PAPINO, Girolamo
– Nacque a Lodi nell’ultimo decennio del XV secolo.
Entrato nell’Ordine dei predicatori, fu accettato come studente dello Studio bolognese di S. Domenico nel 1516, all’epoca di massimo prestigio dell’istituzione. Lì fu maestro degli studi (1533-35), lettore biblico (1534-35), baccelliere (1544-46) e infine reggente nel 1547-49. Frequentò anche lo Studio ferrarese, dove fu lector generalis (1536), incaricato della lettura di metafisica (1541-44) e si laureò in teologia il 20 aprile 1547.
La sua carriera si svolse a Ferrara, a stretto contatto con il duca Ercole II d’Este e con la corte, in particolare con il segretario ducale Alessandro Guarini. Non casuali sono le coincidenze fra l’iter di Papino e l’acutizzarsi del dissenso religioso nello Stato estense, che ai pontefici offriva il destro per pesanti intromissioni giudiziarie e amministrative, in vista di un futuro accorpamento del Ferrarese allo Stato pontificio. Consapevole di questi risvolti politici, il duca cercò costantemente di salvaguardare la propria giurisdizione. Il 6 giugno 1536, poco dopo l’emanazione del breve che imponeva l’estradizione a Roma di alcuni membri della corte della duchessa Renata di Francia resisi colpevoli di manifestazioni ereticali, fra Tommaso Maria Beccadelli da Bologna, padre provinciale della Lombardia inferiore nonché inquisitore di Modena e Ferrara, nominò Papino suo vicario per la città e la diocesi ferrarese.
Ciò non impedì al nuovo delegato di ispezionare anche Modena e la sua montagna, venendo così a conoscenza dell’esistenza dell’Accademia modenese e revisionando processi per stregoneria. Quest’ultima attività fu presto istituzionalizzata dal vescovo di Ferrara, il cardinal Giovanni Salviati, che il 20 aprile 1540 conferì a Papino la delega a inquisire nei casi di divinazione, incanti e sortilegi, ambito in cui gli inquisitori non esercitavano di norma la loro giurisdizione, a meno che non si trovassero davanti a casi con manifesto sapore di eresia.
Si instaurò dunque una stretta collaborazione fra il principe, il vescovo della città sede di corte e il vicario inquisitoriale, ben presto divenuto l’uomo di fiducia di Ercole II, che lo consultava di regola in materie teologiche e che sin dal 1540 ne sollecitò i superiori affinché lo nominassero inquisitore e lettore principale del suo Studio.
Nello stesso anno Papino fu scelto dal duca per seguire il processo di Camillo Renato, aggiungendosi all’inquisitore di Bologna, onde evitare che il procedimento venisse condotto al di fuori del dominio estense.
La sua carriera esemplifica bene una linea di tendenza bloccata dall’impulso dato allo sviluppo dell’Inquisizione romana da papa Paolo IV, ossia la creazione e l’attività di inquisitori strettamente dipendenti dalle autorità secolari. La nomina stessa di Papino a commissario generale dell’Inquisizione nel dominio estense (17 giugno 1550) e la conferma voluta da Giulio III del suo ruolo di inquisitore generale dello Stato (23 gennaio 1552), anziché di Ferrara e Modena com’era stato fino allora, implicavano il riconoscimento da parte del S. Uffizio dei confini del Ducato, senza contare che la scelta era caduta sul candidato desiderato dall’Este. Tanto favore fu dovuto ai conflitti costanti fra il pontefice e la congregazione del S. Uffizio, ancora in fase di organizzazione. In realtà, già il 20 ottobre 1548 con un apposito breve Papino era stato nominato inquisitore di Ferrara da Paolo III e non dalla congregazione dell’Inquisizione. I suoi superiori, che non ne gradivano lo spirito polemico ed erano al corrente dei sospetti di eresia che circolarono sul suo conto almeno dal 1548, ne avevano osteggiato la nomina sin dal 1540; particolarmente avverso fu il generale dell’Ordine, Francesco Romei da Castiglione, che gli contrappose il priore dei domenicani di Mantova, fra Paolo della Mirandola.
Quando le pressioni effettuate a Roma dal duca tramite il suo residente furono coronate dal breve, era appena scoppiato il caso della duchessa Renata, accusata di essere luterana. Falliti i tentativi di conversione voluti dal duca, dalla corte parigina e da Roma, nel 1554 ella subì un processo, conclusosi notoriamente senza sentenza e con il suo apparente rientro nell’ortodossia cattolica. Ad affiancare nel ruolo di giudice l’inquisitore generale di Francia Mathieu Ory fu di nuovo Papino, che probabilmente fece del suo meglio per evitare che si giungesse alla condanna. La perdita delle carte dell’Inquisizione ferrarese e l’eliminazione voluta dal duca dell’incartamento processuale della moglie insieme con tutte le carte di Papino subito dopo la morte di lui impediscono di comprenderne meglio il ruolo. Certo è che amministrò tutti i più importanti processi per eresia svoltisi a Ferrara e nel Ducato attorno alla metà del secolo e che più volte operò di concerto con il Consiglio di giustizia ducale: così fu per il calvinista faentino Fanino Fanini, giustiziato a Ferrara nell’agosto del 1550, e per Giorgio Siculo, morto strangolato in cella nel maggio del 1551 per non aver abiurato. Di Siculo si occupò anche il consigliere ducale Michele Franzino, vescovo di Casale Monferrato, sebbene sia ipotizzabile che a tenere le redini del processo per conto dell’Inquisizione romana sia stato Michele Ghislieri, il futuro Pio V.
Chiara fu la funzione di Papino come agente e portavoce ufficioso del duca anche al concilio di Trento nella fase bolognese (1547-48): inserito fra i theologi minores dell’assise grazie al patrocinio del principe, vi discusse i temi delle indulgenze, della confessione e del carattere sacrificale della messa. Sulle indulgenze relazionò, sostenendo la posizione più rigida, ossia considerandole atti di giustizia e non di misericordia, valide anche se concesse per ragioni di lucro. Il suo ricco carteggio risulta assai più interessante per le osservazioni politiche e per illuminarne il ruolo di emissario ducale e interlocutore dei prelati francesi, che non per le informazioni sul concilio.
Morì verosimilmente a Ferrara nei primi giorni del febbraio 1557.
Dopo la morte si scoprì il suo orientamento ereticale, che nel 1559 costrinse il duca a prenderne nettamente le distanze.
A dimostrarlo sta l’approvazione data all’Epistola alli cittadini di Riva di Trento di Giorgio Siculo (1550), ossia al più importante testo del nicodemismo italiano. La sua qualifica di eretico post mortem era già stata evidenziata da Bartolomeo Fontana, che tuttavia non ne conosceva le posizioni religiose. A Renato Raffaelli si deve una prima messa a punto sul rapporto fra Papino e Siculo, con l’individuazione del 1548 come presumibile anno d’inizio della conversione all’eterodossia: in quell’anno Siculo, fuggito da Riva di Trento, soggiornò a Bologna e frequentò gli ambienti conciliari.
A Papino si attribuiscono un commento alla Summa theologica e vari opuscoli filosofici sul pensiero di s. Tommaso. Tuttavia, l’unica opera rimasta è un trattatello datato 5 febbraio 1543 e scritto in forma di lettera al cardinale Giovanni Salviati, in cui Papino controbatté il contenuto di un’operetta di Bernardino Ochino uscita il 10 ottobre precedente (Milano, Biblioteca Ambrosiana, B.201 sussidio). Che si tratti di una reazione relativamente tardiva allo scritto di Ochino, condotta con argomenti di tipo genericamente morale e logico è spia ulteriore di un atteggiamento che avrebbe indotto Papino ad apprezzare le tesi radicalmente eterodosse di Siculo (Prosperi 2003).
Fonti e Bibl.:, Archivio di Stato di Modena, Inquisizione, bb. 1, 293; Carteggi e documenti di regolari, b. 88; Carteggio ambasciatori, Bologna, bb. 3/A-3/B; Roma, bb. 41, 58; Arch. per materie, Letterati, b. 58, f. Saracco Giovanni Battista il Seniore.
J. Quetif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum, II, Lutetiae Parisiorum 1721, pp. 133 s.; B. Fontana, Renata di Francia duchessa di Ferrara sui documenti dell’Archivio Estense, del Mediceo, del Gonzaga e dell’Archivio secreto Vaticano, II, Roma 1893, pp. 227-240, 250 s., 273-275, 279, 373 s., 380, 382 s., 421, 436 s., III, Roma 1899, p. 187; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secoli XV e XVI, Lucca 1901, pp. 144 s., 155; F. Valenti, Il carteggio di padre G. P. informatore estense dal Concilio di Trento durante il periodo bolognese, in Archivio storico italiano, CXXIV (1966), pp. 303-417; Nuovi documenti relativi ai docenti dello studio di Ferrara nel sec. XVI , a cura di A. Franceschini, Ferrara 1970, pp. 39, 45, 50, 57, 59, 256; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, III, Brescia 1973, pp. 110, 114, 122, 253, 257, 264, 484, 566 s.; R. Raffaelli, L’inquisitore inquisito, appendice a Id., Notizie intorno a Francesco Severi, ‘il medico di Argenta’, in Studi urbinati. Linguistica letteratura arte, LVI (1983), pp. 127-136; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, 2, Roma 1984, p. 788; A. D’Amato, I domenicani a Bologna, I, Bologna 1988, pp. 504, 507 s., 528; S. Pagano, Il processo di Endimio Calandra e l’Inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991, p. 95; A. Prosperi, L’eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000, ad ind.; Id., G. P. e Bernardino Ochino: documenti per la biografia di un inquisitore, in Id., L’Inquisizione romana. Letture e ricerche, Roma 2003, pp. 99-123; G. Dall’Olio, Ferrara, in Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, III, Pisa 2010, pp. 288 s.; L. Felici, Fanini, Fanino, ibid., p. 578; A. Prosperi, Giorgio Siculo, ibid., pp. 695-697; C. Franceschini, Renata di Francia, duchessa di Ferrara, ibid., pp. 1310-1312.