MALETTA, Girolamo
Nacque attorno al 1440 da Alberico, ambasciatore e consigliere del duca di Milano Francesco Sforza, e da Margherita di Biagio Cusani. Dopo aver vissuto a Ferrara, dove il padre si era trasferito per servire i marchesi d'Este, tornò in Lombardia nel 1454, abitando tra Milano, Pavia e Campalestro, presso Mortara. Alla fine del 1463 il M. e il fratello Pietro Maria seguirono il genitore in una lunga ambasciata in Francia, che si prolungò fino al 1465 e fu coronata da risultati particolarmente vantaggiosi per il duca di Milano.
I due fratelli seguivano spesso il re Luigi XI nei suoi spostamenti da un castello all'altro, tra impegni politici, svaghi di corte e partite di caccia, e ne furono ricompensati con il cingolo della milizia.
Il M. studiava legge e, in data imprecisata, si addottorò a Pavia in entrambi i diritti. Apprezzato all'inizio soprattutto per riflesso dei meriti paterni, in seguito ebbe una discreta carriera all'interno dell'amministrazione sforzesca, fino alla dignità di consigliere ducale. Non fu governatore in Corsica nel 1464, come alcuni riportano confondendolo con Francesco Maletta. Nel 1466 partecipò ai festeggiamenti in onore del neo duca Galeazzo Maria Sforza e pronunciò l'orazione a nome della cittadinanza pavese. Dopo la morte del padre, avvenuta alla fine di quello stesso anno, subentrò con il fratello nei feudi di San Giorgio Lomellina e di Cilavegna, e nel 1470 ottenne la conferma dei privilegi fiscali per i beni che possedeva a Campalestro. Nel 1469 era stato ammesso al Consiglio di giustizia, mentre come feudatario ducale era assiduo a corte.
Nel 1471 fu inviato a Ferrara per visitare il marchese Borso d'Este colpito da una grave malattia e riferire della possibile successione, a cui erano candidati Ercole, fratello di Borso, appoggiato da Venezia, e Niccolò di Leonello, sostenuto dal marchese Ludovico III Gonzaga, zio di quest'ultimo.
Il M. si rese ben presto conto che anche altri inviati milanesi più o meno accreditati conducevano pratiche segrete presso Niccolò e presso Alberto d'Este, un altro fratello di Borso, che Galeazzo Maria Sforza considerava, a torto, un possibile candidato alternativo. Si trovò così costretto a parlare e ad agire senza conoscere completamente le intenzioni del duca, e quando Ercole ottenne il titolo e la successione senza contrasti, gli toccò l'ingrato compito di congratularsi ufficialmente e cercare di ristabilire normali relazioni diplomatiche. Ercole era al corrente delle pratiche fatte a suo danno, ma non volle compromettere i rapporti con la potenza milanese e si limitò a qualche rimostranza, che poi Galeazzo Maria ingigantì presso Ludovico III Gonzaga per fargli pesare le conseguenze del sostegno dato al nipote.
Dopo questa imbarazzante missione il M. fu promosso al Consiglio segreto e compì altri incarichi diplomatici. Era a Urbino nel luglio 1472 per proporre a Federico da Montefeltro una condotta nell'ambito dell'alleanza tra Milano, Napoli e Firenze, e al ritorno visitò il signore di Pesaro, Alessandro Sforza. Nel 1473 era a Roma per accompagnare il neoeletto cardinale Giovanni Arcimboldi e seguire le trattative per il rinnovo della Lega italica, che, interrotte l'anno prima, erano state rilanciate da un viaggio a Milano e Venezia di Pietro Riario; ma i negoziati non ebbero successo e si approfondì l'inimicizia tra papa Sisto IV e Firenze.
Nel 1474 era a Bologna per dirimere, insieme con gli inviati di Napoli e di Ferrara, una controversia tra lo Stato estense e il reggimento della città di Bologna, in lite circa il confine del Panaro. Il duca di Milano era deciso a mandare a monte un precedente tentativo di mediazione aragonese e ribadire per questa via la sua tutela sulla città. La soluzione trovata soddisfece solo in parte i Bolognesi, che abbatterono la bastia, ma la sostituirono provocatoriamente con un pilastro di dimensioni spropositate. Nel marzo 1475 il M. ritornò a Ferrara per congratularsi dell'ingresso di Ercole I nella rinnovata Lega italica. La missione portò buoni frutti e ristabilì l'amicizia tra le due potenze.
Nel 1474, per volontà del duca di Milano, la sorella del M., Isabella, aveva sposato il cortigiano Aloisio Castiglioni, portando una dote di 4500 fiorini, mentre il fratello Pietro Maria, aulico ducale, aveva sposato Bianca Pallavicino di Scipione, aggiudicandosi una dote di 1800 ducati. Anche per il M. fu prospettato un legame matrimoniale voluto dalla corte, ma non risulta che sia andato a buon fine.
Sul principio del 1476 Galeazzo Maria decise, per tagliare le spese, di limitare gli stipendi dei consiglieri e di inviarne alcuni come commissari nelle città del dominio. Il M. fu nominato a Piacenza e il suo incarico, dotato di ampio arbitrio e facoltà di derogare agli statuti cittadini, iniziò senza particolari difficoltà, se non per la necessità di confrontarsi con le profonde divisioni interne delle città e con la dissidenza latente degli aristocratici locali; ma alla fine del 1476 l'assassinio di Galeazzo Maria avvelenò la vita politica in tutto il dominio, e il clima teso suggerì al M. di adottare soluzioni drastiche, che però si rivelarono avventate e impopolari.
In una lettera del 2 genn. 1477 (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, Cart. interno, 871), di poco successiva quindi alla morte del duca, il M. annunciava di avere impiccato senza processo un giovane notaio colpevole di omicidio, certo che tale punizione sarebbe risultata esemplare per "giottoni e cavestri". Priva di ogni giustificazione legale e inutilmente sanguinaria, l'esecuzione suscitò fortissime critiche, condivise anche dal cronista cittadino Alberto Ripalta.
Il M. poco dopo fu richiamato e sostituito nel giro di poche settimane e riprese il suo posto nel Consiglio segreto, ma solo nel consesso dell'Arengo e non nel più titolato Consiglio di reggenza.
Dopo l'assassinio del duca erano giunte a Milano condoglianze e offerte d'aiuto da molte potenze amiche, ma non dal Regno di Francia: il M. fu designato per una missione, ma prima che partisse i rapporti si guastarono ulteriormente. A giugno del 1477 si aprì una grave crisi politica: Ascanio e Ludovico Sforza, fratelli del defunto duca, accusati di avere cospirato contro la reggenza, insieme con Roberto Sanseverino furono dichiarati ribelli, e il M. con altri notabili li accompagnò verso l'esilio. In questi anni aveva maturato una certa autorevolezza, sia nelle materie finanziarie sia come consigliere diplomatico, e fu perciò nuovamente inviato a Ferrara per riferire circa le minacce di attacco degli Svizzeri al Ducato e concludere il matrimonio tra Alfonso d'Este e Anna Sforza. A causa di un malore, fu costretto a tornare a Milano e fu sostituito dal fratello. Di lì a poco i due Maletta furono incaricati di una nuova missione. Erano partiti da poco, quando giunse dalla Toscana la notizia che il M. era morto mentre Pietro Maria versava in gravi condizioni (ibid., Potenze estere, 292, F. Sagramoro, 2 sett. 1477).
Non sono note le cause del decesso: la peste infuriava, ma si potrebbe pensare anche a un incidente di viaggio; i Piacentini comunque vi videro un segno divino per la cattiva giustizia resa nella loro città. Poche settimane dopo morì anche Pietro Maria, lasciando solamente un figlio naturale. Si estingueva così la discendenza maschile diretta dei Maletta: i feudi furono devoluti alla Camera ducale, mentre la parte patrimoniale dell'eredità, comprendente il castello di Campalestro e le ricche possessioni, fu oggetto di aspre contese. Il testamento di Alberico, che imponeva una successione rigidamente maschile, fu impugnato dalle figlie, che dopo liti estenuanti ottennero il parziale recupero dei beni di famiglia. Le Comunità lomelline soggette alla giurisdizione dei Maletta non si rammaricarono troppo della loro scomparsa: il loro opprimente governo aveva lasciato un pessimo ricordo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Famiglie, 106; Sforzesco, Potenze estere, 323, agosto 1473; 148, luglio - agosto 1472; Carteggio interno, 871; Arch. di Stato di Pavia, Notarile Pavia, 266, cc. 283 s.: testamento di Margherita Cusani; Ant. Ripalta - Alb. Ripalta, Annales Placentini, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XX, Mediolani 1731, col. 953; Dépêches des ambassadeurs milanais en France sous Louis XI et Francesco Sforza, a cura di B. de Mandrot, I, Paris 1916, pp. 332, 343; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, ad ind.; I diari di Cicco Simonetta, a cura di A.R. Natale, Milano 1962, pp. 58, 91, 139, 188; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, VIII, a cura di N. Covini, Roma 2000, ad ind.; N. Covini, In Lomellina nel Quattrocento, in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell'Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento. Atti del Convegno, Milano( 2003, a cura di F. Cengarle - G. Chittolini - G.M. Varanini, Firenze 2005, pp. 140, 164, 166; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 110; IV, p. 249.