MALIPIERO, Girolamo
Nacque a Venezia, probabilmente intorno al 1480, da Andrea e da una figlia di Zaccaria Calbo, entrambi appartenenti a famiglie patrizie. Ebbe tre fratelli, Gianfrancesco, Vincenzo e Marco, tutti destinati a ricoprire importanti cariche pubbliche nella Serenissima.
Della formazione del M. si conosce ben poco. Un indizio di precoci interessi filosofici è la nota vergata sull'ultima carta del ms. 216 della University of Michigan Library ad Ann Arbor contenente il commento di Paolo Veneto agli Analitici posteriori di Aristotele: "Iste est liber posteriorum magistri Pauli Veneti cui ego Hieronymus Maripetro incepi studere anno domini 1491 die primo octobris" (Iter Italicum, V, p. 204), ma l'identificazione con il M. rimane incerta. Una prima testimonianza sicura della sua appartenenza all'Ordine francescano risale al 1509, quando il frate Iacopo Fava da Como gli dedicò l'edizione da lui curata dell'Aureum opusculum primis et secundis intentionibus conflatum di Giovanni Anglico (in Monumentorum Ioannis Anglici minoritani(, Venezia, L. Soardo, cc. 1v-2v). Alla fine della dedicatoria si legge un componimento in versi latini preceduto dalla didascalia Endecasyllabum f. Hieronymi Malipieri minoritane observantie pium lectorem libello alloquens, da considerare come la prima prova poetica del M. a noi nota.
Se ne ricava l'idea di una personalità interessata alla poesia, come dimostreranno le sue opere più note, mai disgiunta dagli studi teologici e filosofici, più consoni al suo ruolo. Anzi, proprio nello strettissimo legame fra questi due piani va individuato il nucleo fondamentale del suo impegno intellettuale e letterario.
Di un'intensa e fortunata attività di predicatore, a Venezia e in altre città d'Italia, parla Degli Agostini (p. 441), senza produrre peraltro indicazioni precise, e nulla infatti resta nella tradizione manoscritta e a stampa del Malipiero. L'unica notizia circostanziata di un suo soggiorno fuori Venezia risale al 1521: nel gennaio di quell'anno era ad Asolo, presso il convento di S. Girolamo fuori le Mura, insieme con il più celebre confratello Francesco Zorzi, autore del trattato De harmonia mundi e degli In Scripturam Sacram problemata. Ma è a Venezia che in questi anni si consolida sempre più la fama e il prestigio del M., in ambito sia spirituale, sia letterario. Nel 1524 fu tra i 36 candidati all'elezione del nuovo patriarca di Venezia, dopo la morte di Antonio Contarini. Sanuto lo inserisce nell'elenco presentandolo come "Venerabile fra' Hironimo [sic] Malipiero professor di theologia, predicator apostolico de San Francesco di observantia, quondam sier Andrea" (XXXVII, col. 22). Nel 1526 l'umanista asolano Stefano Piazzoni lo ricorda per la sua profonda eloquenza "tam in carmine, quam soluta oratione" nella dedicatoria Ad Venetos adolescentes oratoriae facultatis perstudiosos del suo Perexercitamentorum libellus et rhetorices compendium (Venezia, G. de' Gregori). Sempre del 1526 è un carme latino del M. dedicato al senatore veneziano Francesco Bragadin e trascritto da Sanuto nell'attuale codice Mss. lat., cl. XII, 211 (=4179) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia (cc. 264-267).
Personalità ormai riconosciuta e apprezzata a Venezia, il M. tentò in quegli anni di consolidare la sua fama e il suo prestigio dedicando a Clemente VII l'opera Seraphicae in divi Francisci vitam (Venezia, G. Tacuino, 1531), biografia di s. Francesco in esametri, suddivisa in venti libri (seraphicae). Il manoscritto inviato preventivamente a Roma, con la probabile mediazione del cardinale Alessandro Farnese, per ottenere l'approvazione per la stampa e il conseguente privilegio papale, è ora in Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 3728, trascritto dal veneziano Francesco Renier. Corredano l'opera brevi componimenti latini dedicati a Farnese, e nella stampa sono aggiunte altre poesie latine di Renier e del fratello del M., Giovan Francesco, in lode dell'opera e del suo autore. Il poema non ebbe particolare fortuna, ma fu eseguita una traduzione in polacco da un anonimo frate del convento di S. Bernardino di Cracovia, pubblicata nel 1594 (cfr. Sbaraglia).
Nel 1535 il M. era già impegnato nella composizione del Petrarca spirituale, l'opera che lo rese celebre e che avviò quel processo di riconsiderazione delle ragioni profonde e ideologiche della prassi imitativa dei Rerum vulgarium fragmenta che portò in seguito alle Rime spirituali di Vittoria Colonna e più in generale a quel filone della produzione lirica cinquecentesca cui si assegna in genere l'etichetta di petrarchismo spirituale.
L'impegno del M. in questo senso è documentato da una lettera del maggio 1535 all'umanista Bernardino Trinagio da Schio (Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. XIV, 217 [=4676]), in cui il M. si scusa con l'amico di non aver scritto prima: "sed non permittit fugacissimi temporis angustia, totum me enim occupatum habet Franciscus Petrarcha, quem ad pietatem christianam die noctuque pro viribus invertere satago" (c. 98r).
Il capillare intervento di riscrittura dei componimenti petrarcheschi dovette occupare il M. ancora per molti mesi, dato che la licenza di stampa fu concessa il 21 febbr. 1536 (more veneto 1535) e il privilegio solo il 14 ottobre. La prima edizione uscì nel novembre 1536 per i tipi di Francesco Marcolini; seguì una ristampa, sempre per Marcolini, nel settembre 1538 e altre cinque edizioni nel corso del secolo.
La princeps presenta una suddivisione dei componimenti - riprodotta nelle edizioni successive - in due grandi sezioni, contenenti rispettivamente sonetti e canzoni. All'inizio del volume si legge un dialogo che vede come interlocutori Petrarca e il Malipiero. Il dialogo s'immagina svolto ad Arquà l'8 giugno 1534. È lo stesso Petrarca ad accusarsi, definendo "sconcie et licenziose rime" i suoi componimenti. Egli si augura che il frate possa finalmente emendare il suo errore, trasformando i fragmenta in testi perfettamente adeguati alla dottrina teologica. La colpa fondamentale di Petrarca secondo il M. è l'aver scelto come soggetto della sua opera "l'insana concupiscenza" e non invece la "sana sapienza", di aver piegato la sua poesia a cantare la lode dell'amore profano per Laura e non quella dell'amore sacro verso Dio. Ciò autorizza il M. ad avviare la sua puntuale riscrittura, che concepisce evidentemente come urgente proprio perché avverte il ruolo ormai centrale che il modello petrarchesco ha assunto nella cultura e nella società italiane. Ne consegue la convinzione profonda del M. che quella da lui realizzata sia un'impresa inderogabile e importante.
Fu lo stesso M. a confermare ed esplicitare meglio il suo intento e le sue ragioni nell'Introduttione alle canzoni, che sostituisce nell'edizione 1545 (Venezia, Comin da Trino) l'Ammonitione delle due precedenti edizioni. L'Introduttione è una sorta di "trattatello-predica" (Quondam, 1991, p. 214) che rappresenta una significativa testimonianza della riflessione teorica sulla lirica, in anni in cui si avvia la fortuna di un petrarchismo non più confinato esclusivamente al tema erotico, ma aperto anche ai temi sacri e morali. Il M. avvertì l'esigenza di contrapporre all'ondata crescente di lettori e produttori di lirica un solido argine che garantisse alla poesia la sua originaria funzione di strumento concepito essenzialmente a lode e gloria di Dio. Il vero atto d'accusa del M. è contro i "moderni versificatori", colpevoli di riprodurre passivamente l'"errore" petrarchesco, concentrandosi sull'amore profano, i cui effetti malefici si irradiano sull'"ignaro vulgo".
Petrarca resta in ogni caso il punto di riferimento inevitabile, anche se fatto "teologo et spirituale". Per cui, dietro la sistematica riscrittura dell'archetipo, il lettore cinquecentesco, come quello moderno, non può non sentire sempre e comunque la voce del modello, con effetti, spesso, involontariamente parodistici, certo estranei all'intentio del Malipiero. Colpisce comunque il vigore dell'operazione, che dei testi petrarcheschi conserva solo le parole-rima e un numero limitato di versi, compiendo per il resto del materiale una conversione integrale, secondo modalità varie ben indagate e illustrate da Quondam (1991). Colpisce anche la fortuna del Petrarca spirituale che, oltre alle ristampe come opera autonoma, venne smembrato e incluso nel primo e secondo libro di Rime spirituali (Venezia, al segno della Speranza, 1550), che ospitano rispettivamente la sezione dei sonetti e la sezione delle canzoni di cui si compone l'opera del Malipiero.
Degli ultimi anni di vita del M. si hanno poche notizie. Contatti con personalità di primo piano della Repubblica sono testimoniati da un'epistola in versi scritta a Carlo Cappello, databile agli anni in cui quest'ultimo era duca di Candia (1540-42), che si legge nel manoscritto della Biblioteca comunale Joppi di Udine, Manin, 1076. Le altre, scarse, informazioni che restano conducono alla chiesa e al convento di S. Francesco della Vigna, dove, secondo Degli Agostini (p. 441) il M. promosse la creazione di una confraternita in onore di S. Bernardino da Siena.
A Degli Agostini (p. 442) si deve anche l'unica informazione sulla data di morte del M., che sarebbe da collocare intorno all'aprile 1547: al giorno 27 risale una nota tra le carte dell'Archivio del convento in cui si attesta la restituzione di alcuni libri dati in prestito al "quondam padre fra Hieronymo Malipero", ma il documento letto da Degli Agostini non è oggi reperibile tra quanto resta dell'archivio conventuale dopo la soppressione in epoca napoleonica.
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