PIETRAPERZIA BARRESI, Girolamo
PIETRAPERZIA BARRESI, Girolamo. – Nacque in data imprecisata, con ogni probabilità fra il 1502 e il 1505, a Pietraperzia o a Palermo, da Matteo Barresi e da Antonella Valguarnera, figlia del conte di Assoro Vitale Valguarnera.
Il progenitore del casato, Abbone Barresi, era giunto in Sicilia al seguito del conte Ruggero ed era stato premiato per la sua fedeltà con la signoria di Pietraperzia e di altre terre circonvicine. Nel corso del Due e del Trecento, la famiglia Barresi, pur rimanendo sempre tra i più importanti lignaggi del Regno, era stata al centro di alterne vicende. Nella seconda metà del Quattrocento le fortune della famiglia divennero più salde: il 29 agosto 1470 a Giovanni Antonio II Barresi venne riconosciuto dal sovrano il titolo di barone di Pietraperzia; due anni dopo il figlio primogenito Matteo si trasferì stabilmente a Pietraperzia, dando così inizio ai lavori di restauro della rocca normanna che dominava l’abitato; il 12 ottobre 1474 gli venne concesso sui feudi di Pietraperzia e Convicino il mero e misto imperio. Alla morte di Giovanni Antonio II, il 15 ottobre 1510, il titolo feudale e i beni allodiali furono ereditati da Matteo che, in data imprecisata, sposò Antonella Valguarnera. I coniugi si adoperarono per rafforzare il prestigio del casato, da un lato non lesinando aiuti ai viceré in carica in Sicilia – come nell’aprile del 1513, quando erogarono un prestito di 500 scudi a Ugo de Moncada, di ritorno dall’Africa, per pagare le truppe –, dall’altro articolando una politica matrimoniale in grado di rendere più sicure le fortune familiari. Beatrice, con ogni probabilità la primogenita, andò sposa allo zio Giovanni Valguarnera, fratello della madre, succeduto a Vitale Valguarnera nel titolo nobiliare di barone di Assoro, mentre Sicilia, la secondogenita, sposò Artale Alagona, barone di Palazzolo.
Nel 1517, alla notizia della morte del re Ferdinando d’Aragona, Matteo Barresi partecipò, seppure in posizione defilata, ai tumulti contro il viceré Ugo de Moncada. L’operato svolto durante la turbolenta fase di passaggio dal regno di Ferdinando a quello di Carlo V d’Asburgo, una volta ristabilito un sereno clima politico, gli costò il bando dall’isola e la confisca di un terzo dei beni. Al fine di evitare tale severa condanna, egli, nell’autunno del 1518, raggiunse l’imperatore Carlo V, in quel momento a Barcellona, e ne ottenne il perdono e il totale reintegro nel possesso di beni e prerogative.
Tornato in Sicilia, Matteo si dedicò alla cura del patrimonio, apportando notevoli migliorie nella gestione fondiaria. I proventi ricavati dalle attività agricole nonché da diversi censi e rendite di proprietà della famiglia vennero destinati a opere che rendessero visibile il prestigio raggiunto. Il palazzo di Palermo, nel quartiere della Kalsa, fu rimodernato.
A Pietraperzia, la rocca di famiglia, a strapiombo sul monte, fu ristrutturata secondo dettami architettonici di matrice catalana. Una delle stanze più importanti della costruzione totalmente rinnovata era lo studiolo, all’interno del quale Matteo diede inizio a una copiosa collezione libraria. Sempre a Pietraperzia, nel 1521, Matteo promosse la costruzione del convento dei frati domenicani e, forse, anche di quello dei francescani conventuali. Nello stesso periodo furono avviati i lavori di ristrutturazione della chiesa madre di Pietraperzia: la ridotta costruzione di epoca normanna fu ampliata e decorata, affinché insieme alla cappella del castello, dedicata a S. Antonio Abate, potesse ospitare le sepolture monumentali dei principali membri della famiglia. Nei lavori vennero impegnate maestranze specializzate, probabilmente di provenienza lombarda, insieme a insigni artisti siciliani, come gli scultori Francesco Laurana e Antonello Gagini e il pittore Antonello de Crescenzo. Il mecenatismo di Giovanni Antonio II e di Matteo Barresi attirò presso la loro corte noti intellettuali: negli anni fra il 1508 e il 1515, furono presenti a Convicino e a Pietraperzia l’umanista andaluso Lucio Cristoforo Scobar e lo studioso agrigentino Nicolò Valle.
Girolamo, quindi, crebbe all’interno di una famiglia aristocratica in piena ascesa politica e in grado di apprezzare le novità che in moltissimi campi proponeva la cultura del tempo. La sua istruzione fu particolarmente curata: non si sa dove egli abbia ricevuto i primi insegnamenti, ma la presenza di Scobar a Convicino può indurre a far credere che quest’ultimo sia stato il suo maestro, tanto più che fra il 1517 e il 1518 Girolamo frequentò la scuola di grammatica aperta dallo studioso a Lentini. Successivamente, Girolamo si trasferì a Messina per seguire le lezioni del matematico Francesco Maurolico. Proprio a Girolamo sono dedicati i libri XIII, XIV e XV degli Elementa di Euclide, compresi da Maurolico negli Opuscula mathematica.
Il 31 luglio 1527 Girolamo sposò Antonia Ventimiglia, appartenente probabilmente all’importante casato del marchese di Geraci, nella chiesa palermitana del monastero di S. Caterina presso il Cassaro: il matrimonio fu breve, in quanto in data imprecisata, ma comunque anteriore al 1529, la sposa morì. Nel 1529, in viaggio per Lentini, Girolamo passò per il territorio di Licodia, principale residenza dei Santapau. Ospite al castello del marchese di Licodia, Giovanni Ponzio Santapau, Girolamo conobbe Antonia, la figlia maggiore del marchese e di Eleonora Branciforti.
Il 14 aprile 1529 furono stipulati i patti matrimoniali fra Girolamo e Antonia per mano del regio notaio Gregorio Catalano. La sposa portava in dote 23.000 fiorini oltre a un ricco corredo del valore di 2000 fiorini. In occasione del matrimonio, a Girolamo furono concesse le entrate dei feudi di Fontana Murata e di Alfano. Gli sposi, secondo i capitoli matrimoniali, avrebbero dovuto risiedere a Licodia o presso i genitori della sposa per almeno sei anni.
Tra gli ultimi giorni del 1531 e il 9 gennaio 1532, giorno in cui venne redatto l’inventario post mortem di Matteo Barresi dal notaio Giovan Tommaso de Scalcio di Calascibetta, il padre di Girolamo morì. Il 7 giugno 1533, a Messina, Girolamo, tramite un procuratore, fu investito del marchesato di Pietraperzia e Barrafranca e di tutti gli altri beni feudali. Non si sa se già in questa data egli fosse stato accusato di parricidio e della contestuale uccisione di due servi. In ogni caso, fino a quando il governo del Regno rimase nelle mani del viceré Ettore Pignatelli, duca di Monteleone, non si procedette contro il marchese di Pietraperzia.
Nel 1533, a Pietraperzia, Antonia diede alla luce Pietro, destinato a succedere a Girolamo alla guida del casato.
Il 7 marzo 1535, a Palermo giunse Carlo V, di ritorno dall’impresa di Tunisi: non si sa come né quando egli venne a conoscenza dell’accusa mossa a Girolamo. Fra i primi provvedimenti presi da Ferrante Gonzaga, viceré nominato il 3 novembre dall’imperatore nel frattempo passato a Napoli, vi furono l’incarcerazione e la tortura del marchese di Pietraperzia. Questi confessò l’omicidio del padre, soffocato con un cuscino, e dei suoi servitori, e indicò come suoi complici il suocero Giovanni Ponzio Santapau, marchese di Licodia, il cognato Ambrogio Santapau e Giovanni Valguarnera, barone di Assoro. Il viceré fermò gli accusati presenti a Palermo e mandò a prendere il barone di Assoro. Comunicato il suo operato al sovrano, Gonzaga ricevette ordini in merito: la causa non doveva essere giudicata dal viceré, ma affidata al tribunale della Gran Corte per i necessari approfondimenti.
Mentre il marito era in carcere, nel 1536, Antonia partorì, forse a Palermo, la secondogenita, Dorotea.
Nel maggio 1536, pur trovandosi detenuto in attesa delle decisioni imperiali, Girolamo diede un anticipo ad Antonio Gagini per la realizzazione di un mausoleo in marmo destinato ad accogliere le spoglie di Matteo e Antonella Barresi nella chiesa principale di Pietraperzia. L’opera, tuttavia, non fu mai consegnata al committente, ma venduta a un altro acquirente: tutto il denaro della famiglia Barresi, infatti, di lì a poco venne utilizzato per scagionare o, almeno, salvare dalla condanna a morte Girolamo.
L’arrivo di disposizioni di Carlo V, pregato di dar prova di clemenza, modificò l’atteggiamento di Gonzaga, in quel momento fortemente preoccupato dalle necessità finanziarie: bisognava ancora pagare le truppe che avevano partecipato alla presa di Tunisi ed era necessario indirizzare risorse ai presidi che in Africa tutelavano gli interessi spagnoli. I bisogni della corona non erano ignoti in Sicilia. Già in passato, inoltre, la famiglia Barresi aveva sostenuto finanziariamente gli sforzi del viceré. Pertanto, alla notizia che la condanna capitale di Girolamo era stata fissata per un giorno successivo all’8 aprile del 1537, la famiglia Barresi si attivò per giungere a una composizione finanziaria. Giovanni Ponzio Santapau, scagionato insieme agli altri dall’accusa di complicità, offrì 6000 ducati per evitare la morte del genero. Gonzaga accondiscese a trovare un accordo anche con il condannato, purché rendesse una somma da 25.000 a 30.000 ducati. Nel mese di maggio del 1537, in un momento critico Gonzaga accettò il denaro del marchese di Licodia, a patto di restituirlo qualora Carlo V non avesse ratificato la dilazione della condanna a Barresi. Poiché Carlo V negò il suo consenso, il viceré dovette annunciare che la sentenza sarebbe stata eseguita non appena restituito il prestito. Di fronte all’atteggiamento dell’imperatore, anche il Parlamento siciliano si attivò, chiedendo nella seduta del 25 febbraio del 1538 la grazia per il marchese. Girolamo, inoltre, propose di versare altro denaro oltre a quello dato dal suocero fino a giungere alla somma di 40.000 ducati: 12.000 sarebbero stati versati immediatamente, mentre i rimanenti 22.000 sarebbero stati pagati nell’arco di sei anni. Poiché Gonzaga era stato autorizzato da Carlo V a provvedere in qualsiasi modo alle spese militari, l’accordo con il marchese di Pietraperzia venne sottoscritto, salvo approvazione dell’imperatore. Carlo V, però, disconobbe le scelte del viceré e ricordò che il commissario della Crociata aveva condannato Girolamo al pagamento di 30.000 ducati.
L’amarezza per il contrordine ricevuto fu tale che Gonzaga, consapevole di non poter sciogliere gli accordi presi, scrisse all’imperatore che, se non avesse ratificato l’accordo, sarebbe stato pronto a ricevere egli stesso la punizione che sarebbe spettata a Girolamo Barresi: pertanto, Carlo V accondiscese alla transazione. Per saldare il debito, con ogni probabilità, si procedette alla vendita dei molti immobili presenti nell’inventario post mortem di Matteo e assenti nell’inventario post mortem di Pietro, scritto nel 1571. Fino alla conclusione del mandato di Gonzaga il marchese di Pietraperzia rimase segregato nel carcere di Castellammare a Palermo.
Nel 1547 giunse in Sicilia come viceré Juan de Vega, un uomo dal tratto autoritario che fece dell’esercizio della giustizia un’arma politica molto affilata. L’esecuzione del marchese di Pietraperzia fu fortemente voluta dal viceré. Il 23 marzo 1549, dopo aver fatto testamento e aver controfirmato i capitoli matrimoniali fra Dorotea, sua figlia, e Giovanni Branciforte, conte di Mazzarino, Girolamo Barresi fu decapitato sulla piazza di Castellammare. Pochi mesi dopo, la notte di Natale del 1549, nel castello di Licodia dove si era rifugiata, morì, probabilmente dopo aver bevuto una pozione letale, la moglie Antonia.
Nel 1550, il figlio Pietro fu insignito dei feudi di casa Barresi. Famoso fra i contemporanei per le notevoli doti intellettuali e per la passione per l’astronomia, egli ampliò la biblioteca di Pietraperzia. Insieme alla moglie Giulia Moncada, figlia di Francesco conte di Paternò e Caltanissetta, sposata nel 1550, Pietro diede impulso a una piccola ma famosa corte, dove si coltivava l’amore per la musica. Egli ricoprì anche cariche militari: fu nominato strategoto di Messina e capitano generale della milizia siciliana. Nel 1564 ebbe da Filippo II il titolo di principe di Pietraperzia. Morì il 30 settembre 1571, colpito da un fulmine mentre si trovava all’interno del castello avito. La leggenda vuole che egli, in virtù delle sue doti e della santità del suo comportamento, avesse previsto la data e le modalità della sua morte. Il suo corpo fu seppellito, insieme a quello della moglie, nella chiesa madre di Pietraperzia. Poiché Pietro non ebbe eredi, titoli e possedimenti passarono alla sorella Dorotea, per essere infine ereditati dal nipote Fabrizio Branciforti, che quest’ultima aveva avuto dal primo marito.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Palermo, Fondo Trabia, s. I, b. 10, b. 245, b. 468; Archivio di Stato di Parma, Gonzaga di Guastalla, b. 42/2 1535; F. M. D’Emmanuele e Caetani, marchese di Villabianca, Opuscoli palermitani storici, XXV, ms. Qq E 101 della Biblioteca comunale di Palermo; G. Ragusa, Siciliae Biblioteca recens, continens elogia Siculorum qui nostra vel nostrorum memoria literarum fama claruerunt ab anno 1500 ad annum 1700 distributa in centurias XX, ms. VII.F. 6-8 della Biblioteca regionale di Palermo; F. Maurolico, Ad Illustrissimum Dominum D. Hieronymum Barresium. Maurolyci Epistola (Messina, 9 luglio 1532), in Id., Opuscula mathematica, Venetijs, apud Franciscum Franciscium, 1575 (http://www.dm.unipi.it/pages/maurolic/ edizioni/epistola/propriae/prop-2.htm, 29 maggio 2015).
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