MARTINENGO, Girolamo
MARTINENGO, Girolamo. – Nacque, con tutta probabilità, a Brescia nel 1519, da Antonio di Bernardino del ramo dei Martinengo di Padernello detti «della Fabbrica» e da sua moglie, la piacentina contessa della Somaglia. Dopo di lui nacquero Rizzarda (che il 9 dic. 1537 sposò il conte Camillo Avogadro) e Achille, che militò agli ordini di Orazio Farnese cadendo, nel 1553, nella difesa di Hesdin, nell’Artois, assediata da Emanuele Filiberto di Savoia.
Già militare Bernardino, il nonno del M. (che morì nel 1502, dopo aver combattuto nel 1495 a Fornovo) e uomo non privo di ardire il padre, Antonio, ma anche brutale, manesco, violento, in fama di miscredente e bestemmiatore. Fu valido difensore, nel 1513, di Asola, sì da indurre l’imperatore Massimiliano a desistere dall’assedio, ma proprio allora, per ragioni di vendetta privata, fece trucidare il nobile bresciano Giovanni Battista Ducco, venendo perciò bandito dalle terre venete. Graziato di lì a due anni, si reinsediò a Brescia e nei suoi possedimenti. Il 2 genn. 1522 a Gabbiano ammazzò la moglie in un impeto d’ira e sospetto di infedeltà. L’uxoricidio non lo isolò socialmente, né impedì che, nel 1526, si risposasse con la contessa Ludovica, figlia del conte Achille Torelli di Guastalla e vedova del conte cremonese Ludovico Stanga. Pure la seconda moglie fu vittima di maltrattamenti da parte di Antonio, bramoso d’impadronirsi del suo feudo, ma il 18 apr. 1528 egli fu ucciso nel suo palazzo da un fratello della prima moglie su istigazione dei nobili bresciani Scipione Martinengo della Motella, Ottavio Provaglio e Luca Lana.
I primi anni del M. furono dunque cupi, seppur trascorsi in un palazzo tra i più prestigiosi di Brescia, che nel 1529 il duca d’Urbino Francesco Maria I Della Rovere scelse per proprio temporaneo alloggio. La sanguinosa fine del padre lo sconvolse non ancora decenne e da allora covò sentimenti di vendetta, soprattutto nei confronti di Scipione Martinengo. L’occasione si presentò il 26 giugno 1533, allorché il M., scortato da una quarantina di uomini, s’incontrò con Martinengo, a capo di appena 16 armati. Nella zuffa, gli uomini del M. ebbero la meglio e, catturato il Martinengo, lo uccisero.
Per punizione, il M. fu relegato dalla Serenissima a Zara, dove – quando era ormai ventenne – si distinse allorché, assoldati 40 cavalli a proprie spese, si batté animosamente contro gli Ottomani. In virtù di questo suo coraggio e dietro il pagamento di una somma di denaro per essere liberato dal confino zaratino, l’8 ag. 1539 rientrò a Brescia.
Titolare dell’avito castello di Padernello – a pianta quadrata, munito di torri, attorniato dal fossato e circondato dagli stabili dei suoi affittuari – e feudatario di Gabbiano, si distingueva tra i gentiluomini di maggior spicco e ricchezza, anche per il suo ruolo di luogotenente e vessillifero del duca d’Urbino Guidubaldo II Della Rovere e comandante di una compagnia di 100 uomini d’arme. Leopardo Martinengo gli attribuisce nella Libreria (Brescia 1778) il codice manoscritto datato 28 ag. 1542, ove ci sono la «spiegazione di alcuni proverbi latini tolti da Erasmo, alcune osservazioni grammaticali compendiate da Servio e […] alcune sentenze morali derivate da’ latini scrittori». Ma non va esclusa un’attribuzione anche all’omonimo Girolamo del ramo Cesaresco, abate e diplomatico.
Il 4 febbr. 1543 festeggiò sontuosamente in palazzo ducale a Venezia le nozze con Eleonora Gonzaga, figlia del duca di Sabbioneta Ludovico e di Francesca Fieschi e sorella minore di Giulia, moglie di Vespasiano Colonna e contessa di Fondi, che erano state celebrate privatamente a Fontanellato un mese prima.
Sontuosi i «triomphi» a Brescia ed esibito il palazzo (attuale palazzo Salvadego prospettante sulla via Dante), di cui gli invitati ammirano soprattutto tre stanze affrescate, tutte «depente variamente», in una delle quali spiccano «retrate dal naturale sei gentildonne bresciane». Questa saletta, completamente ricoperta da affreschi, fu risparmiata nelle successive vicende edilizie del palazzo, gravemente lesionato dal bombardamento aereo del 2 marzo 1945. Oggetto di studi e dibattiti attribuzionistici, comunque, detti affreschi: la critica assegna l’idea generale ad A. Bonvicino (detto il Moretto; cfr. Il Moretto, Bologna 1988, pp. 239 s., 257) e ipotizza, in sede di realizzazione, interventi della sua scuola, quindi di Giovanni Battista Moroni – allora a Brescia –, di Luca Mombello e, probabilmente, di Agostino Galeazzi.
Il matrimonio fu di breve durata: il 10 ag. 1545 Eleonora morì di parto, insieme con il figlio neonato. Il credito del M. tra i concittadini fu sempre più confortato dall’apprezzamento del governo veneto per le sue doti di uomo d’arme.
Nominato governatore generale delle milizie a Creta nel 1549-51, ispezionò le fortificazioni di Candia e della Canea. Diversamente dall’opinione espressa da Gian Girolamo Sammicheli, nipote di Michele (legato quest’ultimo da amicizia con il M.), egli fu fautore del rafforzamento del baluardo Vitturi. E anche se il disegno d’insieme preferito dalla Repubblica per il sistema fortificatorio dell’isola non fu quello caldeggiato dal M., il baluardo chiamato in suo onore Martinengo restò significativa impronta della sua presenza.
Tornato a Brescia, nel 1552, al più tardi in marzo, il M. si risposò con Margherita di Francesco Martinengo della Motella. Un matrimonio meno prestigioso del primo, ma, in compenso, utile alla riconciliazione col ramo donde era sortito lo Scipione mandante dell’assassinio del padre. Da Margherita ebbe tre figli: Antonio (1553-81), che fu erede delle glorie militari paterne; Silvio; Pompilio, il quale, ancorché semplice chierico, nel 1572-77 fu rettore commendatario delle parrocchie di Gabbiano e Farfengo.
Nel 1557 il trattatista Giacomo Lanteri dichiarava il M. «de’ primi condottieri di gente d’armi della Signoria di Vinegia atto ad insegnare a molti che fanno professione di fortezze», segnalando che, in qualità di governatore, s’era distinto specie «ultimamente a Corfù, dove s’è fatto un baluardo d’estrema fortezza» (Lanteri, 1557, p. 90) durante il suo mandato. L’impegno nella progettazione di fortificazioni e opere di difesa proseguì costante negli anni seguenti.
Nel 1558, il M. fu a Padova con Astorre Baglioni e Sforza Pallavicino a valutare l’opportunità di erigere un ponte per il castello. Il 16 luglio il Senato decise (e il 18 emise la relativa ducale) la costruzione d’un nuovo baluardo nella fortezza d’Orzinuovi verso Soncino al posto d’una mezzaluna, dopo aver consultato anche il M.; egli aveva fatto pure parte, con Giulio Savorgnan, Pallavicino e Baglioni, della consulta del 15 giugno 1558 su Cipro, nella quale, d’accordo sul criterio dell’attestamento lungo le coste, caldeggiò, in più, l’erezione d’un castello di media grandezza a Nicosia, nell’entroterra, una proposta bocciata allora ma che sarebbe stata ripresa in seguito. Fu consultato ancora nel 1559, in proposito del possente intervento fortificatorio su Bergamo; nel 1561, quand’era governatore a Verona, fu coadiutore di Sforza Pallavicino ed ebbe una parte attiva nell’avvio degli imponenti lavori nei quali, a un certo punto, saranno impegnati ben 11.000 «guastadori» col compenso giornaliero di 12 soldi. Il 3 sett. 1561 fu posta la prima pietra per l’erezione del baluardo di S. Agostino, di competenza del Martinengo. Il 10 marzo 1562 fu convocato a Venezia da Sforza Pallavicino per una ristretta riunione d’esperti nella quale si stabilì che fosse Savorgnan a portarsi a Creta con l’incarico di «governator sopra le fortezze dell’isola». Il M. fu direttore dei lavori a Bergamo, affiancato dall’ingegnere Genese Bressan, com’è riconosciuto nella relazione del dicembre 1565. Nel 1566 fu ispettore delle fortezze in Istria e, nella relazione del capitano a Brescia Girolamo Morosini del 16 ottobre, si sottolineò come governasse con disciplina e opportune esercitazioni i 3783 fanti del territorio. Nel dicembre dello stesso anno, fu deputato – con Baglioni, Pallavicino, Savorgnan – a valutare le necessità difensive di Udine e del suo territorio; d’accordo con Baglioni fu fautore di lavori fortificatori circoscritti alla difesa del centro urbano udinese, però demolendo il minor numero possibile di abitazioni e quindi di fatto un po’ disdicendo l’intenzione del Senato di ridurre Udine «in fortezza reale». E in tal senso aveva insistito nel suo antecedente Parere sopra le fortificazioni del Friuli del 19 nov. 1566, ove, peraltro, aveva invitato a munire Udine. In esecuzione di quanto deciso il 10 marzo 1567, all’inizio di maggio partì con 500 soldati alla volta di Creta, per sovrintendere alle opere di difesa, nell’ambito delle quali provvide a ultimare il baluardo a lui intitolato, il cui marmoreo leone di s. Marco è datato 1568.
Forse era già rientrato da Creta quando, il 30 luglio 1569, il nunzio a Venezia Giovanni Antonio Facchinetti scrisse a Roma che il M. s’avvaleva della propria «amicizia strettissima con molti senatori» per favorire il bandito marchigiano Francesco Albarelli, col quale era in obbligo perché il padre di questo aveva fatto parte del gruppo responsabile della morte di Scipione Martinengo, quello, par di capire, che gli aveva inferto il colpo di grazia.
In occasione dell’offensiva ottomana contro Cipro, il M. fu designato a condurre in soccorso di Famagosta oltre 2000 fanti stranieri, da lui reclutati e imbarcati in quattro navi, che salparono il 15 marzo 1570, giungendo in breve a Corfù, dove il M. fu colpito dalla febbre in maniera grave.
Il M. morì il 7 apr. 1570 durante la navigazione. La salma fu dapprima sepolta a Nicosia, poi i capitani del contingente la traslarono a Famagosta.
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