MAINARDI, Girolamo
Nacque a Urbino intorno al 1679 da Giovanni Paolo. Il cognome, diffuso tra Romagna e Marche, discendeva da una nota famiglia medievale di Bertinoro, presso Forlì. I Mainardi di Urbino erano legati alla principale famiglia patrizia della città, gli Albani, e le fortune del M. furono in gran parte dovute alla protezione del cardinale Giovanni Francesco Albani, divenuto papa Clemente XI il 23 nov. 1700. Pochi giorni dopo, il 1 dic. 1700, il M. era con il socio D. Duranti, nuovo titolare della Stamperia camerale urbinate. L'incarico durò pochi mesi (prima del settembre 1701 passò a U. Laquanti), durante i quali il M. si impratichì dell'arte e produsse almeno otto edizioni (relazioni e raccolte poetiche elencate in Moranti), tutte legate ai festeggiamenti per il nuovo papa.
Nel 1701 il M. lasciò Urbino per Roma, dove si stabilì nella zona di piazza Pasquino e dove fu assunto nella Stamperia camerale, appaltata ai fratelli L. e F. Conti. Nel 1714 gli fu consentita la stampa di un proprio sonetto "d'amor patrio" (Le glorie di s. Crescentino martire protettore della città d'Urbino solennizate nella chiesa di S. Teodoro in Roma), con dedica al cardinale A. Albani, nipote di Clemente XI: dal 1707 il papa aveva voluto che nella chiesa romana sotto il Palatino si celebrasse la festa di S. Crescentino (31 maggio). L'attività del M. nella Stamperia camerale durò fino al termine dell'appalto dei fratelli Conti (1718). Alla fine del 1719, morto F. Gonzaga, che per un decennio aveva diretto la stamperia dei fratelli Tinassi pubblicando edizioni rinomate per bella veste tipografica, il M. prese contatto con i Tinassi, ricchi eredi di una ditta che nel Seicento era stata tra le maggiori d'Italia nel settore; accordatosi con loro riuscì ad aprire un'officina propria in piazza Montecitorio. Quando morì Clemente XI (1721), l'operazione era andata in porto e da quell'officina uscirono alcune edizioni sottoscritte "per Filippo Tinassi & Girolamo Mainardi" (1721-22), poi "per Ludovico Tinassi & Girolamo Mainardi" (1722-23). Nel 1723 il M. acquistò la quota dei Tinassi e da allora le edizioni recarono soltanto il suo nome e si imposero all'attenzione per la qualità degli autori e della veste editoriale.
Nel 1725 il M., saputo che il pontefice Benedetto XIII desiderava una moderna edizione del Decretum Gratiani con le famose glosse del cardinale J. de Torquemada, provvide a procurarsene il testo in un codice quattrocentesco della Biblioteca Barberiniana e a corredarlo di dotte note e indici di G. Fontanini, e lo pubblicò a proprie spese in due splendidi volumi (1726). Prima dell'uscita di quest'opera, il papa gli aveva promesso l'appalto della Stamperia camerale alla scadenza del contratto dei titolari, F. Zinghi e G. Monaldi; ma accanto al favore papale il M. incontrava l'ostilità del tesoriere, monsignor C. Collicola. Per offrire le necessarie garanzie finanziarie fece allora società con i facoltosi librai F. e C. Giannini. A questo punto, nonostante il contratto di Zinghi e Monaldi scadesse soltanto nel giugno 1727, Benedetto XIII conferì con breve del 28 genn. 1726 un appalto triennale (dal luglio 1727 al giugno 1730) a Giannini e al M., allo stesso canone annuo, di 9520 scudi, pagato dai precedenti appaltatori; a nulla valse "tutta la repugnanza del tesoriere" (Valesio, IV, p. 631), che sosteneva l'offerta di un canone maggiorato da parte dei vecchi titolari. Così Zinghi e Monaldi si scoraggiarono e alla fine del 1726 lasciarono al M. la Stamperia camerale, che aveva sede accanto al teatro Capranica. Il M. si stabilì lì, e mantenne la bottega in piazza Montecitorio, trasformata in libreria all'insegna di S. Crescentino.
Il triennio di appalto, costellato di nuovi favori papali puntualmente stigmatizzati nel coevo diario di F. Valesio, fu senza dubbio fruttuoso per il M., pur essendo travagliato dalle liti familiari tra i due Giannini. Stanco di costoro, il M. chiamò come socio un altro solido libraio romano, P. Leone, insieme con il quale ottenne nell'ottobre 1730 il rinnovo dell'appalto della Stamperia camerale per un novennio al canone annuo di 15.732 scudi. Da allora le cose andarono molto meglio, anche perché dal 1727 il M. aveva assunto un giovane tipografo di ottime capacità, G. Salomoni, che sovrintese ai lavori di composizione e di stampa nella linea di sobria e moderna bellezza caratteristica della produzione del Mainardi.
Furono gli anni più intensi dell'attività del M., con l'avvio della pubblicazione di grandi opere in più volumi, la nomina a direttore della tipografia della Cappella musicale del Ss. Sacramento di Urbino (1733) e l'appalto della stamperia dell'ospizio di S. Michele (1735). Nel 1731 il cardinale Albani lo inviò a Urbino per prendere visione dello stato di quella tipografia; si trattava sempre della Stamperia camerale urbinate di cui lo stesso M. era stato titolare trent'anni prima, ma dal 1726 aveva una nuova gestione e una dotazione aggiuntiva di nuovi caratteri, chiamandosi da allora "Stamperia della venerabile Cappella del SS. Sacramento". L'appalto costò al M. il modico canone di 200 scudi annui e gli consentì di riprodurre a Urbino alcune sue edizioni romane, accanto ad altre direttamente nate nella città marchigiana, dove il M. lasciò il suo operaio G.B. Amorosi. La tipografia del S. Michele era l'officina impiantata fin dal 1711 nel grandioso ospizio per addestrarvi all'arte della stampa i ragazzi che erano lì ricoverati, divenuta appetibile giacché dal 1727 stampava in esclusiva i libri per le scuole pubbliche di Roma. Anche in questo caso il M. affidò i lavori a un suo dipendente, O. Puccinelli, capostipite di una fortunata stirpe di stampatori attivi a Roma tra il Settecento e l'Ottocento.
Una singolare iniziativa del M. si ebbe anche in campo musicale: nel 1728 prese in affitto il teatro Capranica "per farvi rappresentare commedie in musica" (contratto cit. in Pastura). Attore per passione fin da giovane (nel 1711 aveva interpretato la parte di "Ciulfa vecchia nudrice" nella tragicommedia La Tamarinda di S. Serangeli), intuì le buone possibilità di un nuovo genere come le opere buffe, che avevano un gran successo a Napoli, e si fece impresario per introdurlo a Roma. Scritturò dunque un'intera compagnia napoletana, guidata dal compositore G. Fischietti, e fece rappresentare per il carnevale 1729 due commedie musicali che furono le prime date lontano da Napoli e quindi in italiano anziché in dialetto napoletano, antesignane del duraturo successo del genere a Roma e in Italia. Nello stesso 1729 il M. passò la mano a un impresario di professione, il napoletano A. Mango, con il quale forse era stato in contatto fin dall'inizio della vicenda.
Nel 1739, allo scadere del contratto per la Stamperia camerale di Roma, il M. non riuscì ad avere un terzo appalto, che toccò al suo vecchio padrone F. Conti. Negli anni successivi le fortune del M. continuarono a declinare: nel 1740 cessò l'appalto di Urbino, e la conclusione del rapporto fu amara (il M. era debitore di 1500 scudi, che promise di pagare ma non pagò, creando un contenzioso che durò oltre la sua morte); nel 1742 perse l'appalto del S. Michele, concesso dagli amministratori dell'ospizio al suo ex dipendente Puccinelli. Ben presto perse anche la collaborazione del suo proto Salomoni, che si mise in proprio nel 1744. Nello stesso anno il M. subì un procedimento giudiziario perché sospettato di smerciare libri d'orientamento giansenista, episodio cui probabilmente va riferita la chiusura della sua libreria di piazza Montecitorio. Tuttavia gli eventi negativi non lo piegarono, l'attività non subì flessioni e anzi raggiunse un picco nel 1745. La libreria fu mantenuta a piazza Montecitorio fino al 1743, ma dal 1741 il M. aveva trasferito l'officina tipografica al primo piano del palazzo Lancellotti a piazza Navona.
Il M. ebbe tre mogli; la prima, Costanza Cassandra Sabatini, era morta nel 1724 dopo avergli dato i figli Giovanni (1717) e Domenico (1723); dalla seconda, Angela Lucrer (1688), sposata nel 1726, non ebbe prole; la terza, sposata nel 1749, fu la benestante sessantenne Maddalena Filingher, con la quale nel 1752 il M. andò ad abitare in palazzo Mancini sul Corso, lasciando la cura della tipografia di piazza Navona al primogenito Giovanni. Questi, ascritto all'esclusiva compagnia dei sacconi bianchi (con sede in S. Teodoro), sembrava ben introdotto tra nobiltà e clero della capitale. La sua morte inattesa, nel 1758, costrinse il M. a seguire di nuovo in prima persona i lavori di stampa, e quindi a tornare in piazza Navona.
Il M. morì a Roma il 16 luglio 1763.
La produzione del M. ha un posto di qualche importanza nel quadro dell'editoria settecentesca soprattutto per due aspetti: la qualità della veste grafica e la pubblicazione, spesso a proprie spese, di grandi opere in più volumi. Per il primo, vale il giudizio dello storico della stampa urbinate, secondo cui "la caratteristica delle edizioni è la sobria semplicità della pagina, ottenuta con una abile distribuzione delle linee; senza recar danno alla elegante impaginazione, il Mainardi usa molto la riquadratura della pagina, sia del frontespizio che del testo con abbondanti margini [(]. Egli si allontana dalla moda del tempo così ricca di fregi e decorazioni e pare che preannunci il gusto neoclassico" (Moranti, p. 82). Tale giudizio è condiviso da altri bibliografi per specifiche edizioni del M.: il volume su Sezze di D. Giorgi (1727) fu considerato "bellissimo" da C. Lozzi, quello sulla Calabria di T. Aceti (1737) fu annotato come "bellissima edizione" da L. Giustiniani, "splendida edizione" è stata detta da G. Rostirolla quella illustrata della Gerusalemme liberata (1735). Un vertice fu toccato dal M. nell'edizione bilingue delle commedie di Terenzio stampata a Urbino nel 1736: lodata dal Graesse, dal Brunet, dal Gamba, è giudicata dal Moranti "un vero monumento d'arte grafica" (p. 83). Molti altri libri sono ricchi di tavole e incisioni, moltissimi hanno il frontespizio in rosso e nero. Tra le grandi edizioni in più volumi si incontrano testi di storia (G.V. Lucchesini, Historiarum sui temporis ab Noviomagensi pace, 1725-38; D. Bernini, Istoria di tutte l'eresie, 1726-33; G. Laderchi, tre volumi in prosecuzione degli Annales ecclesiastici di C. Baronio, 1728-37) e soprattutto di diritto (opere di D. Zauli, Ch. Cocquelines, C.L. Calcagnini), con intere serie di sentenze del tribunale della Rota e la monumentale Collectio constitutionum, chirographorum, et brevium diversorum Romanorum pontificum, pro bono regimine universitatum (4 volumi in folio, a cura di P.A. Vecchi, 1732-43). Tra le edizioni in unico volume si trovano testi di rilievo per la storia di alcune città (Benevento, Tivoli, Viterbo) o per la storia ecclesiastica; ricchi di illustrazioni sono i numerosi testi di archeologia, tra cui le prime edizioni delle ricerche di F. Ficoroni (I piombi antichi, 1740; Le vestigia e rarità di Roma antica, 1744; Le memorie ritrovate nel territorio della prima e seconda città di Labico, 1745, lodatissima da Cicognara per le belle tavole). Non mancano libri di teologia, morale, Sacra Scrittura, con molte opere del beato teatino G.M. Tommasi, tra cui la straordinaria Liturgia antiqua Hispanica, Gothica, Isidoriana, Mozarabica, Toletana, mixta, illustrata adiectis vetustis monumentis (1746). Tra i libri d'argomento politico spicca un'opera polemica in due volumi contro P. Giannone (G. Sanfelice, Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del regno di Napoli, 1728) che M., per la delicatezza del contenuto, pubblicò senza il suo nome e con falso luogo di stampa ("In Colonia"). Per la medicina è noto un solo titolo, ma importante (A. Pascoli, De homine sive de corpore humano, I-III, 1738), mentre numerosi (alcuni di R. Boscovich) sono d'ambito matematico. Rari i testi letterari (G. Fontanini, Della eloquenza italiana, 3ª ed. ampl. dall'autore, 1726), accanto a qualche notevole opera in campo linguistico. Una grammatica francese fu stampata dal M. nel 1723 e altri autori francesi compaiono nella serie delle sue edizioni, soprattutto nei primi anni (opere dell'agostiniano B. Desirant, di I.-H.-A. de Graveson, del gesuita J. Longueval).
Nel complesso, quasi tutti volumi di notevole impegno testuale ed editoriale, per i quali il M. (che lavorò sempre in proprio, salvo poche edizioni per i librai V. Monaldini di Roma e B. Occhi di Venezia) riuscì a trovare gli opportuni esiti di vendita, con una circolazione panitaliana e spesso europea. Qualche intento più commerciale mostrano alcune guide e libri su Roma. Stampe occasionali furono pure gli oltre trenta libretti per opere, oratori e cantate, eseguiti in diversi teatri, sale, collegi e palazzi; ma anche tra loro non mancano edizioni di qualità, ornate di belle stampine, come quelle per gli oratori eseguiti nel palazzo del Quirinale al cospetto del papa. Infine, un gruppo di edizioni (quasi tutte d'interesse liturgico-musicale) riguarda l'ordine domenicano; vere e proprie edizioni musicali furono stampate dal M. a Urbino nel 1734 (Il maestro e il discepolo, divertimenti da camera a due violini, op. 2 del celebre violinista C. Tessarini) e nel 1736 (le Regole e principi di canto fermo del perugino F. Vitarini). Secondo Rostirolla, forse anche gli Allettamenti da camera op. 3 di Tessarini, stampati a Roma nel 1740 senza indicazione della tipografia, vanno attribuiti al Mainardi.
Suo successore nella direzione della declinante azienda fu il figlio Domenico. Di buona preparazione (aveva studiato al collegio Nazareno), dimostrata nella cura degli indici del monumentale Thesaurus resolutionum Sacrae Congregationis Concilii pubblicato in 29 tomi dal padre fra il 1739 e il 1760, egli proseguì le edizioni come "Stamperia Mainardi". In seguito a nuove accuse di pubblicazioni gianseniste (1765) Domenico si scoraggiò: l'ultima edizione certa è del 1767, e nel corso del 1770 l'attività fu chiusa. Era intanto entrato al servizio del duca di Brunswick Carlo I. Fu proprio il duca, nel 1771, a risolvere l'annoso contenzioso con la Cappella del Ss. Sacramento di Urbino, offrendo per conto del suo dipendente la somma di 800 scudi a liquidazione dei richiesti 1946. L'amministrazione della Cappella accettò pur di mettere fine a una pendenza ultratrentennale (Moranti, p. 86). Le dotazioni della tipografia, che dovevano essere cospicue, finirono probabilmente in possesso di G. Salomoni, l'antico umile lavorante dei Mainardi, ora affermato stampatore-editore; anzi Domenico collaborò di certo in quell'officina, tanto che Salomoni, morto nel 1779, gli lasciò nel suo testamento 50 scudi per il "buon servigio" che gli aveva prestato. L'inversione dei ruoli tra datore di lavoro e dipendente è un chiaro sintomo della dinamica sociale del secolo in un'attività di spiccato carattere imprenditoriale e protoindustriale.
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