnere militare degli Sforza, le rocche di Piancandoli, Monte Battaglia e Oriolo, affacciate sul confine meridionale, e quella di Bagnara, avamposto imolese nella pianura settentrionale, che rivestiva notevole importanza strategica e fu pertanto oggetto di ripetuti interventi fra il 1474 e il 1479. Le maggiori attenzioni e l’impegno finanziario più intenso furono dedicati, tuttavia, alla rocca cittadina di Imola, estremo baluardo della signoria già rafforzato in epoca sforzesca, ma ora (1474-82) completamente revisionato, con significativi interventi sui lati settentrionale e orientale e sulle relative porte: quella orientale vide l’aggiunta di un rivellino esterno, mentre quella settentrionale fu ricostruita ex novo nel 1482.
Per questi lavori Riario si affidò ai progetti di Gian Lodovico Menghi e all’opera muraria di Giorgio Marchesi, detto Fiorentino, protagonista quest’ultimo, insieme con i figli e collaboratori Antonio e Checco, dei numerosi interventi di architettura civile e militare realizzati in quegli anni a Imola, ma anche a Forlì, come testimoniano Leone Cobelli (1874, pp. 265 s.) e Andrea Bernardi (1895, pp. 57 s.).
Nel frattempo la situazione politica andava rapidamente evolvendo, con profonde ripercussioni sulla vita familiare di Riario. Alla morte di Galeazzo Sforza, assassinato il 26 dicembre 1476, la figlia Caterina, appena tredicenne, si apprestava a lasciare Milano per raggiungere il marito, che nel frattempo si era stabilmente insediato a Roma, presso la corte papale: in piedi di fronte a Sisto IV lo raffigura, nel 1477, Melozzo da Forlì, nel celeberrimo affresco che ricorda la nomina del Platina (Bartolomeo Sacchi) a prefetto della Biblioteca Vaticana. Il 26 maggio di quello stesso anno, dopo una breve sosta a Imola, Caterina Sforza fece il suo ingresso solenne a Roma, dove l’attendeva un grande torneo equestre in piazza Navona, organizzato da Riario in suo onore. A Roma, in rapida successione, nacquero i primi tre figli della coppia: Bianca nel 1478, Ottaviano nel 1479, Cesare nel 1480. A Forlì e Imola sarebbero nati invece, dopo la morte di Sisto IV, gli altri tre figli: Giacomo Livio nel 1484, Galeazzo nel 1485 e Francesco Sforza, detto Sforzino, nel 1487. Gli anni fra il 1477 e il 1484, trascorsi prevalentemente a Roma, furono probabilmente i più felici per Riario e di certo quelli in cui più intenso fu il suo coinvolgimento sia nella vita politica sia nella committenza artistica.
Attribuendo al nipote la signoria di Imola (1473) e più tardi (1480) quella di Forlì, Sisto IV intendeva farne un argine contro le ambizioni di Firenze nella zona, ma l’impegno di Riario nella politica antimedicea del papa fu ancor più diretto in occasione della congiura dei Pazzi. Già nel 1477 egli si era accordato con Francesco Salviati, dal 1474 arcivescovo di Pisa, e con Franceschino Pazzi, rivale in affari e avversario politico dei Medici, per affidare a Giovanni Battista da Montesecco l’incarico di organizzare l’uccisione di Lorenzo de’ Medici e del fratello Giuliano. Nel progetto era coinvolto anche Raffaele Riario, nipote di Girolamo in quanto figlio della sorella Violante: da poco eletto cardinale, Raffaele fu onorato con pubblici festeggiamenti in S. Maria del Fiore, organizzati da Salviati e da Franceschino Pazzi, e proprio durante quella cerimonia, domenica 26 aprile 1478, scattò la trappola mortale. Nel frattempo, le truppe imolesi e quelle aretine, guidate da Riario, erano pronte per occupare Firenze. La congiura, come noto, fallì: Giuliano fu ucciso, ma Lorenzo scampò all’agguato e fece arrestare e impiccare i congiurati, tutti tranne Raffaele Riario, imprigionato e trattenuto in ostaggio. La prigionia del cardinale costò l’interdetto a Firenze e la scomunica a Lorenzo. Sisto IV negò ogni coinvolgimento nel complotto, anche se la responsabilità diretta, sua e di Girolamo, emerse ampiamente durante l’interrogatorio del Montesecco.
Il confronto politico e militare tra Firenze e il Papato, forte dell’alleanza del Regno di Napoli, durò con esiti incerti per tutto il 1479, finché Lorenzo de’ Medici, accordandosi con Ferrante d’Aragona, privò il papa del suo più potente alleato. Nella nuova situazione Sisto IV fu indotto a cercare il sostegno di Venezia, per frenare l’avanzata verso Sud di Ercole d’Este, alleato dei Medici. Perno di questa nuova alleanza militare fra il Papato e i veneziani fu proprio Riario, che dall’agosto del 1480 era anche signore di Forlì, oltre che guida delle truppe pontificie nella guerra contro Ferrara. Quel conflitto si chiuse nel novembre del 1482, con la mediazione imperiale, e da quel momento Riario fu nelle condizioni di rientrare stabilmente a Roma. Qui d’altra parte, nel decennio 1474-84, trascorse gran parte del suo tempo, a parte, appunto, le spedizioni militari e alcuni brevi soggiorni a Imola e Forlì.
A Roma contribuì in modo significativo al grande processo di trasformazione urbanistica e architettonica avviato in città da Sisto IV. Già dal 1477 aveva terminato la costruzione del palazzo di famiglia, presso la chiesa dei Ss. Apostoli. Alla direzione dei lavori era stato chiamato Melozzo da Forlì, che già aveva seguito quelli della Biblioteca Sistina, con cui in effetti il palazzo Riario presentava alcune analogie architettoniche. Intitolato a s. Caterina, in onore della moglie, quel palazzo fu la residenza preferita della coppia e nel 1483 Riario lo donò al figlio maggiore, Ottaviano. L’edificio, oggi noto come palazzo Altemps, conserva ben pochi elementi della costruzione originale. Terminato nel dicembre del 1477 il palazzo di città, Riario si dedicò alla residenza estiva. Per la villa fu scelta la zona di Trastevere ai piedi del Gianicolo, collegata al centro dal nuovo ponte Sisto. Il risultato fu un grande edificio, con doppio ordine di colonne sul retro, belvedere, giardino all’italiana e un ampio parco: la villa, oggi palazzo Corsini in via della Lungara, divenne celebre nel Seicento per avere ospitato a lungo la regina Cristina di Svezia. Da appassionato cacciatore e secondo la moda dell’epoca, Riario volle pure costruirsi un’adeguata residenza di caccia, per la quale scelse la zona della Magliana, boscosa, a quel tempo, e ricca di selvaggina. Qui furono organizzate battute di caccia, poi divenute leggendarie, come quella del 22 marzo 1480, in onore del principe di Sassonia, o quella del marzo successivo, cui parteciparono centinaia di cavalieri e battitori.
Questo periodo felice di successi mondani, imprese artistiche e grande floridezza economica si chiuse bruscamente per la famiglia Riario con la morte di Sisto IV, avvenuta il 12 agosto 1484. Segno inequivocabile del rivolgimento in atto, che coinvolgeva in modo drammatico Riario e i suoi, fu l’assalto al palazzo di famiglia, completamente devastato dalla folla il giorno stesso della morte del papa.
In realtà, in quel decennio (1474-84), pur trascorso prevalentemente a Roma, Riario aveva investito parte delle enormi risorse finanziarie concessegli da Sisto IV in numerosi lavori di architettura militare e civile a Imola e Forlì. Oltre ai già citati interventi alle rocche imolesi, realizzò sempre a Imola un importante programma di edilizia civile ispirato ai modelli architettonici che negli stessi anni stavano prendendo forma a Roma. Al termine di quel decennio, sia pure attraverso un processo evidentemente incompiuto, Imola si avviava con decisione verso un nuovo impianto urbano di impronta rinascimentale. Nell’altro polo della signoria Riario, Forlì, la presenza di Riario assunse, nelle sue strutture architettoniche, un connotato più decisamente difensivo e militare, anche perché qui il signore decise di fissare la sua dimora, quando i rivolgimenti seguiti alla morte di Sisto IV lo costrinsero a lasciare Roma. Subito dopo il suo ingresso solenne a Forlì, avvenuto nel luglio 1481, dedicò dunque le sue maggiori attenzioni al rafforzamento dell’antica rocca di Ravaldino e alla costruzione della contigua cittadella.
Lo scenario forlivese della signoria e delle sue relazioni politiche è certamente quello meglio illuminato dalle fonti narrative, che sono in genere, soprattutto per gli anni 1484-88, assai bene informate sugli intrighi di corte e si dichiarano più volte, almeno nel caso di Leone Cobelli, testimoni oculari delle vicende narrate. Apertamente favorevole a Riario, Cobelli gli attribuisce però la grave colpa di aver scelto in qualche caso collaboratori incapaci e infedeli, a partire dagli astrologi, che avrebbero dovuto fornire al signore consulenze adeguate per organizzare nel modo migliore il suo ingresso in città e invece fallirono completamente, non interpretando segni celesti, a dire del cronista evidentissimi, e quindi inducendo Riario a dare inizio alla sua signoria sotto auspici nefasti (Cobelli, 1874, pp. 262 s.). Nell’interpretazione di Cobelli, dunque, le negative congiunzioni astrali e le trame diaboliche di alcuni cortigiani condannarono al fallimento un’impresa che pure, nei suoi primi passi, aveva acceso nei cittadini numerose speranze.
Dando corso alle intenzioni sovrane del papa, uno dei primi atti della signoria di Riario era stato infatti quello di abolire il dazio del grano e tutti gli altri gravami sul traffico delle merci alle porte cittadine e sul commercio al minuto. Accolto con grande favore, questo intervento avviò in modo assai proficuo i primi rapporti fra città e signoria, anche se erano iniziati ben presto, prima ancora dell’ingresso di Riario a Forlì, i tentativi di ripristinare al potere i deposti Ordelaffi, complotti che si riproposero poi numerosi negli anni successivi: almeno quattro ne ricorda Cobelli, sei invece Bernardi, prima della congiura fatale dell’aprile 1488.
Fino al 1484, tuttavia, si trattò di colpi di mano messi in atto, appunto, da partigiani di Antonio Ordelaffi, cui la città aveva reagito con indifferenza se non con ostilità. Il che consentì al governatore Gian Francesco Tolentino di reprimere agevolmente, a esempio, la congiura del novembre 1481, così come quella dell’anno seguente, quando pure la minaccia proveniente dagli Ordelaffi venne resa più grave dagli equilibri delicati delle alleanze in cui Riario era coinvolto in occasione della guerra di Ferrara. In quella circostanza, infatti, gli interessi milanesi nella regione, ostili a Venezia, alleata del papa e di Riario nel conflitto con l’Estense, avevano indotto gli Sforza a favorire in qualche modo la pressione di Antonio Ordelaffi su Forlì, non per abbattere la signoria Riario, ma per indurre il papa ad allentare i suoi legami con i veneziani (Cobelli, 1874, pp. 278 s.).
Risolte queste difficoltà diplomatiche, ristabilendo nel 1483 buone relazioni con Milano, Napoli e Firenze, Riario poté recuperare il pieno controllo della situazione a Forlì e in Romagna. La sostanziale fragilità del suo sistema di potere si manifestò in tutta evidenza, come accennato, alla morte di Sisto IV (12 agosto 1484). Costretto ad abbandonare Roma, Riario si trasferì con tutta la famiglia a Forlì, poi a Imola dal settembre 1484 e di nuovo, stabilmente, a Forlì dal marzo successivo. Nonostante l’impegno che il cronista Bernardi (1895, p. 125) gli riconosce nell’affrontare la grave penuria alimentare di quell’anno, importando in città ingenti quantità di grano, la nuova situazione proponeva alla signoria difficoltà pressoché insormontabili, di ordine politico ma soprattutto finanziario. Privato del supporto dello zio, Riario fu ben presto incapace di far fronte alle necessità dell’apparato di governo. Fu quindi presa in esame la possibilità di reintrodurre i dazi solennemente aboliti al momento dell’ascesa al potere: nonostante il parere contrario dei suoi più intimi collaboratori, Andrea Chilini e Lodovico Orsi, Riario accolse l’opinione favorevole di Nicolò Pansecchi, notaio già partigiano degli Ordelaffi, e nel dicembre del 1485 impose al Consiglio cittadino la reintroduzione dei dazi delle pese, delle porte e del commercio al minuto.
Quella scelta viene valutata un gravissimo errore da Cobelli e certamente contribuì a intaccare in modo significativo la popolarità della signoria, che subì un altro colpo durissimo per le polemiche che seguirono, nel gennaio 1488, alla riforma dell’Estimo: più equa, almeno nelle intenzioni del signore, nei confronti dei contadini, quella riforma scontentava i grandi proprietari cittadini e aumentava il malumore tra i funzionari di corte. Si determinarono così le condizioni per l’organizzazione della congiura, a ordire la quale furono appunto alcuni dei personaggi più vicini al signore: Lodovico e Checco Orsi, quest’ultimo appaltatore del dazio della beccheria, Giacomo Ronchi e Lodovico Pansecchi.
Confidando nella passività del popolo forlivese, sempre più ostile a Riario per l’aumentata pressione fiscale, la sera del 14 aprile 1488, Checco Orsi, Ronchi e Pansecchi si introdussero con l’inganno nel palazzo della Signoria e accoltellarono a morte Riario. Nel frattempo si radunarono sulla piazza altri congiurati, fra cui Lodovico Orsi e numerosi suoi alleati: nel tumulto che ne seguì il palazzo fu completamente saccheggiato e il cadavere di Riario scaraventato dalla finestra, per essere orribilmente trascinato lungo la strada; il barisello, Antonio Alti da Montecchio, inseguito e raggiunto dalla folla, fu immediatamente linciato, mentre Caterina Sforza e i figli venivano imprigionati in casa degli Orsi.
Con uno stratagemma e con l’aiuto dello scalco di corte, Lodovico Ercolani, Caterina riuscì a sfuggire ai congiurati e a rifugiarsi nella rocca di Ravaldino, dove attese l’arrivo delle truppe sforzesche e di quelle bolognesi inviate dagli alleati Bentivoglio, che già il 28 aprile, due settimane dopo l’assassinio di Riario, erano alle porte di Forlì. Con l’appoggio dello zio Ludovico il Moro, interessato a contrastare le ambizioni veneziane in area romagnola, Caterina Sforza recuperò oltre a Forlì anche il controllo di Imola e, a poche settimane dalla morte del marito, iniziò a governare il suo Stato per conto del figlio maggiore, Ottaviano.
Fonti e Bibl.: P. Bonoli, Istoria della città di Forlì, II, Forlì 1826, pp. 199, 208-237; L. Cobelli, Cronache forlivesi, dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura di G. Carducci - E. Frati, Bologna 1874, pp. 258-267, 280-294, 302-318, 462; A. Bernardi, Cronache forlivesi, dal 1476 al 1517, a cura di G. Mazzatinti, I, 1, Bologna 1895, pp. 52-60, 65-83, 111 s., 125, 229; Annales Forolivienses ab origine urbis usque ad annum 1473, a cura di G. Mazzatinti, in RIS2, XXII, 2, Città di Castello 1903, ad ind.; P. Paschini, Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, pp. 242-268, 279-286; F. Mancini, Urbanistica rinascimentale a Imola da G. R. a Leonardo da Vinci, Imola 1979; A. Vasina, L’area emiliana e romagnola, in Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Torino 1987, pp. 234-248.