MUZIANO, Girolamo
– Nacque a Brescia nel 1532 da Marco, fabbricante di armi, milanese, e da Camilla Hometti bresciana, secondo la testimonianza di un’anonima biografia del 1584 (Procacci, 1954, p. 249).
Una tradizione risalente a Ottavio Rossi (1620) lo vorrebbe invece nato nella provincia bresciana di Acquafredda, ma non ci sono documenti a conforto di questa ipotesi; secondo Madini (1929) la famiglia Muziano si sarebbe trasferita a Brescia da Lodi.
Non si conosce nulla dell’apprendistato bresciano: di certo la sua pittura deve molto all’illustre predecessore Girolamo Savoldo, da cui egli mutuò suggestioni stilistiche e tematiche. La Vita del 1584 registra un precoce passaggio a Padova nel triennio 1544-46, presso la bottega di un ignoto Francesco Picchena. Qui adottò come guide artistiche due protagonisti della pittura locale, Lambert Sustris e Domenico Campagnola, reduci dalla bottega di Tiziano: sugli insegnamenti di costoro Muziano affinò la sua inclinazione alla pittura naturalista e al disegno di paesaggio, ricco di influssi nordici e lagunari, tratti costanti del suo percorso artistico. La biografia del 1584 ricorda anche opere realizzate a Padova «in casa di Francesco Marchesini, nella chiesa delli RR. Padri de i Servi in Padova» (Procacci, 1954, p. 249), di cui però non si hanno più tracce. Dal 1546 si spostò a Venezia per quattro anni.
Nel 1548 fu testimone a un atto rogato nella villa dei Barbaro a Maser, in compagnia di Giovan Battista Ponchino, un artista dell’entourage dei Grimani, presso la cui bottega egli forse soggiornò in laguna. Il fervido ambiente culturale della Serenissima arricchì il bagaglio di esperienze figurative di Muziano, impressionato soprattutto dal giovane Tintoretto. La diretta conoscenza di opere realizzate in Veneto dopo la sua partenza, come gli affreschi veronesiani di villa Barbaro (1561), lascia però ipotizzare che egli fosse tornato in laguna, anche dopo il suo trasferimento a Roma.
Nel 1549, si spostò nell’Urbe, dove divenne uno dei pittori più apprezzati, noto sin dai suoi esordi come «il giovane dei paesi» (Baglione, 1642, p. 391).
Il primo intervento romano è il paesaggio della Resurrezione di Battista Franco nella cappella Gabrielli in S. Maria sopra Minerva (1550), dove dipinse anche alcuni monocromi del sottarco. La città di papa Giulio III, scomparso Sebastiano del Piombo, era dominata dai toscani, tra cui Francesco Salviati e Giorgio Vasari: secondo Karel Van Mander, Muziano eseguì alcuni paesaggi (ora perduti) nella sala della Cleopatra nel Belvedere vaticano (1551-52), affiancando Daniele da Volterra, da cui desunse il linguaggio michelangiolesco dei primi lavori romani, come il S. Girolamo della Pinacoteca Vaticana. La prima opera pubblica autonoma a Roma è la Fuga in Egitto in S. Caterina della Rota (1552-53), dipinto murale che dovette vivamente impressionare il pubblico per la novità del notturno e del paesaggio lirico di intonazione bresciana. Agli anni 1552-54 risale un ciclo di affreschi con episodi delle Metamorfosi di Ovidio nel castello Cesarini a Rocca Sinibalda (vicino Rieti), singolare esempio di decorazione alla veneta trapiantata nelle campagne laziali, desunto testualmente dalle pitture di Sustris nella villa dei Vescovi di Luvigliano presso Padova. Nel primo lustro degli anni Cinquanta cadono anche alcuni lavori perduti: affreschi in una cappella dell’arcivescovo Francesco Colonna a Subiaco, nella cappella di Lelio de’ Scudieri ai Ss. Apostoli e nel presbiterio della medesima chiesa (1554). In questi stessi anni si colloca un’opera di grande impegno, la Resurrezione di Lazzaro (Pinacoteca Vaticana), dovuta anch’essa alla committenza dell’abate Colonna. L’enorme tela, riuscita sintesi di solennità sebastianesca e naturalismo lombardo, fu poi collocata nel palazzo Venezia, suscitando l’apprezzamento di Michelangelo e Raffaello da Montelupo.
Nell’ottobre 1555, sotto il vescovato di Girolamo Simoncelli fu chiamato nel cantiere pittorico del duomo di Orvieto.
Gli fu affidata una Resurrezione di Lazzaro (1555-56), dipinto che apre la strada a uno stile figurativo ‘orvietano’ postridentino, come a suo tempo evidenziato da Claudio Strinati (1980). La pala piacque molto ai fabbriceri, che gli richiesero un secondo quadro, la Salita al Calvario (1556-57). Si tratta delle prime due ancone di un grande ciclo dedicato ai miracoli di Cristo, destinato a decorare gli altari del duomo, smantellati alla fine dell’Ottocento. Nel 1557 la Fabbrica del duomo gli assegnò anche l’esecuzione degli stucchi in alcune cappelle, in collaborazione con Giovanni Antonio Dosio. L’attività orvietana di Muziano non si limitò a opere ecclesiastiche: entro il 1558 fu coinvolto nella decorazione profana della residenza del cardinale Simoncelli, nel vicino borgo di Torre San Severo. Nel 1559, lasciata Orvieto, eseguì nel duomo di Foligno un perduto affresco con Elisabetta d’Ungheria che risana gli ammalati, noto da un’incisione di Nicolas Beatrizet.
Rientrato a Roma già nell’aprile 1560, avendo rifiutato un invito di Alessandro Farnese per dipingere a Caprarola, Muziano divenne pittore di corte del cardinale Ippolito II d’Este, impegno a cui si dedicò quasi in esclusiva, per circa sei anni.
Questi lo incaricò di sovrintendere le decorazioni delle sue residenze di Monte Giordano e Monte Cavallo (attuale Quirinale) a Roma e di villa d’Este a Tivoli. Scomparsi i dipinti nelle prime due, ci restano quali testimonianze dell’attività per l’Este soltanto gli affreschi della residenza tiburtina, eseguiti nel 1565-67. Qui, ispirandosi alle vedute paesistiche realizzate da Veronese a villa Barbaro pochi anni prima e utilizzando i modelli di Campagnola e Sustris, affrescò alcuni memorabili cicli di paesaggio del tutto nuovi al contesto romano, coadiuvato da maestranze italiane e fiamminghe. Sempre per il cardinale d’Este, eseguì inoltre delle perdute Historie di Cristo, che furono probabilmente portate in Francia dal prelato.
Tra gli altri committenti romani negli anni Sessanta, figurano il cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano, per cui l’artista realizzò nel 1561, come dono per Filippo II, una tela con la Resurrezione della figlia di Jairo (Escorial), e monsignor Mathieu Cointrel (Matteo Contarelli), che incaricò Muziano nel 1565 delle pitture per il sacello in S. Luigi dei Francesi, mai eseguite. Il 1565 fu anche l’anno del matrimonio con la romana Ortensia Orsi, da cui ebbe sette figli: Angela (detta Cecilia), Vittoria, Marta, Plautilla, Giulio, Gregorio Francesco e Giovanni Francesco (molti dei quali morti in giovane età).
Nel 1566-68 fu impegnato alle tele con Storie di Cristo per la cappella dell’abate Filippo Ruiz in S. Caterina dei Funari, una delle sue opere più alte, ispirata a modelli lombardo-veneti. Ulteriori dipinti non rintracciati, ma menzionati dalla biografia del 1584, furono inoltre eseguiti per Louis de Saint-Gelais Lansac, Giovanni Formenti, Guglielmo Sangalletti e Niccolò Ormaneto, legati al partito filofrancese o in rapporto politico con la Serenissima.
Dagli anni Cinquanta Muziano aveva intrecciato un proficuo rapporto con incisori, a cui forniva disegni per stampe: fino al 1565 collaborò con Nicolas Beatrizet e a partire dal 1567 con Cornelis Cort. Nel 1573 strinse un sodalizio con quest’ultimo per l’esecuzione di una serie di stampe con eremiti, destinate a divenire un diffusissimo modello per siffatti soggetti controriformati. Inoltre, nel 1569 costituì una società per trasporre a stampa i rilievi della colonna Traiana, editi nel volume di Alonso Chacón, Historia utriusque belli Dacici a Traiano Caesare gesti (Roma 1576).
Il pontificato di Gregorio XIII vide la piena affermazione di Muziano: nel 1573-74, Contarelli, divenuto datario pontificio, gli affidò la prestigiosa commissione dei dipinti per l’altare maggiore di S. Luigi dei Francesi (oggi scomparsi); negli stessi anni (1573-75) lavorò alle tele con Storie del Battista per la cappella di Giovan Battista Altoviti nella S. Casa di Loreto. È verosimile che fosse stato proprio Contarelli a indicare Muziano a papa Boncompagni quale successore del bolognese Lorenzo Sabatini (scomparso nel 1576) per la sovrintendenza delle imprese artistiche pontificie. Il banco di prova fu l’imponente Pentecoste per la sala del Concistoro nei palazzi Vaticani (1577), concepita come un telero alla veneziana, incastonato nel soffitto ligneo; l’anno seguente, Gregorio XIII gli affidò la pala d’altare della Crocifissione nella chiesa dei cappuccini a Frascati. Dal 1578 Muziano fu pagato mensilmente dal papa come responsabile dei principali cantieri artistici vaticani. Il primo di essi fu la cappella Gregoriana, edificata da Giacomo Della Porta nella basilica di S. Pietro: qui, sull’onda del revival paleocristiano di fine Cinquecento, recuperò per la prima volta la decorazione a mosaico, che conobbe in seguito una breve ma intensa fioritura nelle chiese di Roma in età sistina e clementina.
L’ideazione della Gregoriana spettò al nobile intenditore d’arte Tommaso de’ Cavalieri: per la messa in opera delle figurazioni musive, eseguite su cartoni di Muziano, furono convocati specialisti da Venezia. Egli dipinse inoltre per la cappella due enormi pale, la Messa di s. Basilio e la Predica di s. Girolamo, la prima distrutta nel XVIII secolo e la seconda, terminata solo dopo la morte dell’artista, traslata nella chiesa romana di S. Maria degli Angeli.
Nel 1581-83 sovrintese agli affreschi della Galleria delle carte geografiche nei palazzi Vaticani, organizzando le squadre artistiche e suggerendo la disposizione e l’impaginato delle pitture sulla volta, trasposti poi in elaborati grafici dall’allievo Cesare Nebbia.
Sempre per Gregorio XIII la Vita del 1584 ricorda alcune opere scomparse, già nei palazzi Vaticani, tra cui due tele con S. Agostino e s. Monica e S. Paolo e s. Antonio eremiti nutriti dal corvo. A committenze di ambito Boncompagni – tra cui quelle dello scalco, Paolo Ghiselli, e del maestro di camera del papa, Ludovico Bianchetti – si devono alcuni dipinti pervenuti a Bologna, come il S. Girolamo della Pinacoteca nazionale o il S. Francesco del Baraccano.
Nel 1575 l’artista fu richiamato dai fabbriceri di Orvieto per eseguire altre due pale per il duomo, commissione che trascinò fino al 1583, per la gran mole di lavori pontifici. Tali dipinti, una Flagellazione e una Cattura di Cristo, rimasero per molti anni a Roma, nella casa-studio del pittore, influenzando gli artisti presenti nell’Urbe per il loro intenso contenuto controriformato.
Sempre negli anni del pontificato gregoriano, Muziano si dedicò anche ad alcuni lavori romani, come la Decollazione del Battista in S. Bartolomeo dei Bergamaschi (1577-82), l’Ascensione di Cristo per la cappella Ceuli alla Chiesa Nuova (1581-82) e l’omologa versione per la cappella Tolfa Orsini all’Aracoeli (1583), il S. Paolo per la cappella Della Valle, sempre all’Aracoeli (1583), l’Immacolata Concezione per S. Maria in Traspontina (1584), la Consegna delle chiavi per la cappella Alfonsi in S. Maria degli Angeli (1584), la Natività Sabatini in S. Maria dei Monti (1582-85), e un S. Andrea inviato a Palermo (oggi Galleria regionale di palazzo Abbatellis; 1580-81). Si tratta di opere caratteristiche dello stile maturo dell’artista, severo, monumentale e incline al naturalismo, in linea con i dettami tridentini. In questo stesso periodo egli strinse rapporti con l’entourage oratoriano, fino a eleggere, nel primo testamento del 15 giugno 1583, la chiesa della Vallicella per la propria sepoltura.
Fu in virtù della frequentazione con i filippini, che l’arte di Muziano ricevette l’attenzione di Francesco Maria II della Rovere, che ne ricercò i disegni e le stampe di paesaggio, e di Federico Borromeo che, dopo la morte del pittore, chiese a Nebbia di procurargli alcune «teste dal naturale» (Agosti, 1996, p. 179) eseguite dal maestro. Queste tele, in parte conservate alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, costituiscono un importante tassello per la comprensione del processo creativo dell’artista e una cruciale anticipazione della pittura di primo Seicento.
Alla sinergia di Muziano e Gregorio XIII si dovette probabilmente la trasformazione dell’antica Compagnia di S. Luca in Accademia, nel 1577. Nello stesso anno, il pittore figurava anche iscritto alla Compagnia dei Virtuosi del Pantheon. Con l’avvento del pontificato di Sisto V, Muziano venne relegato a ruoli più marginali. Sono di questi anni il S. Nicola in S. Luigi dei Francesi (1587-89), la Circoncisioneper l’altare maggiore del Gesù (1587-89), la S. Apolloniain S. Agostino (1585-90), il S. Alberto Carmelitano in S. Martino ai Monti (1585-90). Il testamento poetico dell’artista restano però le tele con Storie di s. Matteo in S. Maria in Aracoeli, commissionategli per la cappella di famiglia da Ciriaco Mattei nel 1586, dipinti quasi classicisti nel loro calibro austero e magniloquente, compiuta espressione della pittura della Controriforma.
Morì a Roma il 27 aprile 1592.
Nel secondo testamento, del 12 aprile 1592, volle essere sepolto in S. Maria Maggiore, lasciando eredi universali le figlie Cecilia e Vittoria. Dopo la sua morte, il 6 maggio, fu stilato un inventario dei beni presenti nella casa-studio del pittore, il quale conservava un gran numero di dipinti. Il 30 e 31 marzo 1593 tutta la quadreria fu venduta all’incanto, disperdendosi così sul mercato antiquario.
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