OLIVES, Girolamo
– Nacque a Sassari forse nel 1505 da Giacomo e da Costanza Sambigucci.
Il padre, avvocato, ricoprì alcune importanti cariche pubbliche: nel 1526 quella di consigliere en cap della municipalità sassarese; nel 1553-54 rappresentante delle città di Oristano e Castellaragonese nel Parlamento Heredía; nel 1555 sindacus di Sassari presso la corte spagnola; nel 1556 veghiere di Alghero.
Dopo i primi studi nella città natale Olives si laureò in utroque (non è noto dove, ma probabilmente in una università nella penisola). Tornato a Sassari, esercitò con successo l’avvocatura e scrisse dei Consilia legali, perduti ma costantemente richiamati nella sua opera maggiore.
Dal 1543 fu consultore nella visita generale del Regno avviata dal visitador aragonese Pedro Vaguer, vescovo di Alghero e commissario del S. Uffizio, per indagare sull’operato del viceré Antonio de Cardona e di altri ufficiali regi. Fu proprio Vaguer a favorire la sua nomina ad avvocato fiscale del Regno (25 febbraio 1545), in sostituzione di Jayme Mercier, accusato di malversazione. A lui toccò il compito, l’anno successivo, di recarsi a corte con gli atti della visita da sottoporre ai magistrati del Consiglio d’Aragona. Il 16 dicembre 1547 ottenne il privilegio di cavalierato.
Nel 1550 l’inquisitore di Sardegna chiese la sua rimozione da familiare del S. Uffizio per i conflitti giurisdizionali che opponevano la Suprema (il Consiglio dell'Inquisizione spagnola presieduto dall'inquisitore generale) al governo viceregio. In qualità di avvocato fiscale dovette far fronte, spesso con difficoltà, alle dure lotte municipali cagliaritane tra gli esponenti della borghesia mercantile e quelli della nobiltà feudale. Nel 1553 partecipò ai lavori del Parlamento Heredía adoperandosi nelle trattative con gli Stamenti per l’approvazione del donativo regio.
Il 25 maggio 1553 fu nominato – primo tra i magistrati sardi – avvocato fiscale nel Consiglio d’Aragona, col salario di 600 ducati annui (nomina confermata l’11 novembre 1554). Nella carta reale si accenna alle sue capacità («cuius fidem probitatem literarum peritia negotiorum», Barcellona, Archivo de la Corona de Aragón, Cancilleria, Sardiniae, reg. 4003, c. 39 v.). Il 9 novembre 1555 fu nominato avvocato fiscale patrimoniale nel medesimo Consiglio con un salario annuo di 500 lire castigliane. Da una lettera di Filippo II al maestro razionale del Regno di Sardegna (7 maggio 1560) si evince che risiedeva a Madrid da sei anni, dove si era trasferito nel 1554 insieme alla moglie, Angela Pilo, e ai quattro figli, ed era creditore degli arretrati del salario e del rimborso delle spese sostenute per il trasferimento in Spagna.
Le sue condizioni economiche non dovevano essere floride se il 2 novembre 1564 il sovrano gli concesse una licenza di saca per esportare 20 rasieri di grano (pari a circa 3500 litri) dal porto di Cagliari, franchi di diritti, per poter mantenere i figli agli studi a Valencia. Il 9 aprile 1565 il re espresse un giudizio positivo su di lui che, «seguendo mi persona» (ibid., reg. 4329, cc. 194v-195), aveva sbrigato molte pratiche: tuttavia i rimborsi e il salario non erano sufficienti «para sustentarse»; dispose quindi che gli venissero pagati 3466 reali castigliani di arretrati con un aumento di 2000 reali per i servizi resi. Nella consulta del 22 agosto 1568 a proposito del suo operato si spiega che, pur non ricoprendo la carica di reggente, «ne aveva svolto praticamente le funzioni in aggiunta a quelle di avvocato fiscale» (Arrieta Alberdi, 2010, p. 51); si afferma inoltre la necessità della presenza di un reggente sardo nel Consiglio d’Aragona a causa del gran numero di cause di appello provenienti dall’isola e dell’esigenza che almeno uno dei magistrati del tribunale supremo avesse una buona conoscenza del diritto e della linguadel Regno.
Negli anni del soggiorno a Madrid Olives portò a compimento i suoi Commentaria et glosa in Cartam de Logu, pubblicati nel 1567 a spese dell’autore in una bella e raffinata edizione presso la tipografia madrilena di Alfonso Gomez e Pedro Cosin: alla sua morte giacevano nella tipografia ancora 200 copie e il sovrano si impegnò presso il viceré affinché i volumi potessero essere venduti in Sardegna a profitto della vedova. Obiettivo di Olives era di fornire ai magistrati, ai burocrati, agli avvocati, ai notai, agli ufficiali regi un utile strumento per risolvere alla luce del diritto comune i casi posti dalla tradizione statutaria trecentesca e dalle consuetudini della Sardegna, dove nella seconda metà del Cinquecento la struttura giudiziaria si era ulteriormente dilatata e perfezionata con l’istituzione, nel 1564-73, del Tribunale supremo della Reale Udienza cagliaritana (non è noto quale ruolo abbia assolto Olives nella riforma delle magistrature del Regno) ed era notevolmente aumentato il numero delle fonti concorrenti (capitoli di corte parlamentari, prammatiche regie, bandi e grida viceregi); dopo la nascita dell’Audiencia l’attenzione dei giuristi iniziò a spostarsi, anche per esigenze pratiche, verso l’antica legislazione patria.
Olives incominciò a comporre i Commentaria dopo il 1555, cioè dopo la sua nomina nel Consejo madrileno: per il testo della Carta de logu, lo statuto territoriale d’Arborea emanato tra il 1390 e il 1392 dalla giudicessa Eleonora ed esteso nel 1421 alle terre feudali del Regno, utilizzò, oltre alle stampe precedenti, «un manoscritto disgraziatamente infetto da una assai mendosa litera e spesso capricciosamente corretto e supplito» (Besta, 1903-04, p. 7). Il testo rivela profonda conoscenza della normativa sarda, non soltanto di quella più antica dell’età giudicale e degli statuti pisani e genovesi, ma anche di quella più recente, come mostrano i continui riferimenti ai capitoli di corte e alle prammatiche del tempo, richiamati sempre – data la finalità essenzialmente pratica dell’opera – nei luoghi opportuni e nelle concordanze necessarie con le materie nelle quali la Carta de logu era stata emendata o integrata. Sono presenti ampie digressioni di carattere storico – per esempio quelle sulla sovranità dei giudici, sulle fonti locali più antiche (i cosiddetti «Condagues»), sulla genesi della Carta – dalle quali si evince un’indubbia familiarità con le vicende della Sardegna.
Dopo una succinta parafrasi del testo statutario, scritta in un latino piano, suddiviso sovente in particule, Olives offre una spiegazione dei termini in volgare sardo e analizza a fondo gli usi e le consuetudini locali – si veda, per esempio, la trattazione sul matrimonio a sa sardisca, considerato non come comunione universale di beni, ma solo dei frutti – per passare poi alle vere teorie giuridiche, costruite con spirito pragmatico su pochi elementi essenziali e, senza smarrirsi dinanzi ai contrasti di opinione e alle spesso sovrabbondanti citazioni allegate, giungere poi rapidamente alle deduzioni.
Gli istituti della Carta de logu furono continuamente posti al vaglio delle auctoritates delle fonti romane (per esempio per il reato di abigeato) e della dottrina dei giureconsulti. L’opera era di grande fruibilità proprio perché strutturata in commenti e glosse, sicché grazie a dettagliati indici l’interprete aveva a disposizione un prontuario maneggevole per la soluzione dei casi. Dalle premesse generali Olives scende assai spesso alla casistica (introdotta da un significativo quaero) e, riportando solo le teorie strettamente necessarie per convalidare la soluzione proposta, si avvia deciso alla conclusione. In alcuni casi, osservando, per esempio a proposito della rottura delle siepi e dello sconfinamento del bestiame nei campi recintati, contraddizioni nello stesso testo statutario, abbozza una teoria dell’interpretazione e del coordinamento delle norme contrastanti.
Si tratta, in sostanza, di un lavoro ermeneutico svolto su un complesso normativo consuetudinario ricorrendo a strumenti di un complesso differente, quello appunto del ius commune di cui Olives mostrava di essere «abbastanza consapevole della dottrina [...] contemporanea e precedente» (Cortese, 1964, p.1 38). I Commentaria sono stati a torto considerati espressione di una cultura giuridica arretrata (Mor, 1938, p 58 ): in realtà l’orizzonte culturale di Olives è quello tipico di un magistrato di un tribunale supremo del Cinquecento, fondato sui testi romanistici, sulla glossa, sull’autorità dei commentatori e sulla conoscenza di numerose opere contemporanee, in particolare i trattati di diritto penale e gli scritti dei giuristi spagnoli. Non è un caso, forse, che i Commentaria furono pubblicati a Madrid proprio l’anno in cui Filippo II promulgò (14 marzo 1567) la Nueva recopilación delle leggi castigliane. Nella capitale spagnola Olives poté respirare un clima di grande fervore, caratterizzato dal movimento di ricompilazione della normativa dei diversi regni della monarchia, dalla Navarra a Valencia, dai Paesi Baschi alla Catalogna, e dai commenti esplicativi dei fueros e delle leggi locali fra i quali poté probabilmente individuare i modelli per la sua opera. La scienza giuridica tradizionale, nella quale si riconosceva un alto magistrato come Olives, non era poi così distante dai canoni ai quali si rifacevano i giuristi che studiavano le fonti di altri ordinamenti, come le recopilaciones spagnole e il droit coutumier francese. In questa prospettiva la sua opera, spesso sottovalutata, andrebbe riconsiderata, tenendo soprattutto conto che i Commentaria, più che nell’ambito giuridico italiano vanno inseriti in quello spagnolo di metà Cinquecento.
I Commentaria costituiscono il primo emblematico tentativo della fondazione di un ius patrium del Regno di Sardegna e non tardarono ad affermarsi sia per l’indubbia utilità pratica che per l’autorevolezza dottrinaria dell’autore: furono ristampati tre volte, a Sassari nel 1617, a Cagliari nel 1708 e nel 1725.
Olives morì a Madrid il 12 giugno 1568. Filippo II concesse agli eredi la liquidazione dei salari arretrati e il 13 agosto 1571 accordò alla vedova una pensione annua di 200 ducati.
Fonti e Bibl.: Barcellona, Archivio de la Corona de Aragón, Cancilleria, Sardiniae, regg. 4002-4004, 4324-4325, 4328-4329, 4332-4333; Archivio di Stato di Cagliari, Antico Archivio Regio, BC 29, H7, H9; P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, III, Torino 1837, pp. 29-34 (ristampa anast. 1993); P. Martini, Biografia sarda, II, Cagliari 1838, pp. 339-342; G. Siotto Pintor, Storia letteraria di Sardegna, II, ibid. 1843, pp. 199-201; E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, in Studi sassaresi, s. 1, III (1903-04), n. 2, pp. 7 s.; C.G. Mor, Sul commento di G.O. giureconsulto sardo del sec. XVI alla “Carta de Logu” di Eleonora d’Arborea, in Testi e documenti per la storia del diritto agrario in Sardegna, a cura di A. Era, Sassari 1938, pp. 57-59; E. Cortese, Appunti di storia giuridica sarda, Milano 1964, pp. 138 s.; F. Sini, “Comente comandat sa lege”: diritto romano nella Carta de Logu d’Arborea, Torino 1997, ad ind.; J.J. Vidal, Mallorca y Cerdeña en tiempos de Felipe II…, in Sardegna, Spagna e Stati italiani nell’età di Filippo II, a cura di B. Anatra - F. Manconi, Cagliari 1999, pp. 273-276; A. Mattone, La «Carta de Logu» di Arborea tra diritto comune e diritto patrio (secoli XV-XVII), in La Carta de Logu d’Arborea nella storia del diritto medievale e moderno, a cura di I. Birocchi - A. Mattone, Roma-Bari, 2004, pp. 421-424, 462 s.; T. Olivari, Le edizioni a stampa della «Carta de Logu» (XV-XIX), ibid., pp. 165-180; J. Arrieta Alberdi, Giuristi e consiglieri sardi al servizio della Monarchia degli Asburgo, in Il Regno di Sardegna in età moderna. Saggi diversi, a cura di F. Manconi, Cagliari 2010, pp. 47-53; A. Mattone, G. O., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, p. 1455.