MATTEI, Girolamo
– Nacque a Roma nel 1546 da Alessandro, membro del patriziato cittadino, ed Emilia Mazzatosta.
La famiglia, ascesa a una notevole potenza sin dalla fine del Quattrocento in virtù dei suoi cospicui possessi fondiari, alla metà del Cinquecento celebrò i propri successi con la realizzazione, a opera di Alessandro, di un fastoso palazzo nel rione S. Angelo. Qui, secondo un costume frequente tra le famiglie romane dell’epoca, il M. visse insieme con due suoi fratelli (aveva cinque fratelli e due sorelle): Ciriaco e Asdrubale (1556-1638), figure di spicco della vita politica e culturale romana, occupando porzioni diverse del grande complesso immobiliare.
La prosperità familiare consentì al M. di intraprendere una promettente carriera ecclesiastica con l’acquisto delle cariche venali di abbreviatore apostolico (1560) e di protonotario (1567). Nell’aprile 1572 ottenne l’importante ufficio, anch’esso venale, di chierico della Camera apostolica. In questa veste assunse anche alcune funzioni di un certo rilievo amministrativo, come quella di presidente delle Strade e presidente delle Carceri. Infine nel 1578, durante il pontificato di Gregorio XIII, acquistò per 60.000 scudi l’ufficio di auditor Camerae, che lo pose al vertice dell’amministrazione della giustizia a Roma e aprì la strada a più alti onori.
Il 17 nov. 1586, infatti, il M. fu creato cardinale, primo della sua famiglia. La promozione era indubbiamente legata alla volontà di assegnare a un altro candidato la carica di auditor Camerae che egli ancora rivestiva, ma testimoniava anche la stima del pontefice nei confronti del Mattei. E, infatti, negli anni del pontificato di Sisto V (1585-90) al M. furono assegnati compiti di qualche importanza.
Nel 1587 fece parte della commissione per la pubblicazione di una nuova edizione delle Decretali, di cui tuttavia non riuscì a produrre l’auspicata revisione. Nel 1588, con l’istituzione del sistema delle congregazioni cardinalizie stabili, entrò a far parte della congregazione del Concilio.
Pur non essendo uno dei cardinali più strettamente legati al pontefice, il M. giocò un ruolo politico non marginale nell’elaborazione della politica internazionale della S. Sede, tanto che fu uno dei pochissimi prelati che Sisto V mise a parte di un trattato antinglese stretto con la Spagna nel 1587. Alla fine dello stesso anno, fu inoltre ipotizzato l’invio del M. come legato in Polonia allo scopo di favorire la pacificazione di quel Paese dopo la guerra di successione al trono del 1586-87 e l’imprigionamento del candidato sconfitto, l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, a opera del re Sigismondo III Vasa. Infine il papa decise invece di inviare il cardinale Ippolito Aldobrandini (futuro papa Clemente VIII), che offriva maggiori garanzie di essere bene accetto ai contendenti.
Nel 1589 il M. fece parte di una congregazione speciale, presieduta dal cardinal Giulio Antonio Santori e incaricata di esaminare i provvedimenti da adottare dopo l’uccisione di Enrico duca di Guisa e del fratello, il cardinale Luigi, per ordine del re di Francia Enrico III, nel 1588.
Con la morte di Enrico III (agosto 1589) e l’esplosione della guerra tra il pretendente al trono, l’ugonotto Enrico di Navarra, e la Lega cattolica, la congregazione divenne il centro di elaborazione della politica pontificia verso la Francia e, in settembre, avviò un dibattito su un possibile invio di un cardinale legato a sostegno delle forze cattoliche. In questa fase si diffuse la voce, raccolta anche dall’ambasciatore toscano Giovanni Niccolini, che proprio il M. sarebbe stato uno dei candidati più accreditati per tale compito, ma la sua designazione fu osteggiata dall’ambasciatore spagnolo a Roma, Enrique de Guzmán de Olivares, e nel settembre 1589 gli si preferì il camerlengo Enrico Caetani. Non per questo cessò il coinvolgimento del M. nelle vicende francesi. Nel marzo del 1590, infatti, si pronunciò, insieme con la maggioranza dei cardinali, contro la richiesta spagnola di scomunicare i cattolici francesi schieratisi con Enrico di Navarra.
La morte di Sisto V aprì in Curia una situazione di instabilità, con il succedersi, tra il settembre 1590 e il febbraio 1592, di ben tre pontefici (Urbano VII, Gregorio XIV e Innocenzo IX) e quattro sedi vacanti. Anche in questa delicata fase, il M. svolse un ruolo politico non trascurabile, non tanto nei conclavi, nei quali assunse una posizione defilata, quanto piuttosto come membro di importanti organismi curiali. Durante il breve pontificato di Gregorio XIV assunse, nel gennaio 1591, la carica di prefetto della congregazione del Concilio, che avrebbe conservato fino alla morte. Inoltre fu chiamato a partecipare a una congregazione speciale, istituita in estate per valutare la possibilità di concedere al duca di Ferrara, Alfonso II d’Este, anziano e privo di eredi diretti, la facoltà di disporre per via testamentaria la successione al Ducato, sul quale il Papato esercitava il diritto di alta sovranità.
Si trattava di una questione estremamente delicata, che poteva rimodellare la geopolitica italiana e che suscitò divisioni all’interno dell’élite curiale. Gregorio XIV era propenso ad accogliere la richiesta del duca di Ferrara, anche per tutelare i diritti alla successione degli Este di San Martino, imparentati con la famiglia papale, ma si scontrò con la dura opposizione di molti cardinali della congregazione, tra cui il M., che sostennero la necessità di arrivare a una devoluzione del Ducato alla S. Sede. Di fronte all’opposizione della congregazione, Gregorio XIV avocò a sé la decisione e, nel concistoro del 13 sett. 1591, dichiarò che la concessione ad Alfonso II della facoltà di trasmettere Ferrara era legittima e non pregiudicava i diritti della S. Sede. Il M. prese apertamente posizione contro il pontefice, dando voce a un diffuso malcontento che finì per bloccare l’investitura, anche grazie alla repentina morte del papa, nella notte tra il 15 e il 16 ott. 1591.
L’elezione di Clemente VIII, nel gennaio 1592, consolidò la posizione del M., che già poche settimane dopo il conclave fu chiamato a far parte della congregazione incaricata di risanare le finanze della S. Sede. A cavallo del secolo, egli era ormai uno dei più autorevoli cardinali di Curia, pur non essendo ascrivibile a nessuna delle principali fazioni cardinalizie. Ritenuto vagamente filospagnolo, il M. si qualificò soprattutto come difensore dei diritti del Collegio cardinalizio di fronte al Papato. Tra le sue principali incombenze ci fu la partecipazione alla congregazione speciale per gli Affari di Francia, che fu chiamata a gestire la delicata vicenda della riconciliazione di Enrico di Navarra con la Chiesa.
Il monarca francese aveva ormai ottenuto una sostanziale vittoria militare sulle forze cattoliche e, nell’autunno del 1592, avviò trattative con il papa, inviando in Italia come ambasciatore Jean de Vivonne, marchese di Pisany. In una prima fase, la congregazione cardinalizia si schierò compattamente contro l’ipotesi di dare udienza a rappresentanti di un sovrano eretico, ma, dopo l’abiura di Enrico IV (25 luglio 1593), prevalse un atteggiamento più morbido. In agosto un nuovo ambasciatore di Enrico IV, Luigi Gonzaga, duca di Nevers, chiese di essere ricevuto dal papa, aprendo una nuova e complessa discussione all’interno dell’élite curiale. Tra l’ottobre e il novembre 1593 maturò nella congregazione di Francia un orientamento favorevole a ricevere il duca di Nevers, al quale aderì pure il M., che aveva inizialmente manifestato qualche riserva. Nonostante le proteste del partito filospagnolo, il 21 nov. 1593 Nevers poté entrare ufficialmente a Roma, aprendo la strada al definitivo riconoscimento di Enrico IV come re di Francia (25 luglio 1595).
Alla fine del 1597 il M. fu di nuovo interessato alla questione della devoluzione di Ferrara, divenuta urgente dopo la morte del duca Alfonso II (27 ott. 1597) e il tentativo di Cesare d’Este di rivendicare la successione. Deciso a ottenere la devoluzione della città, il papa stabilì di allestire un esercito e nominò il M. membro di una congregazione speciale, incaricata di reperire i fondi necessari a finanziare l’invasione militare del Ducato. Anche in questa fase, il M. sentì il dovere di esprimere una posizione di difesa dei diritti del Collegio cardinalizio, manifestando, nel marzo 1598, la sua contrarietà all’impiego a fini militari dei denari del tesoro di Castel Sant’Angelo, vincolati alle estreme necessità della Chiesa.
Oltre a svolgere un importante ruolo nella congregazione del Concilio, durante il pontificato clementino il M. si produsse sul terreno culturale e religioso legandosi all’ambiente degli oratoriani ed entrando in rapporti abbastanza stretti con Federico Borromeo. Il suo ethos controriformistico lo portò a interessarsi alla tematica della preparazione del clero e a fondare, intorno al 1603, il collegio Mattei, una istituzione finalizzata alla preparazione dei sacerdoti che operò fino alla metà del Settecento. Significativa fu pure la sua attività di protettore dell’Ordine francescano e in particolare del convento dell’Aracoeli, nella cui chiesa di S. Maria i Mattei avevano fatto erigere la cappella di famiglia.
Di non grande rilievo fu invece il mecenatismo artistico. L’inventario post mortem (in Cappelletti - Testa, p. 160) dimostra che il M. non fu un grande collezionista, ma va comunque ricordato che promosse cospicui lavori di ammodernamento del palazzo avito, in particolare del piano nobile, che fu adeguato all’elevato status raggiunto dalla famiglia Mattei, grazie anche a una serie di affreschi di Paolo Brill e della scuola di Cristoforo Roncalli, realizzati a partire dal 1595.
La religiosità austera del M. ha spinto gli studiosi a interrogarsi sul significato da attribuire alla permanenza di Michelangelo Merisi da Caravaggio presso di lui dalla fine del 1601. In assenza di evidenze documentarie probanti, il rapporto tra i due rimane misterioso, ma è possibile ipotizzare che il M., pur non avendo grande sintonia con l’artista e pur non assegnandogli committenze rilevanti, abbia apprezzato l’attenzione per gli umili che caratterizzava la produzione caravaggesca e che poteva in qualche modo avvicinarsi alla spiritualità oratoriana.
Nel 1600 il M. istituì una primogenitura familiare a favore dei fratelli Ciriaco e Asdrubale, dando così il suo contributo al consolidamento della casata, che proprio in quegli anni ascendeva alle fasce più alte dell’aristocrazia romana grazie all’acquisto dei feudi di Giove e Rocca Sinibalda.
Il M. morì a Roma l’8 dic. 1603 e fu sepolto nella cappella di famiglia, nella chiesa dell’Aracoeli.
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