GIGLIOLI (Gilioli, Zilioli), Girolamo
Nacque con ogni probabilità a Ferrara, da Alfonso e da Ludovica Argenti, intorno alla metà del XVI secolo.
La famiglia, di origine mercantile, dovette la sua ascesa sociale ed economica alla propria attività al servizio degli Estensi. Un avo del G., Iacopo, fu referendario del marchese Niccolò III e la sua influenza politica gli permise di accumulare un considerevole patrimonio fondiario concentrato soprattutto intorno a Serravalle, sul Po di Goro. Iacopo fu anche il primo esponente della famiglia investito del titolo comitale, per concessione imperiale, nel 1425 (la contea era appunto quella di Serravalle). La sua incarcerazione per tradimento ai danni di Niccolò, seguita immediatamente dal suicidio dell'accusato (1434), provocò la confisca dei beni di famiglia e un momentaneo calo dell'influenza politica dei Giglioli, i quali tuttavia, ai tempi del G., avevano ormai recuperato il terreno perduto. Il padre del G. fu impiegato dai duchi di Ferrara in missioni diplomatiche in Francia, a Roma e a Milano tra il 1533 e il 1548. Al G. e ai suoi quattro fratelli (Ippolito, Ercole, Camillo e Scipione) Alfonso lasciò numerose proprietà consistenti in case a Ferrara e terreni nel contado, prevalentemente nei dintorni di Papozze, sulla sponda sinistra del Po di Goro.
Le prime, incerte notizie sul G. risalgono agli inizi del pontificato di Gregorio XIII (eletto nel 1572), quando fu inviato dal pontefice in Francia, presso la corte di Enrico III, che lo nominò suo gentiluomo e cameriere d'onore. Tornato a Ferrara, dove si trovava agli inizi di novembre del 1579, si mise al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca Alfonso II. Tra la fine del 1579 e gli inizi del 1580 svolse alcune missioni per conto del cardinale a Mantova e a Venezia, mettendosi però anche a disposizione del duca. Sistemate alcune questioni ereditarie - mantenendo intatto il patrimonio familiare - raggiunse il cardinale d'Este a Roma probabilmente a metà anno. Nel 1583 era di nuovo a Ferrara, da dove il 29 giugno scriveva al cardinale di essere in attesa di ripartire per Roma. Lì avrebbe ricevuto le istruzioni per un nuovo viaggio in Francia, regno di cui il cardinale era protettore presso la corte pontificia. La partenza fu però ritardata da una grave malattia del fratello del G., Ercole, ed ebbe luogo soltanto nell'autunno del 1584.
Il G. rimase in Francia fino al 1587, scrivendo costantemente al cardinale lunghe missive in cui descriveva gli avvenimenti interni alla corte e le alterne vicende delle guerre di religione.
Risulta evidente, in queste lettere, l'adesione del G. alla linea politica di Luigi d'Este, tendente ad allontanare i cattolici francesi, pur sostenuti con decisione, dall'alleanza con la Spagna. Il 30 dic. 1586 il cardinale morì e nel suo testamento lasciò una rendita in denaro al G. e agli altri suoi agenti, F. Mannelli, I. Pigna e T. Losco, i quali ancora il 3 giugno 1600 erano costretti a reclamarla a Cesare d'Este. Dopo la morte di Luigi d'Este, il G. tornò a Ferrara preceduto da una lettera di raccomandazione di Enrico III al duca Alfonso (16 luglio 1587).
Il G. si mise quindi al servizio del duca, per conto del quale, tra il 1589 e il 1592, svolse diverse ambasciate a Firenze. Dal 1592 fu rappresentante ferrarese a Roma, dove si occupò della lunga e complessa vicenda della successione di Alfonso, culminata nella devoluzione di Ferrara alla S. Sede. A più riprese il G. supplicò inutilmente Clemente VIII di riconoscere come successore del duca il cugino Cesare, appartenente a un ramo illegittimo di casa d'Este. Nella sua missione il G. era aiutato dal nipote Alfonso (figlio del fratello Scipione e di Lucia Campi), che si trovava in Curia come cameriere segreto del pontefice. Dopo la morte del duca, avvenuta il 27 ott. 1597, il G. fu nuovamente inviato a Roma da Cesare, che aveva assunto il governo di Ferrara e necessitava del riconoscimento dal papa. A questo scopo, il G. si valse delle numerose conoscenze e amicizie contratte nelle precedenti missioni, specialmente in Francia, ma tutto fu inutile: Clemente VIII, come scriveva lo stesso G. a Cesare nel novembre 1597, era intenzionato a recuperare la città anche con le armi. Per scongiurare questa eventualità, il G. propose addirittura all'Este di corrompere il cardinale nipote, Giovanni Francesco Aldobrandini, che in quei giorni si accingeva a partire per Bologna. Il palese insuccesso della missione attirò sul G. accuse di incapacità, di cui egli si lamentava con il segretario ducale Giovan Battista Laderchi (lettera del 29 nov. 1597). Il G. rimase a Roma anche durante il convulso periodo successivo alla scomunica di Cesare (23 dicembre) e alla definitiva acquisizione di Ferrara allo Stato pontificio, sancita dalla cosiddetta convenzione faentina del 12 genn. 1598.
Il G. non poté che accettare il fatto compiuto e si adeguò alla nuova situazione. È anche possibile che egli, come molti agenti estensi, avesse addirittura anticipato i tempi, passando al servizio della Chiesa prima ancora della devoluzione. A Ferrara, infatti, circolavano voci su una congiura contro Cesare, ordita, tra gli altri, anche da Scipione, l'amatissimo fratello del Giglioli. Del resto, tutti i beni immobili della famiglia erano situati in territorio ferrarese, il che rendeva indispensabile intrattenere buoni rapporti con i nuovi padroni. La nuova collocazione politica dei Giglioli è confermata da un atto con cui, il 20 ott. 1598, la Camera apostolica rinnovava a tutti i fratelli Giglioli, rappresentati da Ercole, le enfiteusi già concesse loro dai duchi d'Este su diversi beni e diritti nella zona di Papozze.
Dal novembre 1598 il G. fu inviato della città di Ferrara a Roma, dove Clemente VIII e poi Paolo V lo nominarono cavaliere di spada e di toga. Ricoprì questa carica fino alla morte. Rimase comunque in contatto epistolare con Cesare, duca di Modena e Reggio, per conto del quale svolse anche qualche piccolo incarico in Curia. Il 18 maggio 1609, presso la certosa di Ferrara, il G. fece redigere il suo testamento, nel quale, oltre a numerosissimi legati a parenti, amici, servitori e luoghi pii, istituiva suoi eredi universali i nipoti Francesco e Scipione, figli del fratello Ippolito.
Il G. morì in luogo e in data imprecisata, ma sicuramente successiva al 1615.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Archivio Giglioli, Sez. Giglioli, bb. 4, ff. 14 s., 18, 28, 34; 5, f. 48, cc. 36r-52r; Ibid., Biblioteca comunale, Mss., cl. I, 570 bis, n. 8; Collezione Antonelli, 1; Fondo Antolini, 62; Arch. Pasi, b. 12, f. 747; Arch. di Stato di Modena, Particolari, b. 632; Cancelleria Sezione estero, Carteggio ambasciatori, Francia, bb. 87-89; ibid., Firenze, bb. 31, 32, 34; ibid., Roma, bb. 189, 190, 192; E. Callegari, La devoluzione di Ferrara alla S. Sede (1598), in Riv. stor. italiana, XII (1895), pp. 1-57; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1929, pp. 599, 601, 613; XII, ibid. 1930, p. 7.