LIENA, Girolamo
Nacque a Lucca da Stefano di Girolamo, patrizio e uomo di governo della Repubblica, scelto anche per la massima carica di gonfaloniere nei primi anni del XVI secolo, e da Maddalena di Paolo Balbani, appartenente a una influente famiglia di mercanti-banchieri. Ultimo di cinque fratelli (il giurista Nicolao, Giovan Battista, Michele e Susanna), fu battezzato nella chiesa dei Ss. Giovanni e Reparata il 14 luglio 1504.
Fin dalla giovinezza si dedicò alle attività mercantili e gestì con oculatezza i beni della famiglia; non mancò tuttavia di seguire l'esempio paterno anche per quanto concerneva la partecipazione alla vita pubblica. Entrò nel Consiglio generale per la prima volta nel 1532, come uno dei pochi giovani nobili cooptati durante l'anno che vide la rivolta popolare degli straccioni, e da allora in poi partecipò alle sedute dell'assemblea cittadina lucchese ininterrottamente per un decennio. Nel 1537 e nel 1539 fu eletto anche tra gli Anziani, signori della città e detentori sia del potere esecutivo sia di specifiche prerogative in materia di politica estera. Il 14 apr. 1535 sposò Maria di Alberto Arnolfini, dalla quale ebbe due figli: Stefano, nato nel marzo successivo, e Maddalena; rimasto vedovo nel giugno 1539, si risposò nel 1542 con Mattea di Pierangelo Sardini, ma la seconda unione rimase infeconda.
A partire dai primi anni Quaranta il L., come molti patrizi lucchesi, svolse un ruolo attivo nella "Ecclesia Lucensis", vera e propria comunità filoriformata riunitasi sotto il magistero di Pier Martire Vermigli, divenuto priore del convento lucchese di S. Frediano dopo una lunga esperienza religiosa maturata nei circoli valdesiani a Napoli. L'insegnamento di Vermigli fortificò le opinioni filoriformate del L., che si erano con ogni probabilità già venute maturando negli anni precedenti. Nell'agosto 1542 organizzò con successo la fuga dal carcere del frate Girolamo da Pluvio, vicario del convento di S. Agostino, sospetto di eresia e arrestato pochi giorni prima dal governo lucchese su ordine dell'Inquisizione. Insieme con altri tre nobili e alcuni altri compagni "populari" riuscì a condurre il religioso attraverso il territorio della Repubblica senza che le autorità secolari intervenissero con decisione per catturarlo.
In seguito a questo atto, il L. fu punito il 10 ottobre successivo con un'ammenda pecuniaria piuttosto lieve, ma soprattutto la sua attività pubblica venne sensibilmente ridimensionata. D'ora in avanti fu cooptato nel Consiglio cittadino sempre più raramente, solo dopo una sorta di interdizione durata cinque anni, e non entrò più nel novero dei Signori. Tra il 1546 e il 1549, vari anni dopo la fuga di Vermigli, continuava a partecipare alle riunioni della "Ecclesia Lucensis", che si svolgevano ora nelle abitazioni di alcuni patrizi coinvolti nel dissenso religioso; uno di essi, Francesco Cattani, era stato suo complice nella fuga di Girolamo da Pluvio. Il 24 sett. 1549 si discusse in Consiglio l'ipotesi di porre il L. al bando, probabilmente per "discolato", cioè insubordinazione politica nei confronti dello Stato. Anche se la proposta non passò per insufficienza di voti, essa prova con evidenza che il governo non era più disposto a tollerare sul proprio territorio l'imbarazzante presenza del L., divenuta fonte di contrasto con il potere ecclesiastico e potenziale pericolo per l'autonomia politica cittadina.
Nel settembre 1555 il L. - uno tra i primissimi esuli lucchesi religionis causa - fuggì Oltralpe insieme con Vincenzo Mei e la famiglia di quest'ultimo, grazie all'aiuto del fratello Nicolao; il 18 novembre dello stesso anno ottenne la cittadinanza ginevrina.
Nei tre anni circa che trascorse nella città riformata, il L. si dedicò fervidamente al proselitismo religioso. È difficile definire con precisione i tratti del suo pensiero e della sua religiosità, comunque caratterizzati in senso zwingliano-calvinista. Da una lettera indirizzata dal fratello Nicolao a Ludovico Saminiati il 27 maggio 1567, si ricava che il L. aveva pubblicato a spese di Francesco Micheli, altro esule lucchese, alcuni libri di argomento ignoto, a noi non pervenuti, che non era mai riuscito a rivendere in Italia a causa del controllo censorio.
Secondo fonti frammentarie (Lucca, Biblioteca statale, Mss., 1117, cc. n.n.) in questo periodo il L. avrebbe avuto un figlio naturale.
Il 15 giugno 1556, circa sette mesi dopo la fuga, il L. fu citato a comparire presso il tribunale vescovile di Lucca per giustificarsi dell'accusa di eresia.
Il L. morì a Ginevra nella primavera del 1558.
Il bando definitivo da parte della Repubblica nei suoi confronti fu decretato il 27 sett. 1558, dopo che l'Inquisizione lo aveva già condannato in contumacia. I beni della famiglia Liena, riuniti quasi esclusivamente nelle persone del L. e di Nicolao, per volontà del padre Stefano nel 1539, e già dilapidati in gran parte dal primo per estinguere i propri debiti dopo la fuga, subirono dopo questo bando un tracollo definitivo. Il governo lucchese istituì infatti il 2 ott. 1558 una specifica magistratura cittadina deputata alla confisca dei beni degli eretici, e uno dei primi atti del nuovo Offizio fu quello di confiscare la villa Liena ad Arsina insieme con alcuni altri possedimenti rurali appartenenti alla famiglia.
Fonti e Bibl.: Lucca, Biblioteca statale, Mss., 1117: G.V. Baroni, Notizie genealogiche…, cc. 171, 174, 176 s., 179, 198; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca…, Firenze 1847, p. 450; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra…, in Riv. storica italiana, XLIX (1932), pp. 53 n., 161 e n., 290, 453, 458 e n., 460 n.; L (1933), p. 428; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1962, ad ind.; S. Adorni-Braccesi, I palazzi degli eretici, in I palazzi dei mercanti nella libera città di Lucca del '500. Immagine di una città-Stato al tempo dei Medici (catal.), a cura di I. Belli Barsali, Lucca 1980, pp. 459 s.; Id., Mecenatismo e propaganda religiosa dei mercanti lucchesi tra Ginevra, Lione e l'Italia, in Frontiere geografiche e religiose in Italia. Atti del XXXIII Convegno… 1933, a cura di S. Peyronel-Rambaldi, in Bollettino della Società di studi valdesi, 1993, n. 177, p. 44; Id., "Una città infetta". La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, ad indicem.